Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 30213 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 30213 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Domodossola (VB) il 06/09/1946 avverso la sentenza del 23/01/2025 della Corte d’appello di Torino; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso; letta la memoria del difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 1/7/2022, il Tribunale di Torino dichiarava NOME NOME responsabile di bancarotta fraudolenta distrattiva in relazione ai capi 1.5 e 1.7 dell’imputazione, ovvero per la distrazione di euro 3.633.593,89 ai danni della fallita RAGIONE_SOCIALE s.p.a. e a favore della B&S s.p.a. e della RAGIONE_SOCIALE, nonché di euro 630.000,00 a favore della RAGIONE_SOCIALE per saldare posizioni debitorie di terzi precedenti al 20 luglio 2010, riconducibili a RAGIONE_SOCIALE s.p.a. e B.&S. s.p.a.: tanto non nel contestato ruolo di amministratore di fatto della fallita, bensì di concorrente esterno, quale
«collaboratore esterno di RAGIONE_SOCIALE» e «socio di RAGIONE_SOCIALE». In particolare, la contestazione inerisce il drenaggio di risorse dalla RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE a vantaggio di B&S s.p.a., «al fine di consentire a quest’ultima di accedere alla procedura di concordato preventivo». Riconosciute le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti, l’imputato è stato condannato alla pena di due anni e due mesi di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Contestualmente, il Tribunale ha assolto il COGNOME dai restanti fatti di bancarotta a lui ascritti per non aver commesso il fatto, e lo ha dichiarato inabilitato a esercitare un’impresa commerciale e incapace di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di cinque anni.
Secondo la sentenza di primo grado, la RAGIONE_SOCIALE, attiva nella gestione di spazi pubblicitari sin dal 1994, con la stipula, il 20 luglio 2010, di due distinti contratti di affitto d’azienda con RAGIONE_SOCIALE (riferibile a COGNOME NOME e COGNOME NOME) e RAGIONE_SOCIALE (riferibile al solo COGNOME), si era dedicata al commercio al dettaglio di mobili di fascia bassa (gestendo i marchi “RAGIONE_SOCIALE” ed “RAGIONE_SOCIALE“), marginalizzando l’attività pubblicitaria.
Tali contratti specificavano che RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE versavano in una situazione di difficoltà finanziaria e che l’intento delle parti era salvaguardare l’avviamento di queste società e i posti di lavoro. Inizialmente, i debiti anteriori al 1° agosto 2010 rimanevano a carico delle società affittanti, e il magazzino sarebbe stato pagato dalla RAGIONE_SOCIALE consumo. Nell’ottobre 2010, tuttavia, RAGIONE_SOCIALE si era obbligata a estinguere i debiti per ordini anteriori al 1° agosto 2010 e ad assumere un impegno irrevocabile all’acquisto dei rami d’azienda di RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE (per € 22.250.000,00) e di B&S s.p.a. (per € 31.200.000,00).
Il Tribunale ha rilevato che, al momento di queste operazioni, la stessa RAGIONE_SOCIALE era, a sua volta, in forte crisi finanziaria, avendo eroso il capitale sociale già dal 31 dicembre 2009, una condizione che era stata celata dall’amministratore NOME tramite artifici contabili.
In definitiva, secondo il Tribunale, in più occasioni RAGIONE_SOCIALE, «al fine di garantire il buon esito del concordato preventivo», aveva «trasferito somme di denaro a B&S» o aveva adempiuto, «direttamente o per il tramite della società RAGIONE_SOCIALE debi ti di quest’ultima»: operazioni dall’evidente natura distrattiva . Tanto, per il consulente tecnico del Pubblico Ministero (che aveva parlato di scelta gestionale «devastante» per RAGIONE_SOCIALE) ed il curatore fallimentare aveva fatto precipitare la già grave situazione economica della RAGIONE_SOCIALE
Su gravame dell’imputato, con sentenza del 23 gennaio 2025, la Corte
d’Appello di Torino, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha rideterminato la pena per COGNOME NOME in due anni e un mese di reclusione, escludendo l’aggravante dei plurimi fatti di bancarotta. Per il resto, la sentenza impugnata è stata integralmente confermata.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per Cassazione.
3.1. Col primo motivo deduce vizi motivazionali e violazioni di legge in relazione alla sussistenza della responsabilità penale.
La Corte d’appello avrebbe operato una ricostruzione storica parziale, in contrasto con la sentenza di primo grado e con quanto statuito dal Tribunale delle Imprese, fornendo una motivazione apparente e contraddittoria, solo apparentemente conforme a quella di primo grado, presentando, le sentenze di merito, due ricostruzioni dei fatti incompatibili.
Si contesta sia l’elemento oggettivo del reato, sia il ruolo di concorrente esterno dell’imputato, inizialmente accusato di essere amministratore di fatto della fallita: tanto in assenza di elementi fattuali e giuridici idonei, essendo, peraltro, lo stesso stato assolto dalle ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale e da tutte le residue ipotesi di bancarotta distrattiva.
Si assume che, anziché distrattivi, i pagamenti contestati rientravano nel “progetto industriale” e nel l’ interesse della fallita RAGIONE_SOCIALE, basandosi sull’articolo 5 dell’atto integrativo del contratto di affitto d’azienda, che prevedeva la possibilità della stessa di compensare i canoni d’affitto dovuti con il pagamento dei debiti delle locatrici anteriori al 20 luglio 2010. Si sarebbe trattato, insomma, di «investimenti sorretti da un interesse proprio e diretto della RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE».
Si critica il fatto che la Corte d’appello abbia ritenuto le disposizioni finanziarie prive di utilità economica per la contestuale mancata compensazione con i canoni di affitto dovuti dalla fallita alle locatrici, atteso che il contratto prevedeva una mera “facoltà” di compensazione, rimanendo primario l’obiettivo comune di salvaguardare le aziende.
La condanna sarebbe in contrasto con la valutazione del Tribunale delle Imprese, secondo cui, il fatto che RAGIONE_SOCIALE si fosse fatta carico di ingenti debiti altrui non provava l’esistenza di un “disegno concordato fra Gallo, COGNOME e COGNOME per distrarre sistematicamente le risorse di RAGIONE_SOCIALE“. Similmente, si assume che la sentenza di primo grado non avesse affermato esservi prova di un’operazione dolosamente preordinata a scaricare le passività su RAGIONE_SOCIALE
Si rileva che la Corte d’appello, a sostegno della “consapevolezza” del COGNOME di pregiudicare le ragioni della fallita, si sarebbe basata su dichiarazioni
rese dal Gallo sul “Sole 24 Ore”, laddove, anche ammesso che tanto fosse noto al ricorrente, ciò non rivelava lo stato di decozione di RAGIONE_SOCIALE, bensì l’imponenza del progetto industriale. Si sostiene, per contro, che la conoscenza dello stato di dissesto della fallita era stata “abilmente celata” da artifici contabili, rendendo impossibile per il Borsano averne contezza.
Si contestano, ancora, il dolo e il concorso nel reato, non essendo provati l’esistenza di un “originario disegno complessivo” e di un “previo accordo” tra COGNOME, COGNOME e COGNOME per favorire B&S s.p.a. a discapito di RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE: affermazione, peraltro, in contrasto con quella per cui il COGNOME aveva “suggerito modifiche contrattuali peggiorative per RAGIONE_SOCIALE e favorevoli per la sua società” (B&S s.p.aRAGIONE_SOCIALE), condotta contraddittoria con l’assunto pactum sceleris .
Si richiamano i principi giurisprudenziali sul concorso dell’estraneo nel reato proprio di bancarotta, sottolineando che è richiesto un “consapevole contributo morale o materiale” che sia “efficiente per la produzione dell’evento” e un’attività “agevolativa o comunque decisiva”: il solo beneficio tratto dall’operazione non sarebbe di per sé sufficiente per attribuire la responsabilità concorsuale all’estraneo , sia per l’assenza di condotta attiva, sia per la mancanza del requisito psicologico (come rimarcato dalla sentenza del Tribunale delle Imprese, in carenza del concorso attivo del COGNOME rispetto alle condotte addebitate a Gallo).
3.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta l’erronea applicazione de ll’art. 219 , comma 1, r.d. 267/1942 e la mancanza di motivazione circa l’ aggravante della «rilevante gravità del danno patrimoniale».
La sentenza d’appello si sarebbe limitata a enunciare il quantum delle somme distratte (2,5 milioni di euro) e l’entità complessiva del passivo fallimentare (43 milioni di euro), senza motivazione specifica e approfondita sulla gravità del danno patito dai creditori, come richiesto dall’art. 219 r.d. 267/1942, fattispecie di danno e non di pericolo.
Si sostiene che la società RAGIONE_SOCIALE fosse già “decotta” ben prima dei contratti in esame, sicché gli interessi dei creditori erano già pregiudicati al momento delle assunte distrazioni. La condanna dei coimputati COGNOME e COGNOME per bancarotta fraudolenta documentale e, dunque, per aver reso “impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari”, rendeva evidente che non si potessero ricostruire con certezza anche le condotte distrattive. Si aggiunge che il quantum della distrazione dovrebbe essere bilanciato con i 170.000,00 euro di canone d’affitto mensile e col valore del magazzino mobili (pari a 32 milioni di euro) venduto da RAGIONE_SOCIALE, operazioni che rientravano nel progetto commerciale e nell’interesse della fallita.
Il Sostituto Procuratore Generale, con requisitoria, ha evidenziato vi fosse la prova che il ricorrente, di concerto con l’amministratore della fallita, abbia agito nella consapevolezza di frodare i creditori della RAGIONE_SOCIALE, società già in grave difficoltà con un passivo di 43 milioni di euro. Ha ritenuto provata anche l’aggravante, data l’entità del danno patrimoniale causato (oltre 2,5 milioni distratti su un passivo di 43 milioni). Si evidenzia come, a fronte di ciò, parte ricorrente chieda una non ammissibile rilettura delle prove.
Con memoria di replica, presentata, per l’imputato, dall’avvocato NOME COGNOME si insiste nel chiesto annullamento della sentenza d’appello, ribadendo che l’operazione commerciale in esame fosse legittima e senza finalità fraudolente.
Si torna a sostenere, in estrema sintesi, la marcata contraddizione tra la sentenza d’appello, da un lato, e quella di primo grado e del Tribunale delle Imprese, dall’altro, le quali ultime avevano accertato l’esistenza di un progetto imprenditoriale reale e l’assenza di un disegno distrattivo e della consapevolezza del Borsano sullo stato di decozione di RAGIONE_SOCIALE
Si ribadisce che il COGNOME avrebbe agito senza alcun dolo, essendo stato riconosciuto estraneo all’amministrazione di fatto della fallita, venendo assolto dalla bancarotta documentale, sicché doveva considerarsi vittima di un inganno contabile.
In merito all’aggravante contestata, si sottolinea l’impossibilità di una precisa ricognizione del danno dovuta alla preesistente decozione societaria (non nota al COGNOME) e all’impedimento di ricostruzione del patrimonio, da parte dei coimputati COGNOME e COGNOME. Viene anche evidenziata una discrepanza nella quantificazione del presunto danno.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, per alcuni profili, inammissibile.
In tema di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, il dolo del concorrente extraneus nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell ‘ intraneus , con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società che può rilevare sul piano probatorio quale indice significativo della rappresentazione della pericolosità della condotta per gli interessi dei creditori (Sez. 5, n. 4710 del 14/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv.
278156-02; confronta, negli stessi termini, Sez. 5, n. 26501 del 31/03/2021, Rv. 281555-01). La prova dell’elemento soggettivo dell’ extraneus ben può essere ricavata dalle obbiettive caratteristiche della transazione commerciale, come la natura dell’atto distrattivo o il prezzo di acquisto (così, in motivazione, nuovamente Sez. 5, n. 26501 del 31/03/2021, Rv. 281555; nei medesimi termini, da ultimo, Sez. 5, n. 21001 del 23/5/2025, non massimata).
Tanto è stato accertato, con motivazione esente da vizi, dai giudici di merito. Nella specie, secondo la sentenza di primo grado, i pagamenti a favore di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE erano privi di giustificazione e posti in essere ‘in assenza di significativi rapporti commerciali diretti’, volti a coprire debiti di queste due società verso i fornitori di mobili: si trattava, cioè, di un ‘ingente scarico di debiti’ su RAGIONE_SOCIALE, con beneficio per le dette RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in vista dei loro concordati preventivi.
I pagamenti a favore di RAGIONE_SOCIALE per almeno € 630.000,00 miravano -sempre a dire dei giudici di merito -a saldare i “debiti anteriori ai contratti di affitto di azienda del 20.07.2010” che erano di competenza delle società affittanti (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, come confermato da alcune email e dall’ammissione dello stesso COGNOME (p. 11 sentenza di primo grado).
La natura distrattiva di queste operazioni è stata definita “evidente”, una scelta gestionale “devastante” per la fallita, addirittura un “suicidio imprenditoriale” (sempre p. 11 sentenza di primo grado).
La sentenza d’appello ha integralmente confermato la “sussistenza materiale delle condotte distrattive” ai capi 1.5 e 1.7, accertate nella loro obiettività dall’esame dei conti correnti e della contabilità e ha ribadito la “certa e indubbia natura distrattiva dei trasferimenti”, che hanno causato un “consistente depauperamento delle risorse della fallita” senza “alcuna valida ragione e senza alcuna compensazione o conguaglio” (p. 5 sentenza d’appello).
Anche il giudice d’appello ha rilevato, poi, che i pagamenti a favore di RAGIONE_SOCIALE saldavano “debiti pregressi all’affitto di azienda, estranei alla gestione RAGIONE_SOCIALE e riconducibili esclusivamente alla menzionata RAGIONE_SOCIALE“: come reso palese da alcune email , tra cui quella del 27/8/2010, in cui NOME NOME, figlio dell’imputato, confermava l’accordo in virtù del quale RAGIONE_SOCIALE avrebbe pagato anche i debiti anteriori ai contratti di affitto d’azienda, ‘come da accordi’ presi col padre (p.7 sente nza d’appello) , non avendo, peraltro, la fallita, sino a quel momento, alcun rapporto con la beneficiaria dei pagamenti (p. 5 sentenza d’appello) .
La sentenza d’appello rimarca, poi, la s proporzione tra i versamenti a B&S s.p.a. (per oltre 2 milioni di euro in cinque mesi) e il canone mensile (di 170.000,00
euro) a carico della RAGIONE_SOCIALE nonché le causali contabili delle erogazioni, indicate come “finanziamenti” o “per concordato BRAGIONE_SOCIALE“, che ne confermavano la natura ingiustificata.
Ed ancora, si sottolinea come il primo versamento a favore di RAGIONE_SOCIALEaRAGIONE_SOCIALE, di 480.000,00 euro, fosse avvenuto il 2/8/2010, prima dell’emissione di qualsiasi fattura da parte di quest’ultima: ciò che confermava la non attinenza col canone dovuto. Il quale, peraltro, non risultava -sempre a dire del giudice d’appello in alcun modo oggetto di compensazione neppure successiva ai pagamenti: sicché la clausola contrattuale che permetteva la detta compensazione, di fatto, non aveva mai operato.
Il consapevole concorso nel detto depauperamento da parte del ricorrente è stato desunto dai detti molteplici elementi e, in primis , dall’oggettivo trasferimento di somme ingenti senza giustificazione , con ‘esclusivo vantaggio’ per l o stesso imputato e ‘detrimento dei creditori della fallita’. S i evidenziano, ancora, il legame imprenditoriale del COGNOME con il Gallo e la comune finalità di salvare RAGIONE_SOCIALE a scapito di RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE, le conoscenze del COGNOME, il suo ruolo di diretto beneficiario delle distrazioni. Si rammenta che il Borsano fosse ‘socio e responsabile al 50% di RAGIONE_SOCIALE società in stato di insolvenza all’epoca dei fatti di cui si discute tanto da essere ammessa ad un concordato preventivo nell’ottobre 2010 e da essere dichiarata fallita nel marzo 2011, poco più tardi delle elargizioni di cui si discute’ (p. 6 sentenza d’appello).
I giudici di secondo grado rimarcano, ancora, come, pur in presenza di bilanci artefatti, era comunque “notorio e pubblico” che RAGIONE_SOCIALE non avesse le risorse finanziarie per onorare i canoni di locazione o rilevare l’attività di RAGIONE_SOCIALE, come dichiarato dal COGNOME in un articolo su “Il Sole 24 Ore”. Ed evidenziano che l’imputato, quale “imprenditore di lungo corso” con “precedenti specifici” (anche per bancarotta), era certamente “capace di cogliere agevolmente segni di dissesto o di squilibrio economico e finanziario” e si era certamente “rappresentato di aver posto a rischio le garanzie patrimoniali dei creditori” della RAGIONE_SOCIALE, dando un contributo attivo alle operazioni, fornendo documentazione, dando suggerimenti, anche su modifiche contrattuali peggiorative per la stessa fallita. In tal senso si menzionano vari elementi e diverse email , tra cui quella del 6/10/2010, ‘in cui l’odierno imputato suggeriva, in termini piuttosto perentori, modifiche ai contratti di affitto d’azienda per favorire l’ammissione al concordato di RAGIONE_SOCIALE, comunicazioni cui seguiva l’effettivo invio dei documenti modificativi, in senso peggiorativo per RAGIONE_SOCIALE, dei contratti di affitto d’azienda’: circostanza ritenuta , in modo del tutto logico , ancora una volta, ‘sintomatica della strumentalizzazione della fallita in favore della società del Borsano e dell’influenza che quest’ultimo era
in grado di esercitare su Gallo’ (p. 7 sentenza d’appello).
La sentenza di primo grado e quella d’appello, per nulla contrastanti tra loro, hanno illustrato esaurientemente non solo le ragioni per le quali le operazioni fossero da ritenere distrattive, ma anche perché dovesse ritenersi il concorso del ricorrente: tanto con motivazioni immuni di vizi di logici, da travisamenti o carenze e certamente conformi ai detti principi di diritto.
Infondata è pure la censura circa l’insussistenza dell’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità.
La stessa, come noto, va commisurata, anzitutto, al valore complessivo dei beni sottratti all’esecuzione concorsuale (in tal senso Sez. 5, n. 49642 del 02/10/2009, Rv. 245822-01 e Sez. 1, n. 28009 del 10/04/2024, Rv. 286675-01), anche se non rappresenti una frazione rilevante del passivo, ed inoltre al danno patrimoniale per i creditori che, complessivamente considerato, deve essere di entità altrettanto grave (Sez. 5 n. 48203 del 10/07/2017, Rv. 271274-01; Sez. 1, n. 12087 del 10/10/2000, Rv. 217403-01): quindi, evidentemente, a quale sia il reale pregiudizio determinatosi in concreto per le ragioni creditorie.
Tuttavia, la detta aggravante (la cui portata sanzionatoria risulta, comunque, ‘sterilizzata’ dal giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche) è stata correttamente ritenuta sulla base delle dette coordinate in diritto.
Secondo il giudice d’appello, infatti, la stessa sussiste ‘in ragione del valore complessivo delle somme distratte a precipuo vantaggio della società RAGIONE_SOCIALE riferibile all’odierno imputato (pari ad oltre 2 milioni e mezzo di euro), del nocumento arrecato ai creditori sociali (in larga parte insoddisfatti), dell’entità del passivo fallimentare (pari ad oltre 43 milioni di euro, in larga misura rappresentati da debiti verso banche, erario, Inps e dipendenti) e dell’attivo realizzabile (pari a poco più di 2 m ilioni di euro)’: in siffatta situazione si è ritenuto ricorresse ‘certamente un rilevante pregiudizio per la massa dei creditori direttamente attribuibile alle azioni di spoliazione riferibili al BORSANO’ (p. 11 sentenza d’appello) , evidentemente privati di somme considerevoli.
Trattasi, si ripete, di motivazione in linea con i principi di diritto sopra ricordati e certamente esente da vizi motivazionali di sorta, laddove evidenzia il rilevante pregiudizio occorso al ceto creditorio, in ragione delle distrazioni in esame.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. , alla declaratoria di rigetto segue la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così è deciso, 24/06/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente COGNOME
NOME COGNOME