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Confisca post-sentenza: il rinvio al giudice civile

La Corte di Cassazione ha stabilito che non è impugnabile il provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione, dopo aver revocato una confisca post-sentenza, rimette le parti davanti al giudice civile per risolvere la controversia sulla proprietà dei beni. Tale atto è considerato interlocutorio, non decisorio, e non pregiudica i diritti delle parti, che potranno essere fatti valere nel successivo giudizio civile.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca post-sentenza: quando la decisione non è impugnabile

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 1830 del 2024, chiarisce un importante aspetto procedurale relativo alla confisca post-sentenza. Il caso analizzato offre spunti cruciali sulla gestione dei beni sequestrati dopo la conclusione di un procedimento penale e sulla ripartizione di competenze tra giudice penale e civile. La Corte ha stabilito che l’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione, pur revocando la confisca, demanda al giudice civile la risoluzione della controversia sulla proprietà dei beni non è impugnabile.

I fatti del caso: dal proscioglimento alla confisca

La vicenda trae origine da un procedimento penale conclusosi con una sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Inizialmente, il giudice della cognizione aveva disposto la restituzione dei beni sequestrati all’imputato. Tuttavia, in un momento successivo, il Tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione, emetteva un provvedimento di confisca sugli stessi beni, ai sensi degli artt. 676 c.p.p. e 240 c.p.

L’interessato proponeva ricorso contro tale provvedimento, lamentando principalmente due vizi:
1. La violazione del diritto di difesa, poiché la confisca era stata disposta inaudita altera parte, cioè senza instaurare un contraddittorio.
2. L’illegittimità dell’ordinanza, in quanto contrastante con la precedente sentenza che aveva ordinato la restituzione dei beni.

L’opposizione e la decisione del Tribunale dell’Esecuzione

A seguito dell’opposizione dell’interessato, qualificata come tale ai sensi dell’art. 667, comma 4, c.p.p., il Tribunale dell’esecuzione riesaminava la questione. Pur riconoscendo che i beni non potevano essere confiscati, il giudice revocava il provvedimento di confisca ma, allo stesso tempo, disponeva la rimessione delle parti davanti al giudice civile per dirimere la questione sulla titolarità dei beni, mantenendo nel frattempo il vincolo del sequestro.

È contro quest’ultima decisione che l’interessato ha proposto ricorso per Cassazione, ritenendola lesiva dei suoi diritti.

La natura della confisca post-sentenza e la pronuncia della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo infondato. Gli Ermellini hanno chiarito che il provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione rimette la decisione sulla proprietà di beni sequestrati al giudice civile non è un atto impugnabile.

Le motivazioni della Corte

La decisione della Suprema Corte si basa su un consolidato orientamento giurisprudenziale. Il provvedimento che rinvia al giudice civile non ha un contenuto decisorio, né formale né sostanziale. Si tratta di un atto meramente interlocutorio, che non pregiudica i diritti delle parti. Queste ultime, infatti, avranno piena facoltà di far valere le proprie ragioni e presentare le proprie prove nel corso del giudizio civile, che è la sede deputata a risolvere le controversie sulla proprietà.

In sostanza, il giudice dell’esecuzione, di fronte a una contestazione sulla titolarità dei beni, si limita a individuare il foro competente per la risoluzione, senza esprimere un giudizio definitivo sul diritto di proprietà. Di conseguenza, non avendo natura decisoria, tale ordinanza non può essere oggetto di ricorso in Cassazione. La Corte ha inoltre precisato che, data la natura interlocutoria dell’atto, non era necessario instaurare un preventivo contraddittorio per la sua adozione. Il contraddittorio sarà, invece, pienamente garantito davanti al giudice civile.

Le conclusioni

La sentenza in esame ribadisce un principio fondamentale: la netta separazione tra la giurisdizione penale dell’esecuzione e quella civile. Quando sorge una controversia puramente civilistica, come la titolarità di un bene, il giudice penale deve astenersi dal decidere e rimettere la questione all’autorità giudiziaria competente. La decisione di rinvio non è una sentenza nel merito, ma un atto di indirizzo procedurale, e come tale non è appellabile. Per i cittadini, ciò significa che le dispute sulla proprietà dei beni sequestrati in un procedimento penale, una volta esaurita la fase penale, devono essere risolte nelle aule del tribunale civile, dove il diritto di difesa e il contraddittorio saranno pienamente esercitati.

È possibile disporre la confisca dei beni dopo che la sentenza penale è diventata definitiva?
Sì, il giudice dell’esecuzione può disporre la confisca anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza, nei casi previsti dalla legge, come stabilito dall’art. 676 del codice di procedura penale.

Cosa succede se il giudice dell’esecuzione rimanda la questione della proprietà dei beni al giudice civile?
Questa decisione è un provvedimento interlocutorio che non risolve la controversia sulla proprietà, ma la trasferisce alla sede giudiziaria competente. Il vincolo del sequestro sui beni può essere mantenuto in attesa della decisione del giudice civile.

È possibile fare ricorso in Cassazione contro l’ordinanza che rinvia le parti al giudice civile per decidere sulla proprietà dei beni sequestrati?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che tale provvedimento non è impugnabile perché non ha contenuto decisorio e non pregiudica i diritti delle parti, le quali potranno farli valere compiutamente nel giudizio civile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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