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Concordato in appello: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato avverso una sentenza di patteggiamento in appello. La Corte ha chiarito che il ‘concordato in appello’ implica la rinuncia a contestare la misura della pena o il mancato riconoscimento di attenuanti, rendendo il ricorso su tali punti non valido. L’unica eccezione riguarda l’applicazione di una pena illegale, non riscontrata nel caso di specie.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: i limiti al ricorso in Cassazione

Il concordato in appello, introdotto dall’articolo 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento per definire il processo nel secondo grado di giudizio attraverso un accordo tra le parti sulla pena. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce in modo inequivocabile i limiti dell’impugnazione successiva a tale accordo, stabilendo quando il ricorso diventa inammissibile. Analizziamo insieme la decisione e le sue implicazioni pratiche.

I fatti del caso

Un imputato, dopo aver raggiunto un accordo con la Procura sulla pena da applicare in secondo grado, ha presentato ricorso in Cassazione. La sua contestazione (o doglianza) si concentrava su un punto specifico: la presunta violazione di legge e il vizio di motivazione riguardo alla mancata riduzione della pena per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. In pratica, l’imputato, pur avendo accettato una determinata pena, ha tentato di rimetterla in discussione davanti alla Suprema Corte, sperando in un ulteriore sconto.

La decisione della Cassazione sul concordato in appello

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: l’accordo raggiunto tramite il concordato in appello implica una rinuncia implicita a tutti i motivi che hanno portato a quell’accordo. Le questioni relative alla misura della pena, incluse quelle sul riconoscimento delle attenuanti, non possono essere riproposte in Cassazione, poiché sono state oggetto di negoziazione e accettazione da parte dell’imputato stesso.

Le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sulla natura stessa del concordato in appello. Accettando di patteggiare la pena in appello, l’imputato accetta anche la valutazione complessiva che porta a quella sanzione, compresa la gestione delle circostanze attenuanti. Le uniche eccezioni che consentirebbero un ricorso sono:

1. Vizi nella formazione della volontà: Se l’imputato dimostra che il suo consenso all’accordo è stato viziato (ad esempio, per errore o violenza).
2. Mancato consenso del pubblico ministero: Se l’accordo non ha ricevuto il necessario assenso della Procura.
3. Contenuto difforme della pronuncia: Se il giudice ha emesso una sentenza diversa da quella concordata.
4. Applicazione di una pena illegale: Se la pena concordata e applicata è contraria alla legge (ad esempio, perché supera i limiti massimi o è di tipo diverso da quello previsto).

Nel caso esaminato, nessuna di queste ipotesi era presente. Le lamentele dell’imputato riguardavano proprio il nucleo dell’accordo raggiunto, ovvero la misura della pena, un aspetto a cui aveva implicitamente rinunciato. Di conseguenza, il suo ricorso è stato giudicato fuori dai casi consentiti dalla legge.

Le conclusioni

Questa ordinanza rafforza la stabilità delle sentenze emesse a seguito di concordato in appello. La decisione serve da monito: una volta raggiunto l’accordo sulla pena, non è possibile fare marcia indietro e tentare di rinegoziare i termini in Cassazione, a meno che non si verifichino gravi vizi procedurali o l’applicazione di una pena palesemente illegale. L’imputato che sceglie questa via deve essere consapevole che sta rinunciando a contestare nel merito la quantificazione della sanzione. Come conseguenza dell’inammissibilità, il ricorrente è stato anche condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della cassa delle ammende, a causa della colpa nell’aver proposto un ricorso senza fondamento.

È possibile ricorrere in Cassazione dopo aver raggiunto un ‘concordato in appello’?
Sì, ma solo per motivi specifici. Non è possibile contestare la misura della pena o il mancato riconoscimento di attenuanti, perché questi aspetti sono considerati rinunciati con l’accordo. Il ricorso è ammesso solo se si denunciano vizi nella formazione della volontà, se il giudice si è pronunciato in modo difforme dall’accordo o se la pena applicata è illegale.

Quali tipi di doglianze sono inammissibili dopo un concordato in appello?
Sono inammissibili tutte le doglianze relative ai motivi a cui si è rinunciato, come quelle sulla valutazione delle condizioni per il proscioglimento (art. 129 c.p.p.), sulla misura della pena concordata e sul mancato riconoscimento di circostanze attenuanti generiche.

Cosa succede se il ricorso contro una sentenza di concordato in appello viene dichiarato inammissibile?
Come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale, l’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, se si ravvisa una colpa nella proposizione del ricorso, anche al pagamento di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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