Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 35042 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 35042 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME, nato a Tropea il DATA_NASCITA, avverso la ordinanza in data 20/02/2024 del Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice del riesame di sede di rinvio, ex artt. 309, 627, cod. proc. pen., visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni scritte trasmesse dal Pubblico ministero in persona del AVV_NOTAIO generale, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1. Con-ordinanza emessa a seguito della udienza camerale del 20 Ilebbraio -2024, depositata il 18 marzo 2024, il Tribunale di Catanzaro -adito dai difensori di COGNOME NOME, ex art. 309 cod. proc. pen., che chiedevano (per i residui capi A, G ed M) la declaratoria di inefficacia della misura in corso di esecuzione per intervenuto decorso dei termini massimi di fase (quelli relativi alle indagini preliminari) della custodia cautelare (artt. 297, comma 3 e 303, comma 1, cod. proc. pen.)- annullava il titolo cautelare emesso in data 10 gennaio 2023 (notificata il successivo 26), limitatamente ai reati descritti ai capi G ed M, mentre confermava (per la terza volta, a seguito di due successivi annullamenti disposti da questa Corte) il titolo cautelare impugnato con riferimento al delitto associativo mafioso descritto al capo A, non ravvisando i presupposti per l’applicazione della invocata retrodatazione dei termini di fase, anche per la completeZza del quadro gravemente indiziario (in riferimento alla contestata ipotesi associativa), valutabile solo per effetto dell’apprezzamento dei fatti descritti nella informativa di polizia giudiziaria del 2 dicembre 2021, contenente anche le dichiarazioni rese dal c. di g. NOME COGNOME in data 26 ottobre 2021; ovvero, quasi due anni dopo l’emissione del primo titolo cautelare (12 dicembre 2019, eseguito il successiVo 19) che ha mantenuto la sua efficacia, per il capo associativo mafioso contestato in cautela, per 36 giorni (annullamento, per tale capo, del Tribunale per il riesame il 24 gennaio 2020).
2. Avverso la detta ordinanza propone ricorso l’imputato, a mezzo dei difensori di fiducia, deducendo, a motivi della impugnazione, la inosservanZa della legge processuale prevista a pena di inefficacia della misura ed i tre vizi esiziali di motivazione declinati all’art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen., avendo il Tribunale confermato (pur a seguito di due annullamenti con rinvio disposti da questa Corte) il titolo cautelare (limitatamente al reato associativo sub A), in presenza di tutte le condizioni ed i presupposti processuali previsti dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., in caso contestazione c.d. a catena, per la retrodatazione del dies a quo della seconda misura cautelare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato in diritto.
Inammissibile la questione della retrodatazione della data di decorrenza della ordinanza coercitiva di natura detentiva, introdotta con istanza di riesame, non essendo interamente decorsi i termini di fase (indagini preliminari) della custodia cautelare (un anno in ragione del titolo detentivo), relativi al primo titolo custodiale, alla data di adozione della seconda ordinanza cautelare (Sez. u, n. 45246, del 19/7/2012, Rv. 253549: In tema di contestazione a catena, la
questione relativa alla retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare può essere dedotta anche nel procedimento di riesame solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a) termine interamente scaduto, per effetto della retrodatazione, al momento del secondo provvedimento cautelare; b) omissis …, Corte cost., sent. n. 293/2013).
Ritiene il Collegio di dover fare applicazione della chiara disposizione dettata, in tema di impugnazioni, dal comma 4 dell’art. 591 del cocrce di rito, che così recita: “l’inammissibilità, quando non è stata rilevata a norma del comma 2, può essere dichiarata in ogni stato e grado del procedimento”. La disposizione, dettata nell’ambito del titolo riguardante le impugnazioni in generale, trova certamente applicazione anche nell’ambito del procedimento incidentale cautelare (Sez. 5, n. 2108 del 04/04/2000, Rv. 216365). L’inammissibilità dell’impugnazione, ancorché non rilevata dal giudice della prima impugnazione, può pertanto certamente esser rilevata e dichiarata dal giudice del successivo anello della catena devolutiva.
Ad avviso del Collegio, il complesso tema delle regole in punto di retrodatazione degli effetti di un titolo cautelare, con saldatura ai tempi di emissione di un titolo antecedente (art. 297, comma 3, cod. proc. pen.) necessita di alcune precisazioni di tipo storico-sistematico, posto che la stratificazione degli interventi normativi e delle decisioni giurisprudenziali è comprensibile solo in tale prospettiva.
1.1. La giurisprudenza di legittimità, vigente il Codice del 1930, hp affrontato il tema -già durante gli anni ’60 e ’70 del secolo breve- dei possibili casi di ‘artificiosa protrazione’ della carcerazione in virtù delle ricadute del principio della ‘autonomia’ (art. 271 codice Rocco) in punto di decorrenza temporale di diversi titoli emessi nei confronti della stessa persona (già detenuta) per fatti ‘diversi’.
Le prime decisioni reperibili risalgono all’anno 1965 (Sez. 2, 23.2.1965, Sez. 3, 19/10/1965, tra le altre). Si consolidò, in quel periodo, un filone giurisprudenziale fortemente ‘creativo’, basato essenzialmente sulla verifica – in concreto – della esistenza in atti degli elementi idonei (nel medesimo procedimento) ad emettere il secondo titolo già all’atto della emissione del primo.
In tal caso, connotato dalla «colpevole inerzia» del magistrato procedente, si affermò che il secondo titolo perde di autonomia sul piano della decOrrenza e che, pertanto, il computo dei termini resta ancorato al momento della esecuzione del primo titolo.
Sono espressione di tale filone, limitandosi agli anni ’80 dello scorsò secolo: Sez. 2, 16/03/1981, Sez. 1, 6/05/1982, Sez. 2, 7/10/1983, Sez. 2, 18/05/1984 (ove si precisa che il magistrato istruttore è tenuto a dare spiegazione deOli ostacoli che hanno determinato il ritardo nella contestazione), Sez. 1, 30/07/1984.
Nella maggior parte delle decisioni si precisa, peraltro, che non è st i ifficiente – per ritenere la ‘colpevole inerzia’ – l’emersione generica della notitia criminis (sul fatto ulteriore) al momento della emissione del primo titolo, ma è necessario (come ancor oggi si ritiene, pur nell’ambito di un rivoluzionato quadro nOrmativo) che l’autorità giudiziaria disponga di ‘elementi idonei’ per contestare l’addebito sotto il profilo cautelare. Era dunque esclusa l’ipotesi patologica della c.d. contestazione a catena’ lì dove gli elementi integrativi della “sufficienza indiziaria” della originari notizia di reato fossero stati acquisiti in epoca successiva alla emiss’one del primo titolo e non vi fosse stato particolare ritardo nella loro elaborazione e trasfusione nel mandato di cattura.
1.2. Il legislatore del 1988 perde l’occasione di ‘normativizzare’ il descritto orientamento giurisprudenziale e si limita – nella stesura iniziale dell’art. 297 co.3 cod. proc. pen.- ad integrare l’ipotesi descritta all’art. 271, comma 3, del codice abrogato, aggiungendo al concorso formale (già previsto) i casi di a berratio ictus e aberratio delicti plurioffensive.
Le applicazioni del principio della «colpevole inerzia» restano dunque affidate alla opera concretizzatrice svolta dalla giurisprudenza, sino all’intervento normativo del 1995.
Il legislatore del 1995 (legge n. 332) opera un tentativo di razionalizzazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità.
Ne viene fuori il dato normativo tuttora vigente, sia pure con le numerose interpolazioni di cui si dirà in appresso: .. se nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura per uno stesso fatto, benchè diversamente circostanziato o qualificato, ovvero per fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza in relazione ai quali sussiste connessione ai sensi dell’art. 12 co.1 lett. b e c – limitatamente ai reati commessi per eseguire gli altri – i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati alla imputazione più grave. La disposizione non si applica relativamente alle ordinanze per fatti non desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione ai sensi del presente comma.
La norma, come è noto, non è di agevole lettura e, nel suo apprezzato contenuto innovativo (i fatti diversi ‘retrodatabili’), cerca di prescindere dalla verifica del ‘inerzia’ o meno dell’autorità procedente, andando a determinare un effetto “automatico” di retrodatazione (del secondo titolo al primo) in presenza di tre essenziali presupposti:
il fatto diverso contestato con il titolo ‘successivo’ deve essere stato commesso prima della emissione della prima ordinanza che genera la privaziorie di libertà;
– il fatto diverso deve essere legato al fatto già contestato da un nèsso qualificato (concorso formale, continuazione, nesso finalistico di strumentalità);
1 – i dati indizianti devono essere emersi in epoca antecedente al rinvio a giudizio relativo al fatto contestato con il primo titolo (in tale ultima prel’isione vi è richiamo implicito al principio della colpevole inerzia, ma in senso diverso dal passato; non si richiede più che i dati fossero presenti già all’atto della emissione del primo titolo, ma il rinvio a giudizio sui fatti contestati nel prime titolo – che ipotizza rapido – segna il limite di rilevanza di tale sopravvenienza)
Nella riformulazione non viene recepita l’idea ‘intermedia’ -pure ,affacciatasi in giurisprudenza- di una retrodatazione ‘parziale’ (al momentò di effettiva emersione dei dati indizianti), ma si realizza – in presenza delle suddette condizioni – la saldatura di effetti temporali tra i due (o più) titoli.
Nella norma novellata non viene altresì precisato il c.d. ‘limite implicito’ alla retrodatazione, ossia -come era ritenuto pacifico in giurisprudenza- il fatto che le plurime ordinanze fossero state emesse nel medesimo procedimentb e ciò apre ad ipotesi di “saldatura” della durata del titolo emesso in epoca successiva al primo “anche” in procedimento diverso.
La Corte costituzionale (sent. 89 del 1996), posta di fronte al dubbio di ragionevolezza della nuova disciplina (specie per quanto riguarda l’ipotesi di contestazione successiva dipendente da dati emersi, per fatti connéssi, durante le indagini, ma prima del rinvio a giudizio sul fatto ‘genetico della custodia) lo respinge.
In motivazione non si nega che la ‘traduzione normativa’ degli approdi giurisprudenziali sul tema della ‘colpevole inerzia’ si sia spinta ben oltre i confini tracciati nelle antecedenti sentenze di legittimità, ma il punto non è ritenuto decisivo. Non si ravvede, infatti, irragionevolezza nella scelta , legislativa (il principio di eguaglianza va sempre espresso nell’ambito di un giudizlo di relazione) lì dove si sia optato per la valorizzazione di specifiche ipotesi (nessÒ tra reati) che più di altre presentano elementi di correlazione contenutistica, di spessore tale da consentirne una valutazione unitaria agli effetti del trattamento cautelare.
Ciò, peraltro, in rapporto a quanto avviene durante la fase delle indagini preliminari, affidata alle iniziative investigative del Pubblico ministero, fase che mal si presta a controlli successivi sul sempre opinabile terreno dello tempestività delle acquisizioni (dunque è ritenuta ragionevole la previsione del limite del rinvio a giudizio come ‘tempo’ entro cui assume rilievo l’acquisizione dei dati contestati nel secondo titolo, sempre che sussista il nesso di connessione qualificata).
1.3. L’assetto legislativo del 1995 -nei suoi aspetti innovativi rispeitto alla genesi giurisprudenziale del principio della retrodatazione- apre numerosi fronti interpretativi, come ampiamente previsto dalla più avveduta dottrina.
Per limitarsi ai più rilevanti va ricordato quanto segue:
a) ci si interroga sulla concrebzzazione del presupposto della ‘des umibilità dagli atti’, e la giurisprudenza successiva al 1995 tende a specificare – senza particolari oscillazioni – che con ciò si vuole intendere non la mera emersione 1ella notizia di reato, ma l’esistenza obiettiva di dati con effettiva portata indiziante a carico, tali da poter determinare l’emissione del titolo cautelare;
ci si interroga – in profondità – sulla necessità o meno della ‘unicità’ del procedimento nel cui ambito vengano ad esistenza i titoli, visto che il dato normativo non chiarisce in modo espresso tale rilevante aspetto.
Il conflitto interpretativo dà luogo alla decisione delle Sez. unite n. 9 del 25/06/1997 (ric. Atene) Rv. 208167, ove si afferma la possibilità di applicazione della norma (dunque in caso di connessione qualificata tra i diversi fatti) anche in ipotesi di procedimenti diversi : il divieto della cosiddetta “contestazione a catena” di cui al terzo comma dell’art. 297 cod. proc. pen. trova applicazione in tutte le situazioni caute/ari riferibili allo stesso fatto o a fatti diversi tra cui suss connessione ai sensi dell’art. 12, comma primo, lett. b) e c), stesso codice, limitatamente ai casi di reati commessi per eseguire gli altri, a nulla rilevando che esse emergano nell’ambito di un unico procedimento o di più procedimenti, pendenti dinanzi allo stesso giudice, e quindi innanzi ad esso cumulabili, ovvero a diversi giudici, e quindi cumulabili nella sede giudiziaria da individuare a norma degli artt. 13, 15 e 16 cod. proc. pen.. Tale divieto si applica a Condizione che siano desumibili dagli atti, entro i limiti temporali rispettivamente previsti dal primo e dal secondo periodo del citato art. 297, terzo comma, per le diverse situazioni in essi previste, tutti gli elementi apprezzabili come presupposti per l’emissione delle successive ordinanze cautelar’ i cui effetti sono da retrodatare, non essendo sufficiente, ai fini della sua operatività, la mera noti2ia del fatto di reato.
Con tale arresto, le Sezioni unite di questa Corte evidenziano che il testo normativo introdotto nel 1995 prescinde dalla antecedente impostazione ‘giuirisprudenziale’ della colpevole inerzia vista come ‘rimproverabilità’ (della condotta tesa alla artificiosa protrazione dei termini) e sposa – come si è evidenziato una nozione oggettivistica del legame tra i fatti/reato, in presenza della !condizione di ‘desumibilità’ anteriore al rinvio a giudizio. Dunque, lo spirito della norma è proprio quello di rendere unico il termine di decorrenza – in tali casi – ‘anche ove le ordinanze cautelari siano state emesse in procedimenti diversi (e perfino davanti ad autorità giudiziarie diverse). Peraltro, la diversità di procedimenti nel nuovo sistema processuale ben può essere frutto di scelte discrezionali del soggetto investigante, il che rafforza l’interpretazione adottata.
Tra l’altro, nel trattare il caso oggetto del ricorso, le Sezioni unite precisano anche che non è necessario (per-applicare la norma) che il soggetto destinatario dei più titoli sia rimasto ininterrottamente in carcere, ben potendosi ‘saldare’ e dunque ‘cumulare i periodi di custodia cautelare sofferti nei diversi procedimenti (anche se interrotti) al fine di verificare se l’ordinanza da ultimo emessa abbia ancora uno “spazio di operatività cronologica” nell’ambito del limite massimo di fase (tenendo conto dei periodi già sofferti in precedenza, il che ha una concreta rilevanza nella presente fattispecie processuale, nell’ambito della quale il primo titolo ha mantenuto efficacia, prima di essere annullato dal Tribunale per il riesame per difetto dei gravi indizi di colpevolezza, per soli 36 giorni).
1.4. Il quadro sin qui illustrato muta – in parte – con le due note dec sioni dell’anno 2005 delle Sezioni Unite e della Corte costituzionale.
Va precisato che con tali decisioni viene affrontato il tema dei ‘fatti diversi non connessi’ (oggetto di plurime ordinanze); tema di notevole rilievo, anche perché le interpretazioni maturate sul testo dell’art. 297 cod. proc. pen. (nella formulazione post 1995) risultano alquanto rigide nel riconoscere, già in sede cautelare, i presupposti della connessione qualificata; il che – in uno con la segnalata posizione sul tema della ‘desumibilità piena’ (elementi consistenti) prima del rinvio a giudizio – tende di fatto a depotenziare l’ambito applicativo della norma.
Nell’affrontare il tema, dunque, le Sezioni unite 22 marzo 2005 h. 21957 (ric. Rahulia) Rv. 231057, 231058, 231059, rievocano espressamente la giurisprudenza formatasi durante la vigenza del codice Rocco e quella successiva del formante giurisprudenziale chiuso nel periodo 1989-1995.
Precisano altresì che un consistente filone giurisprudenziale anche dopo il 1995 ha continuato a ritenere che per i fatti diversi non connessi potesse appl carsi la regola della retrodatazione al primo titolo, lì dove si fosse accertato in modo incontestabile che al momento della emissione del primo titolo erano già presenti ed a disposizione della autorità giudiziaria i gravi indizi di colpevolezza (riemerge pertanto la teorica della colpevole inerzia). Precisano altresì le Sezioni unite che per le ipotesi di connessione qualificata il periodo in cui rileva la desumibilità è ‘fino al momento’ del rinvio a giudizio disposto per il fatto ‘principale’. Confermano che, in tal caso (connessione qualificata) i procedimenti possono essere diversi tra loro (e lo definiscono unico caso di possibile diversità di rocedimenti). Convalidano, per quanto riguarda i fatti diversi non connessi, tale fildne «creativo» (non essendo il caso previsto dalla norma regolatrice) che impone la retrodatazione del secondo titolo al primo, lì dove gli elementi da cyi si desume il ‘secondo’ reato fossero tutti presenti all’atto della emissione del primo titolo.
La decisione, dunque, parlando di «continuità» con la giurisprudenza degli anni 70 (ove però il limite della unicità del procedimento era pacifcb e faceva da pesante contraltare alla desumibilità) in qualche modo lo ritiene sotinteso. Che si tratti di un caso di giurisprudenza ‘creativa è innegabile, dato che il legislatore del 1995 aveva, sul punto, taciuto.
Ne è conferma la sentenza ‘additiva’ della Corte costituzionale, intervenuta pochi mesi dopo (n. 408 del 3/11/2005). La decisione afferma che la regola della retrodatazione del secondo titolo al primo – già prevista dal legis4tore per i fatti connessi emersi nel corso delle indagini – debba a fortiori essere affermata lì dove si dimostri che, anche per fatti non connessi, l’autorità giudiziaria disponeva degli elementi indizianti già all’atto della emissione del primo titolo cautelare.
Ciò che rileva è che viene interpolata la norma nella parte in cui non si applica anche a fatti diversi non connessi, quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza fossero già desumibili dagli atti al momento della emissione della precedente ordinanza.
In entrambe le decisioni si sposa, dunque, il paradigma classico della ‘colpevole inerzia’ (indizi consistenti, esistenti all’atto della emissione del prirno titolo, c non hanno dato la stura all’iniziativa cautelare solo per la pigrizia, talvolta forse perfino strategica, dell’inquirente).
Di poco successivo il nuovo intervento delle Sezioni unite di questa óprte (n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, ric. Librato, Rv. 235908, 235909, 23510, 235911), anche per dirimere i contrasti immediatamente sorti sulle ricadute delle decisioni appena sopra commentate.
La sentenza è così massimata: in tema di contestazione a catena, quando nei confronti di un imputato sono emesse in procedimenti diversi più ordinanze caute/ari per fatti diversi in relazione ai quali esiste una connessione qualificata, la retrodatazione prevista dall’art. 297, comma terzo, cod. proc. pen. opera per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza. Nel caso in cui le ordinanze caute/ari adottate in procedimenti diversi riguardino invece fatti tra i quali non sussiste la suddetta connessione e gli elementi giustificativi della seconda erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della prima, i termini della seconda ordinanza decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima, solo se i due procedimenti sono in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può essere frutto di una scelta del pubblico ministero.. .
L’elemento di reale novità di tale decisione è dunque la specificazione espress nel caso di fatti diversi non connessi, circa la possibile diversità dei procedim ma con il limite della pendenza di entrambi innanzi alla medelsima autorit giudiziaria.
La decisione, nel ricostruire la ratio del ‘recupero’ del vecchio orientamento della ‘colpevole inerzia pone l’accento sul fatto che, in tal caso (non dipendendo la saldatura dei titoli dal legame tra i fatti di cui all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen.) vi è un evidente aspetto di ‘rimproverabilità’ verso l’autorita procedente, che, pur conoscendo, anche per effetto (reati elencati nel testo dell’art. 51, comma 3 bis, cod. proc. pen.) del coordinamento investigativo posto a base della costituzione delle direzioni distrettuali antimafia, l’intero materiale probatorio ne ha contestato – in prima battuta – una sola parte.
Da ciò deriva che per poter essere applicata la regola della retroda(azione a fatti diversi non connessi o il procedimento deve essere unico (il vecchio limite implicito) oppure la stessa separazione (da cui la possibile alterità) deve derivare da una ‘scelta’ del Pubblico ministero procedente, il che comporta quantomeno l’unicità di ‘sede procedente’. Testualmente, in motivazione … è chiaro che la retrodatazione non ha ragione di operare, come invece è stato talvolta sostenuto, quando la seconda misura viene disposta in un procedimento pendente davanti a un diverso ufficio giudiziario. In questo caso, infatti, la diversità delle autorit giudiziarie procedenti indica una diversità di competenza, e fa ritenere che i procedimenti non avrebbero potuto essere riuniti e che quindi la’ sequenza dei provvedimenti cautelari non è il frutto di una scelta per ritardare la decorrenza della seconda misura.
1.5. Le precisazioni sin qui compiute portano a ritenere che l’attuale ‘quadro di riferimento’ sovrappone e contiene due diverse ‘filosofie di fOndo’: quella oggettivistica correlata al legame qualificato tra i fatti (art. 297 co.3 nel testo dell legge n.332 del ’95) e quella soggettivistica, basata sulla colpevOle inerzia (la vecchia giurisprudenza degli anni ’60, riemersa nel 2005 in virtù della saldatura interpretativa tra Sezioni unite di questa Corte e la Corte costituzionale).
A tali due filosofie corrispondono, come si è notato, due diversi reg mi giuridici di rilevabilità (fermo restando che i fatti tra loro diversi devono essere commessi prima della emissione del primo titolo):
per quanto riguarda lo stesso fatto e i fatti avvinti da connessione qualificata i procedimenti possono essere diversi, possono pendere in sedi diverse e la regola della desumibilità dagli atti di indagine opera in modo oggettivo con il limite del rinvio a giudizio per il ‘primo fatto’;
b) per quanto riguarda i fatti diversi non connessi, la desunnibilità deve essere evidente e contestuale alla emissione del primo titolo e il procedimento deve essere lo stesso o, al più, pendente presso la medesima sede giudiziaria.
Tale «doppio binario» è spesso ignorato nelle prospettazioni difensive, posto che si tende a sovrapporre le regole di rilevabilità della prima ipotesi – di maggior favore, in virtù del fatto che gli episodi delittuosi sono legati dal particolare nesso
di connessione qualificata – con quelle della seconda ipotesi, più igide, giacché riguardano i fatti diversi non correlati dalla connessione qualificata. 1.6. Seguono, per quanto specificamente rileva nella fattispecie all’esame, gli interventi delle Sezioni unite di questa Corte (sent. n. 45246 del 19/7/2012, Rv. 253549), che ammette, per la prima volta, la rilevabilità della retr datazione con l’istanza di riesame, a condizione che all’atto della emissione del s condo titolo i termini della custodia cautelare relativi al primo titolo siano già interamente decorsi (presupposto della domanda non realizzatosi nella fadispecie) e la desumibilità delle altre condizioni di apprezzamento dal testo della seconda ordinanza impugnata nella sede di riesame. Tale seconda condizione verrà travolta dall’intervento caducatorio della Corte costituzionale (sent. n. 23 del 2013). Resta però ancor oggi valido ed efficace il primo principio cohdizionante la possibilità di dedurre il vizio di inefficacia già in sede di riesalme: la tota perenzione dei termini di fase già prima della emissione del Secondo titolo cautelare, giacché solo in questo casso è evidente e non necessita di particolari accertamenti istruttori che il secondo titolo era geneticamente destinato all’aborto. Il successivo intervento delle Sezioni unite di questa Corte (Sentenza n. 23166 del 28/05/2020, COGNOME, Rv. 279347 – 01 e 02) inerisce ai temi dei termini di fase da computare, relativi anche alle fasi intermedie in caso di reresso e della particolare connessione qualificata richiesta dal testo della disposizio e normativa.
Nella vicenda oggetto di ricorso (e di ripetuti rinvii) la misura posta in esecuzione in data 19/12/2019 (occ del 12/12/2019) per il capo associativo “duplicato” con la seconda ordinanza (10/01/2023, eseguita il successivo 26 gennaio) fu annullata in sede di riesame, per inconsistenza del quadro gravemente indiziario, in data 24 gennaio 2020; la misura ebbe, pertanto, una durata di soli 36 giorni. Non ricorreva certamente il presupposto che, solo, consente di prospettare in sede di riesame la perenzione del titolo per il compiuto esaurimento del termine di fase (un anno, in ragione del titolo detentivo) relativo alle indagini preliminari.
In ogni caso, il Tribunale di Catanzaro onerato del rinvio, annullato il titolo cautelare in riferimento ai reati descritti ai capi G ed M, ha esplicitamente argomentato -alle pagine 3 e 4 della ordinanza impugnata- in ordine al profilo rilevante della desumibilità dagli atti in possesso del primo giudice circa la gravità indiziaria per l’ipotesi associativa contestata con la seconda ordinanza.
Nella fattispecie, si realizza epifania processuale del contrario, atteso che il primo titolo cautelare fu annullato proprio per difetto dei gravi indizi di colpevolezza dell’ipotesi associativa contestata. Dunque, solo per effetto delle successive
indagini, compendiate nella informativa depositata il 2 dicembre 2021 (che
conteneva le propalazioni, ritenute decisive, rese dal AVV_NOTAIO re di giustizia NOME COGNOME, raccolte nell’ottobre 2021) fu- possibile integrarre ex- novo un quadro indiziario grave in relazione alla ipotesi associativa contestaa al capo A. 3.1. Nè è censurabile nella sede di legittimità la motivazione 4iel ,tribunale dell’incidente cautelare, che ha argomentato il rigetto della Apttg nazione valorizzando, in maniera che non appare affatto illogica, la completezza del grave quadro indiziario raggiunto solo a seguito delle “nuove” dichiarazioni rese in tema di partecipazione associativa del ricorrente dal AVV_NOTAIO*ore di giustizia interrogato nell’ottobre 2021, in tempi, dunque, di molto successivi alla emissione della prima ordinanza avente ad oggetto la partecipazione asociativa del ricorrente (in tema si veda Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Rv. 276976, che si richiama anche per la messe di precedenti conformi citati in nota).
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
4.1. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimentO che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione, sussistendo evidente colpa nella intempestività della proposta impugnazione.
4.2. Ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att., cod. proc. pen. la condizione detentiva del ricorrente impone al direttore dell’istituto penitenziario di provvedere agli adempimenti indicati al comma 1 bis della medesima disposizione normativa.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 -co. 1 ter disp. att.cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27 giugno 2024.