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Concordato in appello: quando il ricorso è nullo

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro una sentenza emessa a seguito di un concordato in appello (art. 599-bis c.p.p.). L’ordinanza chiarisce che il ricorso è possibile solo per vizi nella formazione della volontà delle parti o per una decisione del giudice non conforme all’accordo, ma non per contestare la congruità della pena concordata. Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria per aver proposto un ricorso con motivi non consentiti.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in Appello: i Limiti al Ricorso per Cassazione

Recentemente, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5895/2024, ha ribadito i confini precisi entro cui è possibile impugnare una sentenza emessa a seguito di un concordato in appello. Questa pronuncia offre spunti fondamentali per comprendere la natura di questo istituto processuale e le conseguenze di un suo utilizzo improprio. L’analisi del caso concreto ci permette di chiarire quando e perché un ricorso in Cassazione, dopo aver raggiunto un accordo sulla pena, viene dichiarato inammissibile.

Il Caso in Analisi: Ricorso Post-Accordo in Appello

Il caso ha origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte di Appello di Napoli. Tale sentenza aveva applicato la pena concordata tra le parti ai sensi dell’art. 599-bis del codice di procedura penale. Nonostante l’accordo raggiunto, la difesa ha deciso di ricorrere in Cassazione, lamentando una presunta ‘mancanza di motivazione’ in relazione al trattamento sanzionatorio applicato.

In sostanza, dopo aver acconsentito a una determinata pena in cambio della rinuncia ai motivi di appello, l’imputato ha tentato di rimettere in discussione proprio l’aspetto sanzionatorio davanti alla Suprema Corte, un’azione che si è rivelata proceduralmente errata.

I Limiti del Ricorso dopo un Concordato in Appello

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, cogliendo l’occasione per riaffermare un principio consolidato. Il ricorso avverso una sentenza frutto di concordato in appello non è uno strumento per rinegoziare o contestare la pena pattuita. La legge ne circoscrive l’ammissibilità a poche e specifiche ipotesi, che non includono la critica sulla congruità della sanzione.

Secondo l’insegnamento della giurisprudenza, il ricorso è consentito solo per questioni che riguardano:
1. La formazione della volontà: Se la parte dimostra che il suo consenso all’accordo è stato viziato.
2. Il consenso del pubblico ministero: Qualora vi siano state irregolarità nel consenso prestato dalla pubblica accusa.
3. Il contenuto della pronuncia: Se la sentenza del giudice si discosta dall’accordo raggiunto tra le parti.

Sono invece escluse tutte le doglianze relative a motivi a cui si è rinunciato con l’accordo, come la valutazione delle prove o la quantificazione della pena, a meno che quest’ultima non sia illegale (ad esempio, perché supera i limiti massimi previsti dalla legge o è di un tipo diverso da quello consentito).

Le motivazioni della Corte di Cassazione

Nel motivare la sua decisione, la Suprema Corte ha spiegato che la doglianza del ricorrente, relativa alla mancanza di motivazione sulla pena, rientra tra le questioni a cui si rinuncia implicitamente aderendo al concordato. L’accordo stesso, infatti, sostituisce la necessità di una motivazione giudiziale dettagliata sulla quantificazione della sanzione, poiché essa deriva dalla volontà delle parti e non da una valutazione autonoma del giudice.

La Corte ha citato un proprio precedente (Sentenza n. 944 del 2020), rafforzando l’idea che non sono ammissibili critiche relative alla mancata valutazione di condizioni per il proscioglimento (ex art. 129 c.p.p.) o vizi nella determinazione della pena che non ne comportino l’illegalità. Il ricorso in esame, pertanto, si poneva al di fuori delle ipotesi consentite dalla legge, rendendolo inevitabilmente inammissibile.

Le conclusioni: Conseguenze Pratiche dell’Inammissibilità

La declaratoria di inammissibilità ha avuto conseguenze concrete per il ricorrente. Ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, è stato condannato al pagamento delle spese processuali. Inoltre, la Corte ha ravvisato una ‘colpa nella determinazione della causa di inammissibilità’, ovvero ha ritenuto che il ricorso fosse stato presentato con negligenza, senza tener conto dei chiari limiti posti dalla legge. Per questa ragione, ha condannato il ricorrente anche al pagamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa ordinanza serve da monito: il concordato in appello è un atto che implica una rinuncia consapevole e definitiva a determinate contestazioni, e tentare di aggirarne gli effetti può comportare costi significativi.

È possibile ricorrere in Cassazione contro una sentenza emessa a seguito di ‘concordato in appello’?
Sì, ma solo per motivi specifici. Il ricorso è ammesso se si contestano vizi relativi alla formazione della volontà di accedere all’accordo, al consenso del pubblico ministero o se la pronuncia del giudice è difforme rispetto a quanto concordato.

Quali motivi di ricorso sono considerati inammissibili in caso di concordato in appello?
Sono inammissibili le doglianze relative ai motivi a cui si è rinunciato, come la mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. o i vizi attinenti alla determinazione della pena, a meno che la sanzione inflitta non sia illegale (ad es. fuori dai limiti di legge o di tipo diverso da quello previsto).

Cosa succede se si presenta un ricorso inammissibile contro una sentenza di concordato in appello?
Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Inoltre, se la Corte ravvisa profili di colpa nel proporre il ricorso, può condannare il ricorrente al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie con una sanzione di 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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