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Contraffazione alimentare: quando il reato è consumato

Un’organizzazione acquistava vino di bassa qualità, lo adulterava con alcol e lo imbottigliava per venderlo come vino di pregio, falsificando marchi e sigilli. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di uno degli imputati, confermando la condanna per associazione a delinquere e vari reati di falso. La Corte ha precisato che il reato di vendita di sostanze non genuine, un aspetto chiave in questo caso di contraffazione alimentare, si considera consumato quando il prodotto è reso disponibile per la vendita, non necessariamente quando viene venduto, chiarendo anche la possibilità di concorso tra diversi reati di contraffazione.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Contraffazione alimentare di vino: la Cassazione sui limiti tra reato tentato e consumato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13767 del 2024, è tornata a pronunciarsi su un complesso caso di contraffazione alimentare, fornendo chiarimenti cruciali sulla consumazione dei reati in materia di frode e sui rapporti tra le diverse fattispecie di falso. La vicenda riguarda un’associazione criminale dedita alla sofisticazione di vino, trasformando un prodotto di scarsa qualità in bottiglie apparentemente di pregio, destinate al mercato nazionale e internazionale. Questa decisione offre importanti spunti di riflessione per operatori del settore e consumatori.

I Fatti: Una Rete Organizzata per la Frode Vinicola

L’indagine, avviata nel 2014, ha smascherato una struttura organizzata finalizzata alla commissione di una serie di reati. L’attività illecita consisteva nell’acquistare vino di bassa qualità, adulterarlo aggiungendo alcol per aumentarne la gradazione, e successivamente imbottigliarlo presentandolo come vino di pregio. Per rendere la frode credibile, l’organizzazione falsificava etichette, marchi di note aziende vinicole, indicazioni geografiche e persino i contrassegni ministeriali (le cosiddette ‘fascette’) previsti per i vini DOC e DOCG.

L’imputato, ritenuto partecipe dell’associazione, è stato condannato nei primi due gradi di giudizio per associazione a delinquere, vendita di sostanze alimentari non genuine e per diversi reati legati alla contraffazione di marchi e sigilli pubblici.

I Motivi del Ricorso e la Contraffazione Alimentare

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi, che hanno toccato punti nevralgici del diritto penale alimentare e industriale.

La Qualificazione del Reato: Tentativo o Consumazione?

La difesa sosteneva che il reato di vendita di sostanze alimentari non genuine (art. 516 c.p.) dovesse essere qualificato come ‘tentato’ e non ‘consumato’. La tesi si basava sul fatto che le bottiglie adulterate, sebbene pronte, non avevano ancora lasciato la disponibilità materiale degli imputati per essere effettivamente vendute. Inoltre, si invocava l’applicazione di una normativa speciale (legge n. 82 del 2006) che prevede sanzioni amministrative, sostenendo un rapporto di specialità con la norma penale.

Concorso di Reati o Assorbimento?

Un altro punto chiave del ricorso riguardava il rapporto tra i diversi reati di falso contestati. L’imputato chiedeva che venisse riconosciuto il principio di ‘assorbimento’ tra la contraffazione del marchio (art. 473 c.p.) e quella delle indicazioni geografiche (art. 517-quater c.p.), e tra la stessa contraffazione del marchio e quella dei sigilli ministeriali (art. 469 c.p.), sostenendo che si trattasse, in sostanza, di un’unica condotta criminosa.

Associazione a Delinquere o Mero Concorso di Persone?

Infine, la difesa contestava la qualificazione del fatto come associazione a delinquere (art. 416 c.p.), ritenendo che la condotta dovesse essere inquadrata in un meno grave ‘concorso di persone nel reato’.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo una motivazione analitica su ciascuno dei punti sollevati.

Sulla Consumazione del Reato di Vendita di Sostanze Alimentari non Genuin

La Corte ha ribadito un principio fondamentale: il delitto di cui all’art. 516 c.p. si consuma con la semplice ‘commercializzazione’ della sostanza non genuina. Questo non richiede una vendita effettiva, ma si realizza nel momento in cui il prodotto viene messo a disposizione di eventuali acquirenti, anche se conservato in un locale non adibito esclusivamente alla vendita. Nel caso di specie, le bottiglie erano state preparate, etichettate e stoccate, pronte per la spedizione: ciò è stato ritenuto sufficiente per integrare il reato consumato e non solo tentato. La Corte ha anche escluso il rapporto di specialità con la legge n. 82 del 2006, specificando che le due norme disciplinano fasi diverse: la legge speciale sanziona la fase di produzione e manipolazione del vino, mentre l’art. 516 c.p. punisce la successiva fase della commercializzazione.

Sulla Concorrenza tra i Reati di Falso

La Cassazione ha confermato la possibilità di un concorso tra i diversi reati di contraffazione. Tra l’art. 473 c.p. (falso marchio) e l’art. 517-quater c.p. (false indicazioni geografiche) non sussiste un rapporto di specialità, in quanto le norme tutelano beni giuridici diversi e possono essere applicate congiuntamente. Analogamente, la contraffazione del marchio sull’etichetta e quella del sigillo ministeriale sulla fascetta sono state considerate due condotte distinte, relative a oggetti materiali diversi (l’etichetta da un lato, la fascetta dall’altro), e quindi idonee a integrare due reati distinti in concorso tra loro (artt. 473 e 469 c.p.).

Sulla Sussistenza dell’Associazione a Delinquere

La Corte ha ritenuto ‘manifestamente infondato’ il motivo relativo all’associazione a delinquere. La sentenza di secondo grado aveva analiticamente dimostrato l’esistenza di una struttura stabile e organizzata, con una divisione dei compiti, basi logistiche e una continuità nei contatti tra i membri, elementi che vanno ben oltre il mero concorso occasionale di persone in un reato.

Le Conclusioni

La sentenza n. 13767/2024 della Corte di Cassazione consolida importanti principi in materia di contraffazione alimentare. In primo luogo, abbassa la soglia per la consumazione del reato di vendita di prodotti non genuini, legandola alla messa in commercio piuttosto che alla vendita effettiva, offrendo così una tutela più anticipata ai consumatori e al mercato. In secondo luogo, conferma un approccio rigoroso verso le frodi complesse, ammettendo che una singola operazione illecita possa integrare più reati in concorso, con conseguente inasprimento del trattamento sanzionatorio. Questa decisione rappresenta un chiaro monito per chi opera nel settore alimentare e un rafforzamento degli strumenti di tutela contro le frodi che danneggiano l’economia e la fiducia dei consumatori.

Quando si considera consumato il reato di vendita di sostanze alimentari non genuine (art. 516 c.p.)?
Secondo la sentenza, il reato si considera consumato non con la vendita effettiva, ma nel momento in cui la sostanza alimentare non genuina viene messa in commercio, ovvero tenuta in un qualsiasi locale a disposizione di potenziali acquirenti. La concreta cessione del prodotto è irrilevante per la consumazione.

È possibile che una persona sia condannata contemporaneamente per contraffazione di marchio (art. 473 c.p.) e per contraffazione di indicazioni geografiche (art. 517-quater c.p.)?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che i due reati possono concorrere. La loro applicazione congiunta è possibile perché tutelano beni giuridici diversi e la legge non prevede clausole che escludano una delle due norme in favore dell’altra.

La contraffazione di un marchio sull’etichetta e quella del sigillo ministeriale sulla fascetta DOC/DOCG sono considerati un unico reato?
No. La sentenza chiarisce che si tratta di due reati distinti che possono concorrere. La contraffazione del marchio sull’etichetta (punita dall’art. 473 c.p.) e quella dell’impronta ministeriale sulla fascetta (punita dall’art. 469 c.p.) riguardano oggetti materiali diversi e costituiscono condotte separate e autonomamente punibili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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