Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 11222 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 11222 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a GALATINA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 22/08/2023 del TRIBUNALE di LECCE udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO COGNOME che ha chiesto annullarsi con rinvio il provvedimento impugnato.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata nel preambolo il Tribunale di Lecce in composizione monocratica, adito quale giudice dell’esecuzione ai sensi degli artt. 671 cod. proc. pen. e. 188 disp. att. cod. proc. pen., ha dichiarato non luogo a provvedere sulla proposta di accordo avanzata da NOME COGNOME, ai fini dell’applicazione della disciplina della continuazione tra i reati giudicati con sentenze cii applicazione della pena emesse ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.
A ragione della decisione osserva che sono ampiamente condivisibili e giustificate le considerazioni espresse nel parere contrario del Pubblico ministero.
Ricorre COGNOME, per il tramite del difensore di fiducia AVV_NOTAIO, articolando due motivi.
2.1. Con il primo deduce violazione di legge, in relazione all’art. 666 cod. proc. pen., sul rilievo che il provvedimento impugnato è stato emesso de plano senza la previa fissazione dell’udienza in camera di consiglio, con la partecipazione necessaria del difensore e del pubblico . ministero.
2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato accoglimento dell’istanza in relazione all’art. 188 disp. att. cod. proc. pen. Lamenta, in particolare, che il Tribunale si sia limato a aderire acriticamente alle valutazioni del pubblico ministero.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
Come correttamente ricordato dalla difesa ricorrente, il modello del procedimento di esecuzione disciplinato dall’art. 666 cod. proc. pen. è costituito dalle forme dell’udienza in camera di consiglio con la partecipazione delle parti. In forza del disposto dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., la decisione di inammissibilità dell’istanza può essere adottata de plano, sentito il Pubblico Ministero, soltanto nelle ipotesi di manifesta infondatezza per difetto delle condizioni di legge e di mera riproposizione di una richiesta già rigettata.
Tanto premesso, la giurisprudenza di legittimità ha precisato le tassative condizioni che legittimano la deroga alla regola del contraddittorio assicurato dal procedimento in camera di consiglio, stabilendo che la dichiarazione di inammissibilità de plano è ammessa soltanto quando la richiesta sia identica, per oggetto e per elementi giustificativi, ad altra già rigettata o risulti manifestamente infondata per l’inesistenza dei presupposti minimi di legge. Ha altresì chiarito che la valutazione di manifesta infondatezza non deve implicare alcun giudizio di merito e alcun apprezzamento discrezionale (da ultimo Sez. 1, n. 22282 del 23/06/2020, D., Rv. 279452 – 01; Sez. 1, n. 41754 del 16/09/2014 Cherni, Rv. 260524 – 01; Sez. 3, n. 46786 del 20/11/2008, Bifani, Rv. 242477 – 01).
Anche il giudice adito ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen. è tenuto ad osservare il procedimento fissato dall’art. 666 cod. proc. pen., con l’ovvia conseguenza che il provvedimento decisorio emesso senza la previa, rituale instaurazione del contraddittorio, mediante avviso di fissazione dell’udienza camerale, nei termini fissati dall’art. 666 cod. proc. pen., commi 3 e 4, è affetto
da una causa di nullità assoluta, ex art. 178 cod. proc. pen., comma 1, lett. c), rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, ai sensi del successivo art. 179. Tale vizio infatti, determina, quanto meno, la mancata partecipazione all’udienza del difensore e che è ritenuta necessaria dal richiamato art. 666, comma 4 (Sez. 1, n. 10747 del 18/02/2009, COGNOME, Rv. 242894 – 01; Sez. 1, n. 12304 del 26/02/2014, COGNOME, Rv. 259475 – 01).
Trattandosi di normativa di carattere generale, essa deve trovare necessaria applicazione anche quando il giudice dell’esecuzione sia investito della richiesta di applicazione della disciplina della continuazione tra reati giudicati con sentenze di applicazione della pena a richiesta delle parti.
La norma di cui all’art. 188 disp. att. cod. proc. pen., nel disciplinare tale peculiare caso, non prevede deroghe allo schema procedimentale delineato dagli artt. 666 e 671 cod. proc. pen. Anzi, fissa alcuni limiti che postulano un più intenso contraddittorio tra le parti del tutto incompatibile con l’adozione, quale modello applicabile in via generale, della decisione de plano.
E’ previsto infatti che il condannato ed il pubblico ministero possano chiedere al giudice dell’esecuzione l’unificazione dei reati per effetto della disciplina del concorso formale o del reato continuato, quando abbiano raggiunto un accordo sull’entità della sanzione sostitutiva o della pena, da rideterminare comunque in misura non superiore a complessivi cinque anni di pena detentiva, limite previsto dalla legge per i casi di patteggiamento e deducibile dall’art. 444 cod. proc. pen., comma 1, nel testo modificato dalla L. 12 giugno 2003, n. 134, e dall’ art. 188 disp. att. cod. proc. pen., a sua volta sua volta novellato dalla L. 2 agosto 2004, n. 205, che ha introdotto l’istituto del patteggiamento allargato plurimo, ovvero a due anni di reclusione o di arresto, soli o congiunti a pena pecuniaria, secondo quanto previsto dall’art. 444 cod. proc. pen., comma 1 – bis. Nel caso di disaccordo del pubblico ministero il giudice, se lo ritiene ingiustificato, può accogliere egualmente la richiesta.
L’ordinamento processuale, quindi, prevede per la fase dell’esecuzione un meccanismo pattizio, analogo a quello disciplinato dalla norma di cui all’art. 444 cod. proc. pen., per il giudizio di cognizione, caratterizzato dalla determinazione negoziale tra le parti della pena da applicare a titolo di c:oncorso formale o continuazione, implicante l’adesione della parte pubblica e per il giudice le facoltà alternative di recepire l’accordo delle parti, oppure di procedere egualmente alla unificazione dei reati nei termini indicati dall’interessato a fronte di un dissenso del P.M. ritenuto ingiustificato, ovvero, se il dissenso venga considerato giustificato, di respingere la richiesta. Il giudice dell’esecuzione, qualora non aderisca alla commisurazione della pena, operata dalle parti perché incongrua per
difetto può o ratificare la richiesta, oppure respingerla, senza poter operare di propria iniziativa “una revisione discrezionale della pena proposta e delle “voci” che hanno concorso alla sua quantificazione definitiva” (Sez. 1, n. 1527 del 13/07/2018, dep. 2019, Spatola, Rv. 275169 – 01).
Muovendo dall’erroneo presupposto che il parere contrario del Pubblico ministero alla proposta del condannato costituisca, in via automatica, una condizione ostativa alla definizione del modello procedimentale previsto dagli artt. 666 cod. proc. pen. e 188 dip, att. cod. proc. pen., l’ordinanza impugnata si è discostata dai principi sin qui richiamati e va, conseguentemente, annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Lecce che, in diversa persona fisica giusta sentenza Corte cost. n. 183 del 2013 ed uniformandosi 21i principi di diritto enunciati, riesaminerà l’istanza osservando le forme del rito camerale partecipato di cui all’art. 666., commi 3, 4, 5 e 6, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Lecce.
Così deciso, in Roma 8 febbraio 2024.