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Continuazione tra reati: onere prova e poteri del giudice

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che rigettava un’istanza per il riconoscimento della continuazione tra reati. Il motivo del rigetto era la mancata allegazione delle sentenze da parte della difesa. La Suprema Corte ha chiarito che, ai sensi dell’art. 186 disp. att. c.p.p., spetta al giudice acquisire d’ufficio tali documenti, essendo sufficiente che l’istante ne indichi gli estremi identificativi. Rigettare l’istanza per questo motivo costituisce un vizio di motivazione.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra reati: chi deve produrre le sentenze?

Nell’ambito della procedura penale, l’istituto della continuazione tra reati rappresenta uno strumento fondamentale per garantire una pena equa e proporzionata a chi abbia commesso più illeciti in esecuzione di un unico disegno criminoso. Tuttavia, sorgono spesso questioni procedurali su chi gravi l’onere di fornire la documentazione necessaria per tale riconoscimento. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fatto luce su un punto cruciale: il ruolo attivo del Giudice dell’esecuzione nell’acquisizione delle sentenze irrevocabili.

I fatti di causa

Il caso trae origine dal ricorso di un condannato avverso un’ordinanza del Tribunale di Siena, in funzione di Giudice dell’esecuzione. Quest’ultimo aveva rigettato l’istanza volta a ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati giudicati con tre diverse sentenze definitive. La ragione del rigetto era puramente formale: la difesa non aveva allegato materialmente le copie delle sentenze, nonostante un precedente provvedimento del giudice che ne disponeva l’acquisizione a carico dell’istante. Il condannato, tramite il suo difensore, ha impugnato tale decisione dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando un’errata interpretazione della legge processuale.

L’applicazione della continuazione tra reati e i poteri del giudice

La difesa ha sostenuto che il Giudice dell’esecuzione avesse errato nel porre a carico del condannato l’onere di allegare le sentenze. Si è richiamato l’art. 186 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, il quale stabilisce che le copie delle sentenze o dei decreti revocabili, se non allegate alla richiesta, sono acquisite d’ufficio dal giudice. Secondo il ricorrente, non esiste un onere di allegazione documentale a carico della parte in sede esecutiva, e la sua mancanza non può, pertanto, giustificare un provvedimento di rigetto. L’unico onere per l’istante è quello di indicare con precisione gli estremi dei provvedimenti di cui chiede l’esame.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato. Gli Ermellini hanno ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: per la verifica della sussistenza del vincolo della continuazione tra reati, l’esame dei provvedimenti irrevocabili è un passaggio propedeutico indispensabile. Tuttavia, la legge processuale (art. 186 disp. att. c.p.p.) stabilisce chiaramente che, qualora tali documenti non siano allegati dalla parte, il giudice ha il dovere di acquisirli d’ufficio.

L’onere dell’istante si considera soddisfatto con la semplice indicazione degli estremi identificativi delle sentenze. La Corte ha precisato che è affetto da vizio di motivazione il provvedimento che rigetta un’istanza di continuazione basandosi unicamente sulla mancata produzione documentale da parte del condannato, senza procedere all’esame delle decisioni di condanna, che sono, appunto, acquisibili d’ufficio.

L’ordinanza del Giudice dell’esecuzione che imponeva l’acquisizione a carico dell’istante è stata quindi giudicata in contrasto con le norme e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità. Di conseguenza, il provvedimento impugnato, fondato esclusivamente su tale inadempimento, è risultato illegittimo.

Le conclusioni

La sentenza in commento rafforza un importante principio di garanzia nel procedimento esecutivo. La decisione chiarisce in modo inequivocabile la ripartizione degli oneri tra la parte e il giudice: il condannato che chiede il riconoscimento della continuazione tra reati deve solo indicare quali sono le sentenze da esaminare; spetta poi al giudice, in virtù dei suoi poteri-doveri d’ufficio, acquisire materialmente tali provvedimenti. Un rigetto basato sulla mancata allegazione è illegittimo e deve essere annullato. La Corte di Cassazione ha quindi annullato l’ordinanza e rinviato il caso al Tribunale di Siena per un nuovo giudizio, che dovrà svolgersi nel rispetto di questo principio.

Chi ha l’onere di produrre le sentenze in un’istanza per la continuazione tra reati?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere di acquisire materialmente le copie delle sentenze ricade sul Giudice dell’esecuzione, che deve provvedervi d’ufficio ai sensi dell’art. 186 disp. att. c.p.p.

Cosa deve fare il richiedente per soddisfare il proprio onere?
Il richiedente (il condannato o il suo difensore) soddisfa il proprio onere indicando nell’istanza gli estremi identificativi dei provvedimenti giurisdizionali di cui chiede l’unificazione per continuazione.

Può un giudice rigettare un’istanza di continuazione solo perché non sono state allegate le sentenze?
No. Un provvedimento di rigetto basato esclusivamente sulla mancata allegazione delle sentenze da parte dell’istante è illegittimo e affetto da vizio di motivazione, poiché viola il dovere del giudice di acquisire d’ufficio tali documenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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