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Concordato in appello: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, dichiara inammissibile un ricorso contro una sentenza emessa a seguito di concordato in appello. La Corte ribadisce che, una volta raggiunto un accordo sulla pena, non è possibile contestare in sede di legittimità elementi come la recidiva, a meno che la pena applicata non sia palesemente illegale, ipotesi non verificatasi nel caso di specie.

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Pubblicato il 18 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: la Cassazione chiude le porte al ricorso sulla recidiva

Il concordato in appello, introdotto dall’articolo 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo che permette a imputato e pubblico ministero di accordarsi sui motivi d’appello e sulla pena. Ma quali sono i limiti di questo accordo? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sull’impossibilità di contestare, in sede di legittimità, elementi come la recidiva una volta che la pena è stata concordata.

I fatti del caso

Un imputato, dopo aver raggiunto un accordo sulla pena in Corte d’Appello, ha presentato ricorso per cassazione. Nel suo ricorso, lamentava una violazione di legge e un vizio di motivazione riguardo al riconoscimento della recidiva, sostenendo che i presupposti per la sua applicazione fossero insussistenti. Sebbene la doglianza fosse formalmente presentata come un’eccezione di ‘illegalità della pena’, nella sostanza mirava a rimettere in discussione un elemento che aveva contribuito alla determinazione della sanzione finale, già oggetto dell’accordo tra le parti.

La decisione della Corte sul concordato in appello

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: l’accordo concluso tra le parti sulla determinazione della pena assume un rilievo decisivo e preclude, di norma, ulteriori contestazioni. L’atto di rinunciare agli altri motivi di appello e di accordarsi sulla pena implica un’accettazione del calcolo finale, inclusi tutti gli elementi che vi concorrono, come le circostanze aggravanti (ad esempio, la recidiva).

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha chiarito che, in tema di concordato in appello, il ricorso con cui si contesta l’errato riconoscimento della recidiva è inammissibile. Questo perché una tale contestazione, pur mascherata da denuncia di ‘illegalità’, si traduce in una critica alla valutazione di merito che ha portato alla quantificazione della pena concordata. La giurisprudenza, richiamando anche le sentenze a Sezioni Unite in materia di patteggiamento, stabilisce un confine netto: la censura sulla determinazione della pena concordata non può essere dedotta in sede di legittimità.

L’unica eccezione a questa regola si verifica quando la pena applicata è contra legem, ovvero palesemente illegale perché, ad esempio, applicata al di fuori dei limiti edittali o per un reato per cui non è prevista. Nel caso di specie, i giudici hanno escluso che si trattasse di una pena contra legem, trattandosi piuttosto di una contestazione sull’opportunità di applicare l’aumento per la recidiva, questione che rientra pienamente nella disponibilità delle parti al momento dell’accordo.

Le conclusioni

Questa pronuncia rafforza la natura ‘tombale’ del concordato in appello. Gli avvocati e i loro assistiti devono essere consapevoli che l’accordo sulla pena implica una rinuncia a contestare in Cassazione gli elementi discrezionali che hanno portato a quella determinazione. La scelta di accedere a questo rito alternativo deve essere ponderata attentamente, poiché preclude quasi ogni via di ricorso ulteriore, salvo i rari casi di palese illegalità della pena. La decisione della Corte, quindi, consolida la stabilità delle sentenze emesse ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p. e l’efficienza del sistema processuale.

È possibile impugnare in Cassazione una sentenza basata su un “concordato in appello”?
Generalmente no. Il ricorso è inammissibile se contesta la determinazione della pena concordata tra le parti, a meno che non si denunci un’illegalità della pena stessa (pena contra legem).

La contestazione sulla recidiva può essere motivo di ricorso dopo un concordato in appello?
No, secondo la Corte di Cassazione. Contestare il riconoscimento della recidiva equivale a mettere in discussione il merito della quantificazione della pena, aspetto che è stato oggetto dell’accordo tra le parti e che non può essere riesaminato in sede di legittimità.

Cosa si intende per pena “contra legem”?
Una pena è contra legem quando viola una norma imperativa, ad esempio perché è di un genere non previsto dalla legge per quel reato, o perché è stata calcolata al di fuori dei limiti minimi e massimi stabiliti dal legislatore. È l’unica ipotesi che consente di impugnare una pena concordata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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