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Concordato in appello: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato contro una sentenza che applicava una pena concordata in appello. L’imputato lamentava una carenza di motivazione sulla congruità della pena, ma la Corte ha chiarito che il concordato in appello preclude la possibilità di contestare il merito della sanzione, ammettendo ricorsi solo per vizi specifici come l’illegalità della pena o difetti procedurali nell’accordo.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: i limiti del ricorso in Cassazione

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini dell’impugnazione contro una sentenza che recepisce un concordato in appello. Questo strumento, introdotto per deflazionare il carico giudiziario, permette alle parti di accordarsi sulla pena da applicare nel secondo grado di giudizio. Tuttavia, la scelta di aderire a tale accordo comporta una significativa limitazione delle successive possibilità di ricorso, come evidenziato nel caso in esame.

I Fatti del Caso

L’imputato, dopo una condanna in primo grado emessa con rito abbreviato per reati di rapina e furto pluriaggravati, decideva di accordarsi con la Procura Generale presso la Corte d’appello per una rideterminazione della pena. La Corte d’appello accoglieva l’accordo, riformando la sentenza e stabilendo una pena di quattro anni di reclusione e 1.400 euro di multa.

Nonostante l’accordo, l’imputato proponeva ricorso per cassazione, lamentando una “carenza assoluta di motivazione e violazione di legge”. A suo dire, la Corte d’appello si era limitata a ratificare l’accordo senza un adeguato vaglio sulla congruità e proporzionalità della pena rispetto alla gravità dei fatti e al profilo personologico del reo.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: la sentenza che recepisce un accordo sulla pena in appello (ex art. 599-bis c.p.p.) può essere impugnata in Cassazione solo per motivi ben specifici. Questi non includono una generica contestazione sulla congruità della pena, poiché tale valutazione è implicitamente rinunciata dalle parti al momento della stipula dell’accordo.

Le motivazioni: i limiti del concordato in appello

La motivazione della Corte si fonda sulla natura stessa del concordato in appello. Questo istituto processuale si basa sulla volontà concorde delle parti (imputato e pubblico ministero) di definire l’entità della pena. Una volta raggiunto e ratificato dal giudice, l’accordo preclude la possibilità di rimettere in discussione quegli aspetti che ne sono stati l’oggetto, come l’adeguatezza della sanzione.

La Cassazione ha precisato che il ricorso è ammissibile solo in casi tassativi, tra cui:

* Vizi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere all’accordo.
* Mancanza del consenso del pubblico ministero.
* Applicazione di una pena diversa da quella concordata.
* Illegalità della sanzione inflitta (ad esempio, perché superiore ai massimi edittali o di specie diversa da quella prevista dalla legge).

Nel caso specifico, il ricorrente non contestava l’illegalità della pena, ma la sua equità e proporzionalità, ossia una valutazione di merito. Tali doglianze, secondo la Corte, sono inammissibili perché attengono a motivi rinunciati con l’adesione all’accordo. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende.

Le conclusioni: implicazioni pratiche

Questa pronuncia rafforza la stabilità delle sentenze emesse a seguito di concordato in appello. Per l’imputato e il suo difensore, la decisione di accedere a questo rito alternativo deve essere ponderata attentamente. Se da un lato offre il vantaggio di una pena certa e potenzialmente più mite, dall’altro comporta la rinuncia a far valere in Cassazione motivi legati alla valutazione di merito della sanzione.

In pratica, l’accordo cristallizza la pena, rendendola quasi inattaccabile, salvo che per vizi procedurali gravi o per palese illegalità. La motivazione del giudice d’appello, in questi casi, può legittimamente limitarsi a verificare la correttezza dell’accordo e la legalità della pena proposta, senza dover fornire un’argomentazione complessa sulla sua congruità, aspetto già vagliato e accettato dalle parti.

È sempre possibile ricorrere in Cassazione contro una sentenza emessa a seguito di “concordato in appello”?
No, il ricorso è ammesso solo per motivi specifici e tassativi, come vizi nella formazione della volontà delle parti, dissenso del pubblico ministero, applicazione di una pena diversa da quella pattuita o se la sanzione è illegale (ad esempio, fuori dai limiti di legge).

Si può contestare l’equità o la congruità della pena concordata in appello con un ricorso in Cassazione?
No, l’accordo sulla pena preclude la possibilità di contestarne successivamente la congruità, l’equità o la proporzionalità. Tali motivi si considerano rinunciati con la stipula stessa dell’accordo e non possono essere fatti valere davanti alla Corte di Cassazione.

Cosa accade se si presenta un ricorso inammissibile contro una sentenza di “concordato in appello”?
La Corte di Cassazione dichiara l’inammissibilità del ricorso. Di conseguenza, condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e, se ravvisa profili di colpa nella proposizione del ricorso, anche al pagamento di una sanzione pecuniaria in favore della cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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