Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 12281 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 12281 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME nato a RIMINI il 29/07/1957
NOME nato a CITTADELLA il 27/05/1954
avverso la sentenza del 28/05/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Torino del 19 marzo 2018, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME COGNOME in relazione al delitto di riciclaggio di cui al capo 9), perché estinto per intervenuta prescrizione, rideterminando le pene inflittegli in relazione al residuo reato di concorso in bancarotta fraudolenta di cui al capo 4); ha rideterminato le pene inflitte a NOME COGNOME in relazione ai reati di concorso in bancarotta fraudolenta di cui ai capi 4) e 14), in riferimento ai quali ha confermato l’affermazione di responsabilità.
Hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati, tramite i rispettivi difensori, con distinti atti di impugnativa.
2.1. Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME COGNOME consta di un solo motivo, che denuncia la violazione degli artt. 110, 216 e 223 L.F. e il vizio di motivazione, in relazione all’affermazione di responsabilità dell’imputato.
E’ dedotto che l’error iuris denunciato consisterebbe nell’essere state, le condotte ascritte al ricorrente al capo 4), sussunte nella fattispecie del concorso dell’extraneus nel delitto di bancarotta, ancorché le stesse fossero state accertate come successive a quelle di depauperamento del patrimonio della fallita RAGIONE_SOCIALE, poste in essere dagli amministratori di fatto e di diritto; ciò, oltretutto, senza che la sentenza impugnata abbia offerto congrua motivazione in ordine agli elementi di prova attestanti sia l’eventuale previo accordo di Maga con gli intranei, sia la sua coscienza e volontà di contribuire con il suo operato a fare conseguire a costoro quanto da loro avuto di mira: ossia, distrarre le risorse patrimoniali destinate a garantire le ragioni dei creditori sociali. Nondimeno, la motivazione ostesa al riguardo si rivelerebbe, comunque, congetturale, essendo state desunte, le prove del previo accordo tra l’extraneus e gli intranei nonché del dolo dell’extraneus di concorrere nella frustrazione delle ragioni dei creditori sociali della fallita, dal mero rapporto di conoscenza tra COGNOME e COGNOME, senza assegnare la dovuta considerazione alla circostanza che il contratto di consulenza stipulato tra la RAGIONE_SOCIALE, facente capo al ricorrente, e le società polacche RAGIONE_SOCIALEo. e RAGIONE_SOCIALEo. era stato sottoscritto da NOME COGNOME.
2.2. Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME consta di due motivi.
Il primo motivo denuncia il vizio di motivazione in riferimento alla responsabilità del ricorrente per i delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale ascrittigli.
E’ dedotto che la prova del concorso di COGNOME, pacificamente estraneo all’organigramma direttivo sia della RAGIONE_SOCIALE che della RAGIONE_SOCIALE, sarebbe stata desunta unicamente da elementi fattuali privi di univoca valenza dimostrativa sia del previo accordo del ricorrente con gli amministratori di fatto e di diritto delle predette società, poi fallite, sia della sua volontà di contribuire con il proprio operato a cagionarne il dissesto: infatti, l’assenza di documentazione, attestante la destinazione delle somme di denaro, pervenute al ricorrente, alla soddisfazione delle ragioni dei creditori di quelle società, era giustificabile con l’inesigibilità di scritture attestanti il ridetto pagamento preferenziale, effettuato peraltro con denaro liquido; le dichiarazioni di COGNOME circa l’operato di COGNOME e COGNOME sarebbero prive di qualsivoglia valenza dimostrativa circa la qualificazione delle condotte ascritte al ricorrente, non essendo stato egli neppure menzionato; la monetizzazione da parte sua degli assegni circolari emessi dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE avrebbe richiesto uno specifico approfondimento in ordine ai suoi rapporti con la società destinataria degli assegni. Donde, la motivazione rassegnata a sostegno dell’affermazione di responsabilità di COGNOME sarebbe, se non apparente, gravemente carente o illogica.
Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 133, 99 e 62-bis cod. pen. e il vizio di motivazione in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio.
E’ dedotto che il Giudice censurato sarebbe venuto meno al proprio dovere di rendere specifica motivazione in ordine alle ragioni per le quali fosse da ritenere che le condotte contestate al ricorrente costituissero espressione della sua più accentuata colpevolezza e della sua maggiore pericolosità sociale per effetto delle pregresse condanne subite per delitti di bancarotta negli anni 2004 e 2005. Inoltre, il Giudice medesimo avrebbe reso una motivazione illogica, nel giustificare il diniego di concessione a Zurlo delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza sulle aggravanti, con il valorizzare «il contesto della vicenda e l’intensità del dolo» e non invece, a suo favore, il comportamento collaborativo tenuto e la marginalità del suo operato.
Con requisitoria in data 25 gennaio 2025, il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
Con memoria in data 7 febbraio 2025, il difensore di NOME COGNOME, Avvocato NOME COGNOME ha concluso per l’accoglimento del ricorso. Con memoria trasmessa in Cancelleria tramite PEC in data 19 febbraio 2025, l’Avvocato NOME COGNOME ha replicato alle conclusioni rassegnate dal Procuratore Generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati.
Nella sentenza impugnata si è dato conto, con ampi riferimenti al materiale probatorio disponibile (cfr. pagg. 48, 49, 54, 55 e 56), non certo illogicamente o insufficientemente valutato alla stregua delle plausibili argomentazioni rassegnate, di come gli imputati COGNOME e COGNOME – soggetti legati tra loro e a NOME COGNOME, stretto collaboratore di Parata e Dessì, amministratori di fatto e di diritto delle fallite RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE – si fossero prestati a ricevere, anche per il tramite di società loro riferibili, ingenti somme di denaro, drenate attraverso assegni circolari dalle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, versandole su conti correnti, anche personali o sui quali avevano comunque delega ad operare, accesi presso banche sammarinesi e, poi, prelevandole immediatamente dopo e trattenendo per sé il 5% dell’importo versato, quale «corrispettivo del servizio di monetizzazione prestato» (così pag. 48, terzo capoverso).
Nella stessa sentenza sono stati adeguatamente confutati gli argomenti difensivi protesi a sostenere l’insussistenza di un previo accordo di COGNOME e COGNOME con COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME, ossia, con gli ideatori e organizzatori del complesso sistema fraudolento che aveva portato al depauperamento del patrimonio delle fallite RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, evidenziando come gli indicati argomenti non fossero suffragati da concreti e robusti elementi di prova (cfr. pag. 48, penultimo capoverso, quanto ai contratti di consulenza allegati da Maga, e pag. 49, terzo capoverso, quanto alla destinazione di buona parte delle somme ricevute dalla RAGIONE_SOCIALE a tacitarne informalmente i creditori) e, come, in ogni caso, non fossero tali da incidere sulla valutazione delle prove, nel loro complesso considerate, siccome già effettuata dal Tribunale. Valutazione, conducente, alla stregua delle comuni massime di esperienza – avuto riguardo: I.) all’ingente ammontare delle somme ricevute da Maga e da COGNOME (nella misura di oltre 600.000,00 Euro per ciascuno); II.) all’assenza di comprovati rapporti con le fallite e di verificate attività professionali da loro espletate; III.) al loro consolidato legame con gli artefici del meccanismo fraudolento e con loro collaboratori; IV.) alle concrete modalità dei fatti e V.) alla percezione da parte loro di una percentuale sugli importi versati (cfr. pag. 55, quarto capoverso della sentenza impugnata) -, per la realizzazione ad opera di entrambi i ricorrenti di condotte atte a rappresentare segmenti efficaci del risultato illecito avuto di mira dagli amministratori di fatto e di diritto – e dai loro collaboratori – delle società fallite; condotte animate dalla coscienza e volontà di Maga e di COGNOME di offrire un decisivo contributo alla frustrazione delle pretese dei creditori sociali.
I comportamenti degli imputati, così come ricostruiti dai giudici del merito, rientrano a pieno titolo, sia sul piano oggettivo che sul piano soggettivo, nel
paradigma del concorso dell’extraneus nel delitto di bancarotta. La giurisprudenza di legittimità, ha, infatti, affermato che «E’ configurabile il concorso nel reato di bancarotta fraudolenta da parte di persona estranea al fallimento qualora la condotta realizzata in concorso col fallito sia stata efficiente per la produzione dell’evento e il terzo concorrente abbia operato con la consapevolezza e la volontà di aiutare l’imprenditore in dissesto a frustrare gli adempimenti predisposti dalla legge a tutela dei creditori dell’impresa» (Sez. 5, n. 27367 del 26/04/2011, Rv. 250409; Sez. 5, n. 2501 del 01/12/1998, dep. 1999, Rv. 212729), precisando che « Il dolo del concorrente “extraneus” nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell'”intraneus”, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società che può rilevare sul piano probatorio quale indice significativo della rappresentazione della pericolosità della condotta per gli interessi dei creditori» (Sez. 5, n. 4710 del 14/10/2019, dep. 2020, Rv. 278156; Sez. 5, n. 38731 del 17/05/2017, Rv. 271123).
In applicazione di tali principi, del resto, questa Corte ha già ritenuto configurabile il concorso dell'”extraneus” nel reato di cui all’art. 216 L.F. nella condotta del soggetto che riceve somme di denaro, provenienti dalla società poi fallita, in mancanza di titolo giustificativo (Sez. 5, n. 2298 del 21/11/2017, dep. 2018, Rv. 272089), sempre che sia riscontrata l’attività tipica di almeno un intraneus (prevista dall’imputazione), l’influenza causale sul verificarsi del fatto della condotta dell’extraneus e la consapevolezza da parte di questi della qualifica del soggetto intraneus.
Sussistenza di tutti questi elementi di cui si è dato adeguatamente conto nella sentenza impugnata e che gli imputati ricorrenti hanno contestato offrendo una ricostruzione alternativa dei fatti, che però non può trovare spazio in questa sede.
Tanto impone il rigetto del motivo unico agitato nell’interesse di NOME COGNOME e del primo motivo del ricorso nell’interesse di NOME COGNOME
Inammissibile è il secondo motivo del ricorso nell’interesse di NOME COGNOME
Manifestamente infondati sono i rilievi difensivi riferiti al riconoscimento in capo al ricorrente della recidiva specifica infranquinquennale. Avuto riguardo alle modalità delle condotte poste in essere da NOME COGNOME per monetizzare le risorse sottratte dai concorrenti intranei alle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE entrambe dichiarate fallite nel corso del 2009, i fatti di cui alle imputazioni elevate a suo carico nei capi 4) e 14) della rubrica sono senza dubbio espressivi «della significatività» dei nuovi reati commessi «in termini di maggiore colpevolezza e più elevata capacità
a delinquere e pericolosità» (Sez. U, n. 32318 del 30/03/2023, COGNOME, in motivazione). I fatti di cui alle predette imputazioni stanno, infatti, a dimostrare l’atteggiamento del ricorrente di indifferenza verso la legge e di assenza di un ripensamento critico, pur a seguito delle precedenti condanne per bancarotta divenute irrevocabili nel 2004 e nel 2007, e, in conclusione, attestano una sua risoluzione al crimine più consapevole e determinata.
Tanto basta, altresì, per stigmatizzare come non consentito l’ulteriore rilievo riferito al giudizio di bilanciamento in equivalenza delle circostanze attenuanti generiche con le aggravanti, in quanto effettuato in termini per nulla arbitrari né manifestamente illogici (cfr. pag. 57 della sentenza impugnata). Il diritto vivente ha, infatti, statuito che « Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto» (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931).
5. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 25/02/2025