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Concordato in appello: quando il ricorso è inammissibile

Un’ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti del ricorso contro una sentenza patteggiata in secondo grado. Il caso riguardava un imputato che, dopo aver accettato un ‘concordato in appello’ sulla pena, ha tentato di impugnarlo lamentando un errore di calcolo. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che tali sentenze sono appellabili solo per vizi di volontà o per ‘pena illegale’, non per semplici errori di valutazione della sanzione concordata.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in Appello: Limiti e Motivi di Inammissibilità del Ricorso in Cassazione

L’istituto del concordato in appello, noto anche come patteggiamento in secondo grado, rappresenta uno strumento fondamentale per la definizione celere dei processi penali. Tuttavia, la sua natura consensuale impone limiti stringenti alla possibilità di impugnare la sentenza che ne deriva. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con chiarezza quali siano i confini di tale impugnazione, dichiarando inammissibile un ricorso basato su un presunto errore di calcolo della pena.

Il Contesto del Caso

La vicenda processuale ha origine dalla condanna di un individuo per una serie di reati, tra cui furto aggravato, resistenza a pubblico ufficiale e ricettazione. In sede di appello, la difesa e la Procura Generale raggiungevano un accordo sulla rideterminazione della pena, formalizzando un concordato in appello ai sensi dell’art. 599-bis del codice di procedura penale. La Corte d’Appello, recependo l’accordo, riduceva la condanna a tre anni e quattro mesi di reclusione e 1.200 euro di multa.

Nonostante l’accordo, l’imputato proponeva ricorso in Cassazione, lamentando un’erronea applicazione della legge: a suo dire, la Corte di merito non avrebbe applicato la riduzione di un terzo della pena prevista per il rito abbreviato, svoltosi in primo grado.

La Decisione della Cassazione e il principio del concordato in appello

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso palesemente inammissibile. La decisione si fonda su un principio consolidato: la sentenza che accoglie un concordato in appello cristallizza l’accordo tra le parti, che rinunciano ai rispettivi motivi di impugnazione. Pertanto, la possibilità di ricorrere in Cassazione è eccezionale e limitata a specifiche ipotesi.

Le Motivazioni della Corte

La Cassazione ha spiegato che un ricorso contro una sentenza ex art. 599-bis c.p.p. è ammissibile solo se contesta:
1. Vizi nella formazione della volontà di accedere al concordato.
2. Difetti nel consenso del pubblico ministero.
3. Un contenuto della sentenza difforme rispetto all’accordo raggiunto.

Sono invece inammissibili le doglianze relative a motivi a cui la parte ha implicitamente rinunciato con l’accordo, come la mancata valutazione delle condizioni per il proscioglimento o, appunto, vizi relativi alla determinazione della pena.

L’unica eccezione a questa regola si verifica quando la pena concordata e applicata si rivela essere una ‘pena illegale’. La Corte ha precisato la differenza fondamentale tra una pena ‘illegale’ e una ‘meramente illegittima’. Una pena è illegale solo quando non corrisponde, per specie o quantità, a quella astrattamente prevista dalla legge per quel reato (ad esempio, una pena detentiva per un reato che prevede solo una sanzione pecuniaria). Un errore nel calcolo di una riduzione, come quello lamentato dal ricorrente, non rende la pena ‘illegale’, ma al massimo ‘illegittima’, e non costituisce un motivo valido per impugnare un concordato.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

La pronuncia in esame rafforza la stabilità e la definitività degli accordi processuali. Per avvocati e imputati, ciò significa che la decisione di accedere al concordato in appello deve essere ponderata con estrema attenzione, poiché preclude quasi ogni possibilità di successiva contestazione della pena. La volontà espressa nell’accordo è vincolante. Inoltre, la Corte ha sottolineato che la proposizione di un ricorso palesemente inammissibile comporta non solo la condanna al pagamento delle spese processuali, ma anche il versamento di una somma considerevole alla Cassa delle ammende, a titolo di sanzione per l’abuso dello strumento processuale.

È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza decisa con ‘concordato in appello’?
No, non è sempre possibile. Il ricorso è ammesso solo per motivi specifici, come vizi nella formazione della volontà delle parti, nel consenso del pubblico ministero o se la decisione del giudice è difforme dall’accordo. Non è ammesso per contestare la determinazione della pena, a meno che non si tratti di una ‘pena illegale’.

Cosa si intende per ‘pena illegale’ secondo la Cassazione?
Per ‘pena illegale’ si intende una sanzione che non corrisponde, per tipo o quantità, a quella astrattamente prevista dalla legge per il reato contestato. È diversa da una pena semplicemente ‘illegittima’, ovvero determinata in violazione di legge ma che rientra comunque nel quadro sanzionatorio previsto.

Quali sono le conseguenze se un ricorso contro un concordato in appello viene dichiarato inammissibile?
Se il ricorso viene dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, poiché l’impugnazione viene considerata presentata con colpa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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