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Concordato in appello: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso presentato da due imputati avverso una sentenza di concordato in appello. La Corte chiarisce che l’accordo sulla pena preclude la possibilità di contestare in Cassazione il mancato proscioglimento per cause di non punibilità, poiché tale accordo implica una rinuncia a tali motivi.

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Pubblicato il 8 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in Appello: La Rinuncia ai Motivi Esclude il Ricorso per Mancata Assoluzione

L’istituto del concordato in appello, introdotto dalla riforma Orlando (Legge n. 103/2017), rappresenta uno strumento deflattivo del contenzioso, ma con precise conseguenze processuali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce i limiti stringenti all’impugnazione delle sentenze emesse a seguito di tale accordo, chiarendo che la scelta di patteggiare la pena in secondo grado preclude la possibilità di dolersi, in sede di legittimità, del mancato proscioglimento ai sensi dell’art. 129 del codice di procedura penale.

I Fatti del Caso

Due imputati, dopo aver concordato la pena in secondo grado davanti alla Corte d’Appello, presentavano ricorso per cassazione. Attraverso il loro difensore, lamentavano un vizio di motivazione nella sentenza impugnata. In particolare, sostenevano che il giudice d’appello avesse omesso di valutare la sussistenza delle condizioni per un loro proscioglimento, come previsto dall’art. 129 c.p.p., prima di ratificare l’accordo sulla pena. La richiesta era, pertanto, l’annullamento della sentenza.

La Decisione della Corte di Cassazione sul concordato in appello

La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi manifestamente inammissibili. I giudici hanno affermato un principio consolidato: la sentenza che accoglie un concordato in appello (ex art. 599-bis c.p.p.) può essere impugnata in Cassazione solo per motivi specifici e tassativi. Tra questi non rientra la doglianza relativa alla mancata valutazione delle cause di non punibilità. La scelta di accedere all’accordo, infatti, implica una rinuncia ai motivi di appello e, di conseguenza, a sollevare questioni che con essi sono incompatibili.

Le Motivazioni

La decisione della Corte si fonda su una logica processuale precisa. L’articolo 599-bis c.p.p. configura il concordato in appello come un accordo dispositivo tra le parti (imputato e Procura Generale) che, una volta raggiunto, limita la cognizione del giudice.

La Corte ha ribadito che il ricorso avverso tale sentenza è ammissibile solo se contesta:
1. La formazione della volontà della parte di accedere all’accordo (ad esempio, per vizi del consenso).
2. Il consenso del Procuratore Generale sulla richiesta.
3. Il contenuto della pronuncia del giudice, qualora sia difforme rispetto all’accordo raggiunto.

Qualsiasi altra questione, compresa la valutazione delle condizioni per il proscioglimento ex art. 129 c.p.p., deve ritenersi rinunciata. La rinuncia ai motivi di appello, che è il presupposto del concordato, determina una preclusione processuale. Ciò impedisce al giudice di prendere in cognizione questioni che non gli sono state devolute. In sostanza, accettando di concordare la pena, l’imputato accetta anche di non contestare più la propria colpevolezza e di non sollecitare una pronuncia assolutoria nel merito.

Questo orientamento, come sottolineato nell’ordinanza, è supportato da numerosi precedenti giurisprudenziali. Il potere dispositivo riconosciuto alle parti dal nuovo art. 599-bis c.p.p. non solo limita l’esame del giudice d’appello, ma preclude anche la possibilità di sollevare in Cassazione questioni, anche rilevabili d’ufficio, a cui l’interessato ha implicitamente rinunciato per ottenere i benefici dell’accordo.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame offre un importante chiarimento pratico per la difesa tecnica. La scelta di percorrere la strada del concordato in appello deve essere attentamente ponderata. Se da un lato consente di ottenere una pena certa e spesso più mite, dall’altro comporta la definitiva rinuncia a far valere eventuali motivi di merito che potrebbero portare a un’assoluzione. La decisione della Cassazione conferma che l’accordo processuale è un atto che chiude la partita sul merito del processo, limitando drasticamente le successive vie di impugnazione e cristallizzando l’accertamento di responsabilità sulla base dell’accordo stesso.

È possibile ricorrere in Cassazione contro una sentenza di “concordato in appello” per chiedere l’assoluzione?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’accordo sulla pena in appello comporta la rinuncia ai motivi di impugnazione, inclusa la richiesta di valutazione delle condizioni per il proscioglimento (art. 129 c.p.p.). Il ricorso basato su questo motivo è quindi inammissibile.

Per quali motivi si può impugnare una sentenza di patteggiamento in appello?
Il ricorso è ammissibile solo per motivi che riguardano la formazione della volontà di patteggiare (vizi del consenso), il consenso del Procuratore Generale alla richiesta, oppure se la decisione del giudice risulta difforme dall’accordo raggiunto tra le parti.

Cosa succede se si presenta un ricorso inammissibile contro una sentenza di concordato in appello?
In caso di manifesta inammissibilità del ricorso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una sanzione pecuniaria (in questo specifico caso, quattromila euro per ciascun ricorrente) in favore della cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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