Concordato in appello: i limiti del ricorso per Cassazione secondo la Suprema Corte
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini dell’impugnazione avverso le sentenze emesse a seguito di concordato in appello, un istituto processuale noto anche come “patteggiamento in appello”. La decisione sottolinea che, una volta raggiunto l’accordo sulla pena, le possibilità di contestarlo in sede di legittimità diventano molto ristrette. L’analisi di questa pronuncia è fondamentale per comprendere le implicazioni strategiche di tale scelta difensiva.
I Fatti del Caso Processuale
Il caso trae origine da un procedimento penale a carico di due persone, imputate per il reato associativo previsto dall’art. 74 del Testo Unico sugli stupefacenti. Dopo una condanna in primo grado, in sede di appello, la difesa e la pubblica accusa raggiungevano un accordo ai sensi dell’art. 599-bis del codice di procedura penale. La Corte d’Appello, recependo l’accordo, riformava parzialmente la sentenza di primo grado e rideterminava la pena.
Tuttavia, entrambi gli imputati decidevano di proporre ricorso per Cassazione contro questa nuova sentenza. Il motivo del ricorso era identico per entrambi: un presunto vizio di motivazione in relazione alla determinazione della sanzione inflitta. Sostanzialmente, pur avendo concordato la pena, ne contestavano successivamente la giustificazione logico-giuridica nella sentenza.
La Decisione della Corte di Cassazione sul concordato in appello
La Suprema Corte, con la procedura semplificata de plano prevista dall’art. 610, comma 5-bis c.p.p., ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili. Questa decisione netta riafferma un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: il concordato in appello è un negozio processuale che, una volta perfezionato, limita drasticamente le doglianze proponibili in Cassazione. La Corte ha inoltre condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, non ravvisando una loro assenza di colpa nel proporre un’impugnazione palesemente infondata.
Le Motivazioni: i Limiti del Ricorso dopo il Concordato in Appello
Il cuore della decisione risiede nella natura stessa del concordato in appello. La Corte spiega che i motivi deducibili in Cassazione contro una sentenza di questo tipo costituiscono un numerus clausus, ovvero un elenco tassativo. È possibile contestare:
1. Vizi della volontà: se il consenso al concordato non è stato espresso liberamente (ad esempio, per errore o violenza).
2. Mancato consenso del pubblico ministero: se l’accordo non è stato regolarmente accettato dalla pubblica accusa.
3. Contenuto difforme: se la pronuncia del giudice si discosta dall’accordo raggiunto tra le parti.
La questione della pena
Per quanto riguarda la pena, la Cassazione è categorica: le doglianze relative alla sua determinazione sono inammissibili. L’accordo stesso implica una rinuncia a contestare la congruità della pena e la sua motivazione. L’unica eccezione è rappresentata dall’illegalità della sanzione. Ciò si verifica solo quando la pena inflitta non rientra nei limiti edittali (minimo e massimo) previsti dalla legge, oppure è di un tipo diverso da quello consentito.
Nel caso di specie, i ricorrenti lamentavano un vizio di motivazione, non un’illegalità della pena. Tale motivo, secondo la Corte, non rientra tra quelli ammissibili, poiché l’accordo processuale, una volta consacrato nella decisione del giudice, non può essere unilateralmente modificato o messo in discussione nel merito.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza offre un importante monito per la pratica legale. La scelta di accedere al concordato in appello è una decisione strategica che offre il vantaggio di una definizione più rapida del processo e di una pena potenzialmente più mite, ma comporta la rinuncia a quasi tutte le successive vie di impugnazione. L’avvocato e l’assistito devono essere pienamente consapevoli che, accettando l’accordo, si cristallizza la questione della pena, che potrà essere contestata solo in caso di palese illegalità. La valutazione non potrà più vertere sulla sua adeguatezza o sulla completezza della motivazione del giudice, aspetti che si considerano superati dalla volontà negoziale delle parti.
È possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza che applica un “concordato in appello”?
Sì, ma solo per motivi specifici e limitati. Non si può contestare la congruità o la motivazione sulla misura della pena concordata, ma solo vizi relativi alla formazione della volontà, al consenso del PM, al contenuto difforme della pronuncia o all’illegalità della pena (es. se supera i limiti massimi previsti dalla legge).
Perché la Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi nel caso specifico?
Perché i ricorrenti lamentavano un vizio di motivazione sulla determinazione della pena, un motivo che non rientra tra quelli ammessi per impugnare una sentenza emessa ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p. Tale doglianza si considera rinunciata con la stipula dell’accordo.
Cosa si intende per “illegalità della pena” come motivo di ricorso?
Si intende una pena che non è prevista dalla legge per quel reato, che supera i limiti massimi stabiliti (limiti edittali) o che è di un genere diverso da quello consentito. Non riguarda la valutazione del giudice sulla sua equità o adeguatezza al caso concreto, che è oggetto dell’accordo tra le parti.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 15444 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 15444 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 02/04/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato a GALATINA il 08/11/1976 COGNOME nato a MARTANO il 09/11/1966
avverso la sentenza del 21/10/2024 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avvi GLYPH alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Visti gli atti e la sentenza impugnata, rilevato che la Corte di merito, con la sentenza in epigrafe indicata, in parziale riforma della pronuncia emessa dal giudice di primo grado, ha rideterminato la pena inflitta a COGNOME NOME e a COGNOME NOME, imputati con altri per il reato previsto e punito dall’art. 74, d.P.R. n. 309/1990, accogliendo il concordato proposto dalle parti in udienza ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen.;
esaminati i ricorsi proposti da NOME COGNOME e da NOME COGNOME;
rilevato che il difensore della prima lamenta vizio di motivazione in ragione della affermata carenza in punto di determinazione della pena;
rilevato che il difensore di NOME COGNOME ha dedotto il medesimo vizio; considerato che i motivi dedotti da entrambi i ricorrenti sono inammissibili, non rientrando nel numerus clausus delle doglianze proponibili avverso la sentenza emessa ai sensi dell’art. 599 bis cod. proc. pen. . Ritenuto, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili secondo la procedura de plano (art. 610, comma 5-bis cod. proc. pen.), con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa dei ricorrenti (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila ciascuno in favore della cassa
delle ammende.
Così deciso, il 2 aprile 2025
La Consigliera est.
La P esidente