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Condono edilizio: requisiti e limiti secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una proprietaria contro il rigetto della sua istanza di revoca di un ordine di demolizione. Il caso verteva su un tentativo di regolarizzare un immobile abusivo tramite condono edilizio. La Corte ha confermato la decisione del giudice di merito, evidenziando tre criticità fatali: la domanda di condono era stata presentata da un soggetto non legittimato (il figlio della proprietaria); l’immobile non era stato completato ‘al rustico’ entro il termine di legge del 31 dicembre 1993; e, trovandosi in zona vincolata, mancava l’autorizzazione paesaggistica espressa, non potendosi applicare il principio del silenzio-assenso.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Condono Edilizio: Quando è Davvero Possibile Sanare un Abuso?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1868 del 2024, torna a fare chiarezza sui paletti invalicabili per accedere al condono edilizio, una materia tanto complessa quanto sentita. La decisione sottolinea tre requisiti fondamentali la cui assenza rende impossibile sanare un’opera abusiva: la legittimazione del richiedente, lo stato di completamento dei lavori entro i termini di legge e la necessità di un’autorizzazione paesaggistica esplicita nelle zone vincolate. Analizziamo insieme questo importante caso.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un ordine di demolizione emesso a seguito di due sentenze di condanna per abusi edilizi, consistenti nell’ampliamento di un fabbricato a uso abitativo in un noto comune insulare. La proprietaria dell’immobile, destinataria dell’ordine, aveva cercato di bloccarne l’esecuzione basandosi su un titolo abilitativo in sanatoria rilasciato dal Comune. Tuttavia, il Giudice dell’esecuzione aveva dichiarato illegittimo tale titolo e respinto l’istanza. La questione è così giunta fino alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte e il Condono Edilizio

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione del giudice di merito. La sentenza si fonda su una motivazione dettagliata che smonta, punto per punto, la validità della procedura di sanatoria intrapresa. I giudici hanno individuato tre vizi insanabili che hanno reso impossibile l’accoglimento della richiesta di condono.

Le Motivazioni della Sentenza

La decisione della Cassazione si articola su tre pilastri giuridici fondamentali che chiariscono i requisiti per un valido condono edilizio.

La Legittimazione a Richiedere il Condono Edilizio

Il primo ostacolo, insormontabile, è stato individuato nella mancanza di legittimazione del soggetto che aveva presentato la domanda di condono. L’istanza era stata avanzata dal figlio della proprietaria, committente e responsabile delle opere abusive. La Corte ha ribadito un principio consolidato: i soggetti legittimati a presentare l’istanza di concessione in sanatoria sono figure ben definite come il proprietario, il titolare della concessione edilizia, il committente, il costruttore o il direttore dei lavori. Il semplice status di figlio del proprietario non conferisce, di per sé, la legittimazione a richiedere il condono. L’istanza, quindi, era viziata fin dall’origine.

Il Requisito del Completamento dell’Opera “al Rustico”

Il secondo punto critico riguarda lo stato dei lavori. Le leggi sul condono edilizio stabiliscono una data precisa (in questo caso, il 31 dicembre 1993) entro cui l’immobile abusivo deve essere stato completato almeno “al rustico” per poter essere sanato. Dagli accertamenti processuali era emerso che non solo l’opera non era ultimata entro tale data, ma che i lavori erano proseguiti anche successivamente, nel 1995 e nel 1999. La prosecuzione delle opere abusive oltre il termine massimo ha reso inapplicabile la sanatoria. Affermare apoditticamente che l’immobile “poteva essere stato completato” non è sufficiente a superare le prove concrete emerse in giudizio.

L’Inapplicabilità del Silenzio-Assenso in Zona Vincolata

Infine, la Corte ha affrontato la questione più delicata: l’autorizzazione paesaggistica. L’immobile si trovava in una zona soggetta a vincolo paesaggistico. In questi contesti, la legge impone un regime di tutela rafforzato. La difesa sosteneva che si fosse formato il cosiddetto silenzio-assenso, ossia che la mancata risposta dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo valesse come approvazione. La Cassazione ha nettamente respinto questa tesi, ribadendo che in tema di tutela del paesaggio, il provvedimento autorizzatorio deve avere sempre forma espressa. Il silenzio dell’amministrazione non può mai avere valore di assenso, data la necessità di un’attenta valutazione degli equilibri ambientali e delle competenze regionali e statali. La mancanza di un parere favorevole esplicito da parte della Soprintendenza ha rappresentato il colpo di grazia per la pratica di condono.

Le Conclusioni

Questa sentenza riafferma con forza i principi cardine che governano il condono edilizio. Per poter sanare un abuso non basta presentare una domanda, ma è necessario che questa provenga da un soggetto legittimato, che l’immobile rispetti i requisiti temporali e strutturali imposti dalla legge e che, soprattutto in aree protette, siano state ottenute tutte le autorizzazioni espresse dagli enti competenti. La decisione funge da monito: la sanatoria è un’eccezione, non una regola, e le sue condizioni di applicabilità devono essere interpretate con rigore per tutelare il territorio e la legalità.

Chi è legittimato a presentare la domanda di condono edilizio?
Secondo la Corte, sono legittimati il proprietario della costruzione, il titolare della concessione edilizia, il committente delle opere, il costruttore e il direttore dei lavori. La sentenza esclude che i figli del proprietario, in quanto tali, abbiano questa legittimazione.

È possibile ottenere il condono per un’opera non completata ‘al rustico’ entro i termini di legge?
No. La sentenza chiarisce che il mancato completamento del manufatto abusivo almeno ‘al rustico’ entro il termine massimo stabilito dalla legge (in questo caso, il 31 dicembre 1993) è un motivo ostativo alla concessione della sanatoria.

Nelle zone con vincolo paesaggistico, vale il principio del silenzio-assenso per l’autorizzazione?
Assolutamente no. La Corte ribadisce che in caso di opere eseguite in zona vincolata, l’autorizzazione da parte delle Amministrazioni preposte alla tutela del vincolo deve essere espressa. La procedura del silenzio-assenso non è applicabile in materia di tutela del paesaggio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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