Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 8299 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 8299 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/12/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
NOME COGNOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 07/09/2023 del TRIBUNALE di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Procuratore Generale, nella persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Napoli, con ordinanza del 07/09/2023, pronunciando in sede di rinvio disposto dalla Corte di cassazione Sez. 3, n. 23564 del 26/04/2018 a seguito dell’annullamento di una precedente ordinanza dello stesso Tribunale, relativa ad opposizione avverso ordine di demolizione, ha rigettato la richiesta di NOME COGNOME e NOME COGNOME tesa ad ottenere la revoca o la sospensione dell’ingiunzione di demolizione n. 428/1998, con declaratoria di inammissibilità dell’azione esecutiva promossa dal Pubblico ministero.
1.1. Il Tribunale di Napoli ha esposto che:
l’ordine di demolizione era relativo alla sentenza n. 4428 emessa il 16 maggio 1997 dalla Pretura Circondariale di Napoli, divenuta irrevocabile il 13 maggio 1998, che, unitamente all’applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., aveva ordinato la demolizione del manufatto, realizzato in violazione degli artt. 20 lett. b) I. n. 47/1985, I. n. 1086 del 1971, I. n. 64 del 1974, I. n. 431/1985, 221 R.D. 1265/1934 e 349 c.p., costituito da un corpo di fabbrica di circa 280, mq composto da seminterrato adibito a deposito di calzature, un piano rialzato e un primo piano costituenti un unico appartamento su due livelli composto di otto vani ed accessori;
il Pubblico ministero aveva ritualmente ingiunto la demolizione delle opere abusive nell’ambito della procedura n. 428/1998;
avverso tale ordine di demolizione era stato proposto incidente d’esecuzione, deciso con ordinanza di accoglimento depositata il 10 marzo 2017, che la Corte di cassazione – su impugnativa della Procura della Repubblica – aveva annullato con rinvio con la sentenza del 26 aprile-25 maggio 2018;
la sentenza di annullamento aveva osservato che attraverso il meccanismo della presentazione di tre distinte istanze di condono in relazione a ciascuno dei piani costituenti l’immobile abusivo in parola era stato aggirato il limite di cubatura condonabile previsto dalla legge n. 724/1994, art. 39, comma 1, pari a 750 mc, risultando invece in tal modo sanato un intervento edilizio da cui era stato ricavato il ben superiore volume di 1.727 mc;
nell’ambito del giudizio di rinvio, gli istanti avevano dedotto di aver presentato tre distinte domande di condono, con i consequenziali effetti quanto al limite di cubatura, e che il rilascio del condono aveva determinato la revoca dei presupposti dell’ordine di demolizione;
dalla documentazione prodotta si deduceva che, pur essendo state a suo tempo presentate tre distinte domande di condono (da COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME) le stesse risultavano depositate nel medesimo contesto giacché avevano numero di protocollo consecutivo;
con disposizione dirigenziale n. 29344 del 14 dicembre 2011 era stato rilasciato il condono edilizio in favore di COGNOME NOME in relazione alla porzione dell’immobile situata al primo piano dello stabile e la relativa domanda risultava presentata a nome dello stesso con l’indicazione esclusiva dei propri dati, il 31 marzo 2010;
i bollettini di pagamento delle somme previste a titolo di oblazione erano stati pagati a nome di NOME COGNOME ed in effetti vi era agli atti una nota allegata di trasmissione della domanda da parte di COGNOME NOME, per conto della coniuge COGNOME NOME, titolare della pratica di condono edilizio n. 9437 del 1995; in tutti e due i casi COGNOME NOME aveva delegato per il ritiro l’architet
NOME COGNOME; la domanda iniziale era stata presentata dalla COGNOME il ottobre 1997, unita alla dichiarazione che si trattava di una unica abitazione della richiedente proprietaria e con disposizione dirigenziale n. 29342 del 14 dicembre 2011, era stato rilasciato il condono a favore di COGNOME NOME in relazione alla porzione di immobile sita al piano rialzato;
la relativa domanda era stata compilata su apposito modulo sottoscritto da COGNOME NOME e relativo a domanda avanzata dallo stesso in data 31 marzo 2010 mentre i bollettini erano stati pagati a nome di COGNOME NOME ed in effetti vi era allegata una nota che attestava trattarsi di versamenti per conto della figlia NOME NOME, titolare della pratica di condono edilizio n. 9436 del 1995; anche in questo caso era stato COGNOME NOME ad incaricare della pratica l’architetto COGNOME e la domanda di condono era stata presentata il 20 ottobre 1997 da COGNOME NOME in qualità di interessata in fatto, essendosi qualificata come figlia della proprietaria dell’immobile che costituiva la propria abitazione principale;
con disposizione dirigenziale n. 29830 del 14 febbraio 2012, era stato rilasciato condono edilizio a favore di COGNOME NOME in relazione alla porzione situata nel piano seminterrato dell’immobile; la relativa domanda era stata presentata da COGNOME NOME il 30 dicembre 2011 ed era stato delegato lo stesso architetto COGNOME;
i bollettini erano stati pagati a nome di COGNOME ed era allegata una nota di trasmissione relativa alla pratica n. 9435 da parte di COGNOME ed era stato delegato sempre l’architetto COGNOME; il pagamento dei diritti di segreteria per le tre pratiche era stato effettuato da COGNOME;
pertanto, emergeva l’unitarietà delle procedure tutte riferite all’unico immobile già così descritto nel capo d’imputazione, chiaramente finalizzate a superare il limite di volume di 750 mc previsto dalla legge.
Avverso tale ordinanza ha proposto nuovo ricorso per cassazione la difesa di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, articolando un unico motivo con il quale deduce violazione di legge in relazione agli artt. 39 e 43 I. n. 724 del 1994 ed illogicità manifesta, travisamento del fatto e difetto di motivazione; in particolare, si sostiene che il giudice abbia travisato i fatti relativi alla insussistenza d requisito volumetrico e che invece i titoli abilitativi fossero del tutto legittimi.
Si deduce che, ai fini dell’accesso al condono edilizio, i limiti volumetrici previsti dalla normativa andavano riferiti a ciascuna richiesta di condono in sanatoria, là dove ogni edificio va inteso come complesso unitario in quanto faccia capo ad un unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono. Nel caso in specie il Tribunale non aveva considerato che erano state presentate tre distinte pratiche di condono relative a due immobili distinti, seppur compresi
nel medesimo fabbricato, tanto che il Comune di Napoli aveva espresso parere favorevole alla pratica di condono.
Il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME ha rassegnato conclusioni scritte, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Entrambi i ricorsi sono infondati.
Alla luce della ricostruzione della vicenda fattuale e processuale sopra sinteticamente riportata, va osservato che il Tribunale, mediante analitiche ed esaustive valutazioni immuni da errori di diritto, ha verificato, tramite la disamina attenta della documentazione edilizia relativa alle pratiche di sanatoria sopra descritte, la consistenza delle opere, la normativa di riferimento, in base alle quali erano stati rilasciati i permessi a costruire in sanatoria, le ragioni dell’illegittim di tale provvedimento (cubatura realizzata ampiamente superiore a 750 mq.) in quanto tutte le opere erano relative ad un unico immobile.
Le censure, dedotte nel ricorso sono prevalentemente ripetitive di quanto esposto in sede di esecuzione ed infondate, perché in contrasto con quanto accertato e congruamente motivato dal Tribunale.
Dette doglianze, peraltro – quantunque prospettate come vizi di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e), – costituiscono nella sostanza eccezioni in punto di fatto poiché non inerenti ad errori di diritto o vizi logici della decisione impugnata, ma alle valutazioni operate dai giudici di merito.
Si chiede, in realtà, al giudice di legittimità una rilettura degli atti processual per pervenire ad una diversa interpretazione degli stessi, più favorevole alla tesi difensiva del ricorrente.
Trattasi di censure non consentite in sede di legittimità perché in violazione della disciplina di cui all’art. 606 cit. (Sez. 5, n. 13648 del 03/04/2006, COGNOME, Rv. 233381; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944; Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, Clarke, Rv. 203428).
Il provvedimento impugnato è del tutto coerente alla costante interpretazione di questa Corte di legittimità, secondo la quale ai fini del condono edilizio di cui alla L. 23 dicembre 1994, n. 724, nella vigenza della quale sono state presentate al Comune le domande degli odierni ricorrenti, il limite volumetrico di 750 metri cubi previsto dall’art. 39, comma 1, applicabile a tutte le opere, senza
distinzione tra residenziali e non residenziali (Sez. 3, Sentenza n. 20889 del 10/06/2020 -dep. 15/07/2020, COGNOME Somma, Rv. 279313), non può essere eluso attraverso singole istanze presentate in relazione ad un fabbricato unitario facente capo ad un unico proprietario.
Da ultimo, si veda Sez. 4. del 17/10/2023, n.44650, secondo cui, in conformità alla giurisprudenza di legittimità, non è ammissibile il condono edilizio di una costruzione quando la richiesta di sanatoria sia presentata frazionando l’unità immobiliare in plurimi interventi edilizi, in quanto è illecito l’espediente denunciare -é littiziannente la realizzazione di plurime opere non collegate tra loro, quando, invece, le stesse risultano finalizzate alla realizzazione di un unico manufatto e sono a esso funzionali, sì da costituire una costruzione unica (Sez. 3, n. 20420 del 08/04/2015, COGNOME, Rv. 263639 – 01). Cfr. anche Sez. 3, n. 44596 del 20/05/2016, COGNOME, Rv. 269280 – 01, per cui in materia di condono edilizio disciplinato dalla L. 24 novembre 1994, n. 724, ai fini della individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilità della sanatoria, ogni edificio va inteso quale complesso unitario qualora faccia capo ad un unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle separate unità che compongono tale edificio devono riferirsi ad un’unica concessione in sanatoria, onde evitare l’elusione del limite legale di consistenza dell’opera.
Qualora, invece, per effetto della suddivisione della costruzione o della limitazione quantitativa del titolo abilitante la presentazione della domanda di sanatoria, vi siano più soggetti legittimati, è possibile proporre istanze separate relative ad un medesimo immobile (fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto inapplicabile il condono, essendo emerso che l’immobile era stato interamente realizzato ed era di proprietà di un unico soggetto).
Ai fini della individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilità del sanatoria, ogni edificio va dunque inteso quale complesso unitario, che faccia capo ad unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle separate unità che compongono tale edificio devono riferirsi ad una unica concessione in sanatoria, onde evitare la elusione del limite di 750 mc. attraverso la considerazione di ciascuna parte in luogo dell’intero complesso, come affermato costantemente anche dal Consiglio di Stato (cfr. sentenza n. 933/2021), secondo cui il limite di 750 mc. previsto dalla legge per le nuove 3 costruzioni non può essere eluso attraverso la ripartizione delle stesse in tante autonome unità.
Segue al rigetto dei ricorsi la condanna dei ricorrenti al pagamento d spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processua Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2023.