Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 24151 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 24151 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 26/04/2024
SENTENZA
sul conflitto di competenza sollevato da: TRIBUNALE DI SANTA NOME CAPUA VETERE nei confronti di:
TRIBUNALE SANTA NOME CAPUA VETERE SEZIONE CIVILE I M INIZES F’k”ELL991/4 – GIUSTIZIA
con l’ordinanza del 05/03/2024 del TRIBUNALE di SANTA NOME CAPUA VETERE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi la competenza del giudice civile
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con decreto del 13/07/2022, ha rigettato l’istanza di pagamento dell’onorario spettante all’AVV_NOTAIO, relativamente all’attività defensìonale dalla stessa espletata – a norma dell’art. 97, comma 4, cod. proc. pen – in favore di NOME COGNOME, soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato, nell’ambito del procedimento penale recante numero r.g. mod. 21 14020/18.
1.2. L’AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, ha adito il Tribunale civile di Santa Maria Capua Vetere presentando opposizione, a norma dell’art. 702-bis cod. proc. civ., avverso tale provvedimento reiettivo e deducendo illogica, contraddittoria e incongruente applicazione della disciplina dettata dagli artt. 97, 116 e 117 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nonché violazione degli artt. 3, 24, 35 e 36 della Costituzione.
1.3. Con provvedimento del 23/02/2023, il Giudice civile del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha declinato la propria competenza, in favore della Sezione civile del medesimo Tribunale, ritenendo trattarsi di controversia avente un connotato di mera accessorietà, rispetto al processo penale al quale accede.
1.4. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Giudice penale del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere si è parimenti dichiarato incompetente e, consequenzialmente, ha ordinato la rimessione degli atti a questa Corte, per la definizione della questione.
Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi competente il Giudice civile, richiamando quanto stabilito dalle Sezioni Unite civili di questa Corte con la sentenza n. 19161 del 03/09/2009, rv. 609887. La competenza a decidere in ordine alla controversia, insorta con l’opposizione al decreto di liquidazione degli onorari del difensore (e non sul diniego all’ammissione al gratuito patrocinio), come correttamente indicato dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, appartiene infatti alla cognizione del giudice civile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il denunciato conflitto non sussiste, venendo in rilievo esclusivamente una questione attinente alla ripartizione delle controversie, all’interno di un unico ufficio giudiziario.
Giova in primo luogo richiamare i principi di diritto fissati da Sez. U, n. 491 del 29/09/2011, dep. 2012, Pislor, Rv. 251265 – 01, che affronta
specificamente il complesso tema della eventuale violazione delle regole di ripartizione degli affari, all’interno della stessa sede giudiziaria; nella parte motiva di tale decisione, infatti, può leggersi quanto segue: «Al di là del generico utilizzo, in alcune decisioni, dei termini “competente” e “competenza”, domina senz’altro, da oltre un decennio, nella giurisprudenza penale la tesi che il riparto di attribuzioni fra giudici civili e penali configuri un vero e proprio riparto di giurisdizione, con l conseguenza che in caso di erronea adizione del giudice penale in luogo del giudice civile (e viceversa), sussiste un difetto assoluto di giurisdizione penale (ovvero civile, nel caso inverso). In tal senso, v., fra le altre, e proprio in relazione fattispecie inerenti alle spese processuali (ma vedi, per orientamenti analoghi in relazione ad altre fattispecie, Sez. 4, n. 7276 del 16/12/2003, COGNOME, Rv. 227832; Sez. 4, n. 22483 del 26/04/2007, COGNOME, Rv. 237011; Sez. 1, n. 20793 del 28/04/2009, COGNOME, Rv. 244172; Sez. 1, n. 21063 del 12/05/2010, COGNOME, Rv. 247586), Sez. 6, n. 40997 del 07/11/2006, COGNOME (che ha annullato senza rinvio l’ordinanza del giudice penale che aveva dichiarato inammissibile l’istanza ad esso rivolta e ha dichiarato la giurisdizione del Tribunale civile); Sez. 1, n. 44965 del 17/11/2009, COGNOME (che ha ritenuto corretta – rigettando il ricorso proposto avverso di essa – l’ordinanza del giudice penale che aveva dichiarato inammissibile un’istanza che andava proposta al giudice civile, “in quanto diretta a giudice carente di giurisdizione rispetto alla richiesta”); Sez. 1, n. 14624 del 09/02/2011, COGNOME (che ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice penale nei confronti di quello civile); Sez. 1, n. 7529 del 10/02/2011, COGNOME (che ha rettificato in motivazione l’impugnato provvedimento del giudice penale, che aveva declinato la competenza in favore del “giudice civile competente per territorio”, specificando che si versava in ipotesi di difetto di giurisdizione e in ta senso avrebbe dovuto essere emessa “declinatoria” da parte del giudice adito). In quest’ultima decisione si richiama specificamente la “macroanomalia assimilabile al c.d. eccesso di potere giurisdizionale”, che – al di là dei “più ristrett profili considerati dall’art. 20 cod. proc. pen., per le ipotesi meno gravi di violazione delle regole sulla giurisdizione da parte del giudice ordinario rispetto a quello speciale – militare e costituzionale – o viceversa” – questa Corte a Sezioni Unite ha individuato e fissato, là dove il provvedimento del giudice risulti “esorbitante” rispetto ai “limiti interni ed oggettivi che, alla stregu dell’ordinamento positivo, discriminano il ramo civile e il ramo penale nella distribuzione della jurisdictio (Sez. U, n. 25 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214694 “. In effetti è proprio nella richiamata sentenza COGNOME delle Sezioni Unite penali – relativa peraltro a un’ordinanza del tribunale civile (ritenuta appunto viziata da difetto assoluto di giurisdizione) di accoglimento del ricorso di difensore avverso decreto di g.i.p. militare in materia di liquidazione dei compensi Corte di Cassazione – copia non ufficiale
professionali a norma della legge n. 217 del 1990 – che veniva individuata sistematicamente per la prima volta, all’interno dell’ordinamento positivo, una summa divisio nella distribuzione della jurisdictio fra il ramo civile e quello penale, ritenuti quindi due sistemi chiusi e distinti, definiti simmetricamente dall’art. 1 cod. proc. pen. e dall’art. 1 cod. proc. civ. Di contro, nell’ambito della giurisprudenza civile della Corte, espressa al suo massimo livello, si ritiene che “la distribuzione degli affari all’interno di un ufficio giudiziario appartenente alla Magistratura ordinaria non crea questioni di giurisdizione” (così, testualmente, Sez. U civ., n. 10959 del 22/05/2005), e ciò perché è di giurisdizione “solo la questione che attiene all’individuazione delle sfere di attribuzione rispettive del giudice ordinario e dei giudici speciali e alla delimitazione di tali attribuzioni rispetto all pubblica amministrazione e ai giudici stranieri, ma non quella relativa alla ripartizione degli affari tra giudici, civili o penali, appartenenti alla stess giurisdizione ordinaria” (così riassume la posizione delle sezioni civili, con ampio richiamo di precedenti, Sez. U civ., n. 19161 del 03/09/2009). …. deve condividersi l’orientamento delle Sezioni Unite civili. Depongono invero decisamente in favore di questo, a fronte dell’opposta tesi patrocinata dalla sentenza COGNOME (pur frutto di un pregevole sforzo ermeneutico), il saldo ancoraggio all’impianto generale della materia quale delineato nella nostra Carta costituzionale (v. in particolare gli artt. 102 e 103, specificamente richiamati dalla cit. Sez. U, civ., ord. n. 10959) e il chiaro conforto portato da alcune essenziali norme ordinarie (artt. 1 r.d. n.12 del 1941, 37 e 362 cod. proc. pen., richiamati sempre dalla cit. ord. 10959, cui può aggiungersi anche l’art. 28 cod. proc. pen.). 7. Chiarito ciò in via generale, e sottolineato che l’errore nella individuazione del giudice penale si può presentare in termini meramente “indicativi”, non accompagnati cioè dal contestuale mancato rispetto di determinate forme, ovvero assumere rilievo solo come riflesso della inosservanza della procedura prevista per la trattazione di un determinato affare, sarà evidentemente compito del giudice adito verificare se, in relazione al petitum sostanziale preteso, l’istante abbia seguito il corretto iter stabilito dall’ordinamento. Una volta accertato che il petitum non è stato incanalato nella sede e/o nella forma prescritta, ne conseguirà l’esito negativo in limine dell’affare, che non verrà comunque mai espresso in termini di difetto di giurisdizione. Sarà compito del giudice civile, a cui l’istanza venga poi risottoposta – per trasmissione del giudice penale, se incardinato presso il medesimo ufficio giudiziario, o a seguito di iniziativa di parte – provvedere all’occorrenza a rimettere in termini quest’ultima (art 153, comma secondo, cod. proc. civ.) per consentirle di perfezionare gli atti necessari a stabilire i contraddittorio, sempre che l’errore della parte sia ritenuto scusabile (v., per Corte di Cassazione – copia non ufficiale
concrete applicazioni, Sez. U civ., n. 24413 del 21/11/2011; Sez. 2 civ., n. 14627 del 17/06/2010)».
All’esito di tale percorso ermeneutico, le Sezioni Unite Pislor hanno dettato il principio secondo il quale, qualora il giudice penale – o, viceversa, quello civile – vengano aditi con istanze recanti pretese non proponibile mediante lo strumento utilizzato, in quanto azionabili, rispettivamente, dinanzi al giudice civile (o a quello penale), al giudice adito è riservato unicamente lo strumento della declaratoria di non luogo a provvedere, in ordine all’istanza stessa.
Tale declaratoria, poi, non può ovviamente essere preclusiva, rispetto alla nuova sottoposizione della medesima istanza effettuata secondo un iter corretto, ossia nel rispetto dei presupposti procedurali necessari.
Non può neanche porsi, del resto, una questione genuinamente concernente il riparto di competenza e, consequenzialmente, non è possibile sollevare alcun conflitto riconducibile a tale tipologia. E infatti, il conflitt competenza propriamente detto – positivo o negativo che sia – è configurabile, ai sensi dell’art. 28 cod. proc. pen., solo laddove esso coinvolga giudici appartenenti a uffici giudiziari diversi (Sez. 1, n. 4111 del 06/07/1995, Confl. comp. G.I.P. Trib. Trani in proc. Daloia, Rv. 202741 – 01).
Logico corollario di tale affermazione è che, allorquando più giudici, entrambi appartenenti alla medesima sede giudiziaria, rifiutino di prendere cognizione di un medesimo fatto, non viene in discussione la competenza – per materia o per territorio – di un determinato organo giudicante (per essere questo pacificamente individuato), ponendosi invece una mera questione di ripartizione interna degli affari giudiziari, da risolversi semplicemente grazie all’applicazione degli ordinari criteri tabellari.
La assegnazione di un affare al giudice penale o a quello civile similmente a quanto spesso accade, in ordine alla assegnazione di una determinata istanza o controversia a una sezione, piuttosto che ad un’altra – non attiene dunque al tema della giurisdizione, né configura una questione di competenza, atta a dar luogo al relativo conflitto.
Trattasi, infatti, di questione inerente alla sola distribuzione interna, ossia relativa alle modalità di ripartizione delle controversie, all’interno della medesima sede giudiziaria correttamente individuata. È utile ribadire, quindi, come la ripartizione interna delle controversie costituisca una questione di suddivisione degli affari, tra articolazioni appartenenti ad un unico ufficio e non un riparto di competenza territoriale (il principio di diritto si trova enunciato, sebbene riguardo
alle regole di riparto degli affari fra sede centrale e sezioni distaccate del medesimo Tribunale, in Sez. 4, n. 4205 del 08/01/2013, COGNOME, Rv. 254355; si vedano anche Sez. 6, n. 44713 del 08/10/2013, COGNOME, Rv. 256960 – 01 e Sez. 2, n. 27948 del 18/06/2008, COGNOME, Rv. 240697 – 01).
La risoluzione di eventuali problematiche – concernenti la distribuzione di affari, all’interno della medesima e incontroversa sede giudiziaria – non può che essere demandata al dirigente dell’ufficio, al quale spetta la titolarità del potere di assegnazione delle controversie, da esercitare motivatamente sulla base delle tabelle di organizzazione dell’ufficio.
Alla luce delle considerazioni che precedono, deve dichiararsi insussistente il dedotto conflitto, con conseguente trasmissione degli atti al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
P.Q.M.
Dichiara insussistente il conflitto e dispone la restituzione degli atti al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
Così deciso in Roma, il 26 aprile 2024.