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Concordato in appello: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 45392/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato contro una sentenza emessa a seguito di concordato in appello. L’imputato lamentava la mancata assoluzione ex art. 129 c.p.p., ma la Corte ha ribadito che l’accordo sulla pena implica la rinuncia a tali motivi, limitando la possibilità di ricorso a vizi specifici dell’accordo stesso. Questa decisione consolida il principio secondo cui la scelta del concordato in appello preclude la successiva discussione su questioni di merito.

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Pubblicato il 14 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in Appello: La Cassazione Chiarisce i Limiti del Ricorso

Il concordato in appello, noto anche come ‘patteggiamento in appello’, è uno strumento processuale che consente di definire il giudizio di secondo grado attraverso un accordo tra accusa e difesa. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 45392 del 2024, offre un importante chiarimento sui limiti del ricorso contro le sentenze che ratificano tale accordo. La pronuncia ribadisce un principio fondamentale: chi sceglie la via del concordato rinuncia implicitamente a far valere determinate doglianze, come la mancata assoluzione immediata.

I Fatti di Causa: Un Ricorso contro il Patteggiamento in Appello

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma, che aveva applicato la pena concordata ai sensi dell’art. 599-bis del codice di procedura penale. L’imputato, tramite il suo difensore, ha adito la Corte di Cassazione deducendo un vizio di motivazione. In particolare, sosteneva che il giudice d’appello avrebbe errato nel non pronunciare una sentenza di proscioglimento immediato secondo quanto previsto dall’art. 129 c.p.p., nonostante la sussistenza delle condizioni.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso ‘palesemente inammissibile’. La decisione è stata presa senza necessità di formalità, applicando l’art. 610, comma 5-bis, c.p.p. La Corte ha stabilito che l’accordo sulla pena in appello preclude la possibilità di sollevare questioni che sono state implicitamente rinunciate con l’accordo stesso. L’imputato è stato quindi condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di quattromila euro alla cassa delle ammende.

Le Motivazioni: L’Effetto Devolutivo e la Rinuncia ai Motivi nel Concordato in Appello

Il cuore della motivazione risiede nella natura stessa del concordato in appello. La Cassazione ha chiarito che il potere dispositivo riconosciuto alle parti dall’art. 599-bis c.p.p. non solo limita la cognizione del giudice di secondo grado, ma produce effetti preclusivi sull’intero svolgimento processuale, incluso il giudizio di legittimità.

Quando l’imputato sceglie di accedere a questo rito, accetta di concentrare la discussione solo su alcuni motivi di appello, rinunciando a tutti gli altri. Di conseguenza, le questioni rinunciate, come la valutazione delle condizioni per il proscioglimento ex art. 129 c.p.p., non possono essere riproposte in Cassazione.

La Corte ha specificato che il ricorso avverso una sentenza di concordato in appello è ammissibile solo per motivi strettamente legati alla validità dell’accordo stesso, quali:

1. Vizi nella formazione della volontà della parte di accedere al concordato.
2. Mancanza del consenso del Procuratore Generale.
3. Contenuto della pronuncia del giudice difforme rispetto all’accordo raggiunto.

Al di fuori di queste ipotesi, ogni altra doglianza è inammissibile. La Corte ha definito questo orientamento come ius receptum, ovvero un principio giuridico consolidato e pacifico, citando una lunga serie di precedenti conformi. Il giudice d’appello, quindi, nell’accogliere la richiesta di concordato, non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato, proprio perché la scelta processuale delle parti ha sottratto tale questione al suo esame.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche del Concordato in Appello

L’ordinanza in esame consolida un punto fermo per la difesa tecnica. La scelta di percorrere la strada del concordato in appello è una decisione strategica con conseguenze definitive. Se da un lato offre il vantaggio di una potenziale riduzione di pena e di una rapida definizione del processo, dall’altro comporta una rinuncia tombale alla possibilità di contestare nel merito la propria responsabilità o di far valere altre questioni procedurali. Gli avvocati devono quindi informare chiaramente i propri assistiti che l’accordo preclude quasi ogni possibilità di un successivo ricorso in Cassazione, salvo che per vizi genetici dell’accordo stesso. La sentenza riafferma la natura negoziale del rito, dove la volontà delle parti delimita irrevocabilmente l’oggetto del giudizio.

È possibile ricorrere in Cassazione contro una sentenza di “concordato in appello” per lamentare la mancata assoluzione ai sensi dell’art. 129 c.p.p.?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che tale motivo di ricorso è inammissibile. L’accordo sulla pena in appello implica la rinuncia a sollevare questioni relative al mancato proscioglimento, in quanto queste non rientrano tra i motivi oggetto dell’accordo.

Quali sono i motivi ammissibili per un ricorso in Cassazione avverso una sentenza emessa ex art. 599-bis c.p.p.?
Il ricorso è ammissibile solo se riguarda motivi specifici legati alla validità dell’accordo, come vizi nella formazione della volontà della parte, il mancato consenso del Procuratore Generale sulla richiesta, o una pronuncia del giudice non conforme all’accordo raggiunto tra le parti.

Il giudice d’appello che ratifica un accordo sulla pena deve motivare sul perché non ha prosciolto l’imputato?
No. Secondo la Corte, a seguito della rinuncia ai motivi di appello implicita nell’accordo, la cognizione del giudice è limitata ai punti concordati. Pertanto, non è tenuto a fornire una motivazione sul mancato proscioglimento per una delle cause previste dall’art. 129 c.p.p.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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