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Confisca reati tributari: limiti e calcolo del profitto

Un imprenditore è stato condannato per aver utilizzato fatture false per creare un credito IVA fittizio. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 47619/2024, ha parzialmente annullato la condanna, stabilendo un principio fondamentale sulla confisca reati tributari: l’importo da confiscare non è l’intero credito fittizio dichiarato, ma solo la parte effettivamente utilizzata per compensare e non versare le imposte dovute. La Corte ha rinviato il caso per un nuovo calcolo della confisca e per rivalutare la concessione della non menzione della condanna.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Confisca Reati Tributari: La Cassazione definisce il Profitto

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha tracciato una linea netta sulla determinazione del profitto nei reati fiscali, incidendo direttamente sull’applicazione della confisca reati tributari. Il principio affermato è cruciale: la confisca non può colpire l’intero importo del credito d’imposta fittizio creato, ma deve limitarsi alla sola parte di esso effettivamente utilizzata per non pagare le tasse. Questa decisione chiarisce un aspetto fondamentale, distinguendo tra la consumazione del reato e la quantificazione del vantaggio economico illecito.

I Fatti del Caso

Un imprenditore, in qualità di legale rappresentante di una società, veniva condannato in primo e secondo grado per il reato previsto dall’art. 2 del D.Lgs. 74/2000. L’accusa era di aver inserito nella dichiarazione dei redditi fatture relative a operazioni inesistenti, creando così un ingente credito IVA fittizio di oltre 115.000 euro. Oltre alla pena (con sospensione condizionale), i giudici di merito avevano disposto la confisca dell’intero importo del credito, identificandolo come il profitto del reato.

L’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, sollevando tre questioni principali:
1. Un vizio di motivazione sulla sussistenza del reato.
2. La mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna.
3. L’errata quantificazione della somma confiscata, ritenuta sproporzionata rispetto al reale profitto conseguito.

La Corretta Applicazione della Confisca nei Reati Tributari

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il motivo relativo alla confisca reati tributari. I giudici hanno chiarito che il “profitto” del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti non coincide automaticamente con l’intero credito fittizio indicato in dichiarazione.

Il reato si perfeziona con la presentazione della dichiarazione mendace. Tuttavia, il profitto, inteso come vantaggio economico concreto, si realizza solo nel momento in cui il contribuente utilizza quel credito fittizio per compensare debiti tributari reali, omettendo di versare le imposte dovute. In altre parole, il danno per l’Erario e il vantaggio per il reo corrispondono all’imposta effettivamente non pagata grazie all’artificio contabile.

Distinzione tra Credito Dichiarato e Credito Utilizzato

Nel caso specifico, era emerso che del credito fittizio di oltre 115.000 euro, l’imprenditore ne aveva utilizzato solo una parte (circa 42.500 euro) in compensazione. La quota residua, di circa 73.000 euro, non solo non era mai stata usata, ma era stata addirittura eliminata in una successiva dichiarazione IVA, rendendola non più utilizzabile.

La Corte ha stabilito che confiscare l’intero importo sarebbe stato errato. La somma confiscabile deve essere ricondotta esclusivamente all’ammontare che è stato “realmente portato in compensazione con l’importo delle imposte dovute”.

La Decisione della Corte di Cassazione

Sulla base di queste argomentazioni, la Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata su due punti specifici, rinviando il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo giudizio.

Le Motivazioni

La Corte ha specificato che la motivazione per negare il beneficio della non menzione della condanna era illegittima. I giudici di merito avevano fatto riferimento a un presunto collegamento con società estere, circostanza per la quale l’imputato era stato assolto. Pertanto, tale motivazione era basata su un presupposto fattuale errato.

Per quanto riguarda la confisca reati tributari, la motivazione è stata ancora più netta. I giudici hanno ribadito che il profitto confiscabile è il risparmio d’imposta concretamente ottenuto. Confiscare un credito fittizio mai utilizzato equivarrebbe a colpire un vantaggio solo potenziale e non effettivo, andando oltre la logica della misura ablatoria. La confisca deve colpire il vantaggio patrimoniale diretto derivante dal reato, che in questo caso è l’imposta evasa tramite l’indebita compensazione.

Le Conclusioni

La sentenza stabilisce un principio di proporzionalità e concretezza fondamentale in materia di confisca reati tributari. Il profitto non è un concetto astratto, ma un vantaggio economico tangibile. Per i reati fiscali basati su crediti inesistenti, tale vantaggio si materializza solo con l’effettivo utilizzo del credito per abbattere il debito d’imposta. Questa pronuncia offre una guida chiara per i giudici di merito e una garanzia per i contribuenti, assicurando che la sanzione patrimoniale sia commisurata al reale illecito arricchimento e non a un importo meramente dichiarato e mai sfruttato.

In caso di dichiarazione fraudolenta con crediti IVA fittizi, cosa costituisce il profitto del reato da confiscare?
Secondo la sentenza, il profitto del reato non è l’intero credito fittizio indicato nella dichiarazione, ma solo la parte di tale credito che è stata effettivamente utilizzata in compensazione per non versare le imposte dovute. Il profitto è il risparmio d’imposta concreto.

L’intero importo di un credito d’imposta inesistente è sempre confiscabile?
No. La parte del credito inesistente che non è mai stata utilizzata per compensare debiti tributari, e che non è più utilizzabile, non può essere oggetto di confisca. La confisca deve essere limitata al vantaggio economico realmente conseguito.

È legittimo negare il beneficio della non menzione della condanna sulla base di fatti per i quali l’imputato è stato assolto?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la motivazione per negare un beneficio, come la non menzione, non può basarsi su elementi di fatto (nel caso di specie, rapporti con società estere) relativi a un’accusa dalla quale l’imputato è stato assolto in un precedente grado di giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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