Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38621 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38621 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CASAL DI PRINCIPE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 16/06/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
A GLYPH
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 16 giugno 2023 la Corte di appello di Napoli ha rigettato l’opposizione, proposta da NOME COGNOME, avverso quella con cui il medesimo ufficio giudiziario, il 30 giugno 2021, ha disatteso la richiesta di restituzione degli orologi sequestrati il 10 maggio 2010 nell’ambito del procedimento penale promosso nei confronti di NOME e NOME COGNOME, rispettivamente marito e figlio della COGNOME.
Ha, a tal fine, rilevato che, all’esito del giudizio di merito, quei beni sono stati confiscati perché ritenuti nella disponibilità di NOME COGNOME e che la COGNOME si è limitata a dedurre, senza in alcun modo provare la fondatezza di quanto asserito, di esserne proprietaria.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’AVV_NOTAIO, ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per avere il giudice dell’esecuzione respinto la richiesta di restituzione degli orologi senza considerare che il loro sequestro, disposto di iniziativa dalla Polizia giudiziaria, non è mai stato convalidato.
Eccepisce, ulteriormente, che la confisca dei beni già in sequestro e nella disponibilità di NOME COGNOME non può essere riferita, in assenza di specificazione alcuna, ai quei determinati oggetti, dei quali ella è proprietaria, avendoli acquistati con i proventi della propria attività lavorativa lecita.
Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché vertente su censure manifestamente infondate.
Il giudice dell’esecuzione ha, invero, chiarito, in termini alieni da qualsivoglia frattura razionale e coerenti con le evidenze disponibili, che i beni dei quali NOME COGNOME invoca la restituzione, sequestrati presso la sua abitazione in esito alla perquisizione effettuata il 10 maggio 2010 e ritenuti nella disponibilità del marito e del figlio, devono intendersi ricompresi nella confisca disposta all’esito del giudizio promosso nei confronti del secondo.
Tanto vale, in primo luogo, a sterilizzare le censure che la ricorrente rivolge alla ritualità del sequestro, ovvero alla fase cautelare del procedimento, superata
dalla successiva adozione del provvedimento ablatorio del quale è stata chiesta, con incidente di esecuzione, la revoca.
NOME COGNOME, che non ha partecipato al giudizio di cognizione svolto a carico del marito e del figlio – suggellato dalla loro condanna alla pena, rispettivamente, di dodici anni e nove mesi di reclusione e dieci anni e tre mesi di reclusione – è, dunque, legittimata, quale terza interessata, a chiedere, nelle forme previste dall’art. 676 cod. proc. pen., che, accertata la sua titolarità del bene, questo le venga restituito, previa revoca della disposta confisca (in questo senso, nella giurisprudenza di legittimità, vedi, tra le altre, Sez. 1, n. 4096 del 24/10/2018, dep. 2019, Lacatus, Rv. 276163 – 01; Sez. 1, n. 3311 del 11/11/2011, dep. 2012, Lonati, Rv. 251845 – 01).
La COGNOME, nell’introdurre l’incidente di esecuzione e, quindi, nel proporre opposizione e, infine, ricorso per cassazione, ha sostenuto di essere proprietaria dei beni rinvenuti presso l’abitazione familiare senza in alcun modo confortare tale assunto sul piano probatorio e si è limitata ad evocare, in termini parimenti generici, che la propria capacità economico-reddituale le aveva consentito di acquistarli, all’uopo destinando risorse di fonte lecita: affermazione, questa, che appare priva di qualsivoglia rilevanza, in questa sede, perché non accompagnata, come già osservato dalla Corte di appello nell’ordinanza del 30 giugno 2021, dalla documentata indicazione di tipologia e consistenza degli oggetti de quibus agitur, del tempo di acquisto, del valore, della proporzione tra gli investimenti effettuati, il suo reddito ed il suo residuo patrimonio.
Nel contesto così delineato, tangibile appare la fragilità dei rilievi sottesi all’impugnazione, del tutto inidonei ad evidenziare, nel provvedimento impugnato, il segnalato deficit di legittimità.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso il 26/06/2023.