Quando la Richiesta di Continuazione Reato Diventa Inammissibile
L’istituto della continuazione reato rappresenta uno strumento fondamentale nel diritto penale per garantire un trattamento sanzionatorio equo a chi commette più violazioni della legge in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione è soggetta a precisi limiti procedurali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 43229/2024) ha ribadito un principio cruciale: una volta che la continuazione è stata esclusa dal giudice della cognizione con sentenza definitiva, la questione non può essere riproposta in sede esecutiva.
Il Caso: Una Richiesta Replicata in Sede Esecutiva
Il caso analizzato trae origine dal ricorso di una persona condannata che, in fase di esecuzione della pena, si era rivolta alla Corte d’Appello di Lecce, in qualità di giudice dell’esecuzione, per ottenere il riconoscimento della continuazione tra diversi reati oggetto della sua condanna.
La Corte d’Appello aveva respinto l’istanza, evidenziando un fatto determinante: la stessa richiesta era già stata valutata e rigettata in precedenza dalla medesima Corte, ma in qualità di giudice della cognizione (ovvero nel corso del processo d’appello), con una sentenza emessa nel luglio 2020 e divenuta definitiva nel novembre 2022. Nonostante questa preclusione, la condannata ha proposto ricorso per Cassazione, contestando la decisione del giudice dell’esecuzione.
La Decisione della Cassazione sulla Continuazione Reato
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la correttezza della decisione della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno fondato la loro decisione su un’interpretazione netta dell’articolo 671 del codice di procedura penale. Questa norma disciplina l’applicazione della continuazione in fase esecutiva, ma stabilisce un limite invalicabile.
Il principio è chiaro: se il giudice della cognizione ha già affrontato la questione della continuazione, escludendola esplicitamente, la stessa istanza non può essere ripresentata davanti al giudice dell’esecuzione. Quest’ultimo, infatti, non ha il potere di modificare una valutazione di merito già cristallizzata in una sentenza irrevocabile.
Le Motivazioni Giuridiche della Suprema Corte
La motivazione dell’ordinanza si articola su due punti principali.
In primo luogo, si richiama l’articolo 671 del codice di procedura penale, che sancisce l’inammissibilità dell’istanza quando la disciplina della continuazione è già stata esclusa nel processo di merito. Nel caso di specie, la ricorrente non ha contestato nel suo ricorso il fatto che la Corte d’Appello avesse già respinto la sua richiesta con la sentenza del 2020. Questo ha reso il suo gravame privo di fondamento, poiché non si è confrontato con la reale ragione della decisione impugnata.
In secondo luogo, la Corte ha applicato l’articolo 616 del codice di procedura penale. Questa norma prevede che, in caso di inammissibilità del ricorso, il proponente sia condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma alla Cassa delle ammende. La Corte ha ritenuto che non vi fossero elementi per giustificare un errore incolpevole da parte della ricorrente nel proporre un’impugnazione palesemente infondata, quantificando la sanzione in 3.000 euro.
Le Conclusioni: Conseguenze dell’Inammissibilità e Principio di Diritto
L’ordinanza in commento rafforza un principio fondamentale per la stabilità delle decisioni giudiziarie: il cosiddetto ‘ne bis in idem’ processuale. Una questione già esaminata e decisa con sentenza irrevocabile non può essere oggetto di un nuovo giudizio. L’applicazione della continuazione reato non fa eccezione.
La pronuncia serve da monito: prima di presentare un’istanza in sede esecutiva, è essenziale verificare che la questione non sia già stata coperta dal giudicato. In caso contrario, non solo l’istanza sarà respinta, ma si andrà incontro a sanzioni economiche per aver intrapreso un’azione legale priva di presupposti. La distinzione tra la fase della cognizione e quella dell’esecuzione rimane netta, e la seconda non può diventare un’occasione per rimettere in discussione il merito delle decisioni assunte nella prima.
È possibile chiedere l’applicazione della continuazione tra reati durante la fase di esecuzione della pena?
Sì, l’articolo 671 del codice di procedura penale lo consente, ma a condizione che la questione non sia già stata valutata ed esclusa dal giudice della cognizione (cioè il giudice del processo di primo grado o d’appello) con una sentenza divenuta irrevocabile.
Cosa succede se la richiesta di continuazione è già stata respinta dal giudice del processo?
Se il giudice della cognizione ha già rigettato la richiesta di applicare la continuazione, una nuova istanza presentata in fase esecutiva è inammissibile. Il provvedimento della Corte di Cassazione in esame conferma che non si può riaprire una questione già decisa in modo definitivo.
Quali sono le conseguenze per chi propone un ricorso inammissibile in Cassazione?
Ai sensi dell’articolo 616 del codice di procedura penale, la parte che ha proposto un ricorso dichiarato inammissibile è condannata al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende. Nel caso specifico, tale somma è stata fissata in 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 43229 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 43229 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nata LIZZANELLO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 02/05/2024 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., infatti, è inammissibile l’istanza con la quale la parte chiede l’applicazione della disciplina della continuazione, quando la stessa è già stata esclusa dal giudice della cognizione.
Nel caso di specie, la ricorrente non si confronta con il provvedimento impugnato, nella parte in cui il giudice dell’esecuzione ha evidenziato che la richiesta di applicazione della disciplini della continuazione tra i reati oggetto dell’istanza era stata già rigettata dalla Corte di appello di Lecce, quale giudice della cognizione, con la sentenza emessa in data 1 luglio 2020, definitiva 1’8 novembre 2022.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., ne consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10/10/2024