Concordato in Appello: La Cassazione Chiarisce i Limiti del Ricorso
L’istituto del concordato in appello, noto anche come ‘patteggiamento in appello’, rappresenta uno strumento processuale di grande importanza per la definizione dei giudizi penali. Esso consente alle parti di accordarsi sulla pena da applicare, evitando i successivi gradi di giudizio. Tuttavia, quali sono i limiti di questo accordo? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 548/2024) fa luce su un punto cruciale: dopo aver accettato il concordato, è ancora possibile contestare la propria colpevolezza? La risposta della Suprema Corte è netta e consolida un orientamento giurisprudenziale ben definito.
Il Caso in Esame
La vicenda trae origine dal ricorso di un imputato contro una sentenza della Corte d’Appello. In quella sede, le parti avevano raggiunto un accordo sulla rideterminazione della pena ai sensi dell’art. 599-bis del codice di procedura penale. Nonostante l’accordo, la difesa ha successivamente presentato ricorso in Cassazione, lamentando un ‘vizio di motivazione’ da parte della Corte d’Appello. Secondo il ricorrente, i giudici avrebbero dovuto, prima di ratificare l’accordo, valutare la possibilità di un proscioglimento immediato per una delle cause previste dall’art. 129 c.p.p. (ad esempio, perché il fatto non costituisce reato).
La questione del concordato in appello e la rinuncia implicita
Il nucleo della questione giuridica risiede nella natura stessa del concordato in appello. Accettando di concordare la pena, l’imputato compie una scelta processuale strategica che implica una rinuncia. La Corte di Cassazione si è trovata a dover ribadire quali motivi di doglianza vengono meno a seguito di tale accordo e quali, invece, possono ancora essere fatti valere davanti al giudice di legittimità.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, basando la sua decisione su un principio consolidato, elaborato sin dai tempi del precedente istituto previsto dall’art. 599, comma 4, c.p.p. (poi abrogato e reintrodotto con la legge n. 103/2017). Secondo la Corte, nel momento in cui il giudice d’appello accoglie la richiesta di pena concordata, non è tenuto a motivare il mancato proscioglimento dell’imputato ai sensi dell’art. 129 c.p.p.
L’accordo tra le parti sulla pena rappresenta una rinuncia a contestare la colpevolezza e a sollevare motivi relativi alla valutazione delle prove o alla sussistenza del reato. Di conseguenza, le doglianze relative a una mancata valutazione delle condizioni per il proscioglimento diventano inammissibili.
I motivi di ricorso ammissibili
La Corte chiarisce che il ricorso in Cassazione contro una sentenza di concordato in appello resta possibile, ma solo per motivi specifici, quali:
* Vizi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato.
* Vizi legati al consenso del pubblico ministero sulla richiesta.
* Un contenuto della pronuncia del giudice difforme rispetto all’accordo raggiunto.
* L’illegalità della sanzione inflitta (ad esempio, una pena non rientrante nei limiti edittali o diversa da quella prevista dalla legge).
Tutti gli altri motivi, inclusa la mancata valutazione di un’assoluzione, sono considerati rinunciati con l’accordo stesso.
Le Conclusioni
La decisione in esame rafforza la natura dispositiva e definitoria del concordato in appello. Scegliere questa strada processuale è un atto che preclude la possibilità di rimettere in discussione il merito della vicenda. Per gli imputati e i loro difensori, ciò significa che la decisione di accedere al concordato deve essere ponderata attentamente, con la piena consapevolezza che essa chiude la porta a gran parte delle contestazioni future. La sentenza non è più un passo intermedio, ma un punto di arrivo, impugnabile solo per vizi che attengono alla correttezza procedurale dell’accordo o alla legalità della pena, e non più alla questione di fondo della colpevolezza.
Dopo aver accettato un concordato in appello, si può ancora ricorrere in Cassazione lamentando la mancata assoluzione?
No. Secondo l’ordinanza, l’adesione al concordato sulla pena implica la rinuncia a sollevare motivi relativi alla valutazione di un possibile proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p., rendendo tali doglianze inammissibili.
Quali sono i motivi per cui è possibile ricorrere in Cassazione contro una sentenza che applica il concordato in appello?
Il ricorso è ammissibile solo per questioni specifiche, come vizi nella formazione della volontà di accordo, nel consenso del pubblico ministero, difformità tra l’accordo e la sentenza, o illegalità della pena applicata (es. se è al di fuori dei limiti previsti dalla legge).
Cosa succede se il ricorso in Cassazione contro una sentenza di concordato in appello viene dichiarato inammissibile?
Come nel caso di specie, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, poiché si ritiene che il ricorso sia stato presentato senza fondamento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 548 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 548 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/11/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BRINDISI il 27/04/1993
avverso la sentenza del 13/05/2022 della CORTE APPELLO di LECCE
datoayeitóalle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Visti gli atti e la sentenza impugnata, rilevato che la Corte di merito, con la sentenza in epigrafe indicata, in parziale riforma della pronuncia emessa dal giudice di primo grado, ha rideterminato la pena inflitta a COGNOME Salvatore Antonio, accogliendo il concordato proposto dalle parti in udienza ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen.
Esaminato il ricorso proposto dall’imputato, rilevato che il difensore lamenta vizio di motivazione in relazione all’art. 129
cod. proc. pen.
Considerato che, a seguito della reintroduzione del c.d. patteggiamento in appello, di cui all’art. 599-bis cod. proc. pen, ad opera della legge n. 103 del 2017, rivive il principio – elaborato dalla giurisprudenza di legittimità nel vigore del similare istituto previsto dell’art. 599, comma 4, cod. proc. pen., successivamente abrogato – secondo cui il giudice d’appello, nell’accogliere la richiesta di pena concordata, non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per taluna delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen. (tra le tante Sez. 6, n. 35108 del 08/05)2003, COGNOME, Rv. 226707; Sez. 5, n. 3391 del 15/10/2009, dep. 2010, COGNOME, Rv. 245919; da ultimo Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, COGNOME, Rv. 276102 – 01, così massimata: «In tema di concordato in appello, è ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. ed, altresì, a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa dalla quella prevista dalla legge»).
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile secondo la procedura de plano, come previsto dall’art. 610, comma 5-bis cod. proc. pen., con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa del ricorrente (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 9 novembre 2023
GLYPH
Il Consigliere estensore
Il Presidente