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Concordato in appello: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito i limiti all’impugnazione delle sentenze emesse a seguito di un concordato in appello. Un imputato aveva fatto ricorso lamentando il mancato proscioglimento e l’entità della pena. La Corte ha dichiarato il ricorso palesemente inammissibile, sottolineando che l’accordo sulla pena implica una rinuncia a contestare i motivi di merito, inclusa la valutazione delle cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. Il ricorso è ammesso solo per vizi relativi alla formazione della volontà delle parti o per pene illegali.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: i limiti al ricorso secondo la Cassazione

L’istituto del concordato in appello, noto anche come “patteggiamento in appello”, rappresenta uno strumento deflattivo del processo penale, consentendo alle parti di accordarsi sulla pena da applicare in secondo grado. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito, ancora una volta, i rigidi limiti entro cui è possibile impugnare una sentenza che recepisce tale accordo. La decisione sottolinea come l’adesione a questo rito alternativo comporti una sostanziale rinuncia a contestare il merito dell’accusa.

Il caso: ricorso contro una sentenza di patteggiamento in appello

Nel caso di specie, un imputato aveva proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello che aveva applicato la pena concordata ai sensi dell’art. 599-bis del codice di procedura penale. I motivi del ricorso si basavano su due punti principali: la violazione di legge per il mancato proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p. e un vizio di motivazione riguardo all’entità della pena irrogata. In sostanza, il ricorrente, pur avendo acconsentito all’accordo, contestava la decisione del giudice di non averlo assolto per una delle cause previste dalla legge e riteneva la pena non congrua.

La decisione della Cassazione sul concordato in appello

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso “palesemente inammissibile”. La decisione si fonda su un principio ormai consolidato e definito come ius receptum (diritto acquisito) nella giurisprudenza di legittimità. L’accordo processuale raggiunto tra accusa e difesa limita drasticamente l’ambito delle possibili contestazioni successive.

Inammissibilità palese e procedura semplificata

I giudici hanno applicato la procedura semplificata prevista dall’art. 610, comma 5-bis, c.p.p., che consente di dichiarare l’inammissibilità senza le formalità dell’udienza pubblica. Questa scelta legislativa è considerata ragionevole proprio perché il concordato in appello nasce da una “concorde prospettazione delle parti”, rendendo superfluo un dibattimento su questioni a cui l’imputato ha già implicitamente rinunciato.

Concordato in appello e rinuncia ai motivi di ricorso

Il cuore della pronuncia risiede nell’effetto preclusivo generato dall’accordo. Accettando di concordare la pena, l’imputato rinuncia ai motivi di appello che non sono oggetto dell’accordo stesso. Di conseguenza, il giudice di secondo grado non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento, poiché la sua cognizione è limitata dall’effetto devolutivo dell’impugnazione, circoscritto dall’accordo stesso.

I motivi ammissibili per l’impugnazione

La Cassazione chiarisce che il ricorso avverso una sentenza di patteggiamento in appello è ammissibile solo in casi eccezionali e specifici:
1. Vizi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato.
2. Mancanza del consenso del Procuratore Generale sulla richiesta.
3. Contenuto della pronuncia del giudice difforme rispetto all’accordo raggiunto.
4. Applicazione di una pena illegale, ovvero una pena non prevista dall’ordinamento giuridico per quel tipo di reato.

Qualsiasi altra doglianza, specialmente se relativa al merito della responsabilità o alla valutazione delle prove, è considerata inammissibile.

Le motivazioni: perché il ricorso è inammissibile?

Le motivazioni della Corte si basano sulla natura negoziale del concordato in appello. Le parti, esercitando il loro potere dispositivo, danno vita a un negozio processuale che, una volta consacrato nella decisione del giudice, non può essere unilateralmente rimesso in discussione. L’imputato che chiede di patteggiare la pena rinuncia implicitamente alla facoltà di contestare l’accusa nel merito. Pertanto, non può successivamente lamentare in Cassazione la mancata valutazione di una possibile causa di assoluzione, poiché ha volontariamente scelto una via alternativa al giudizio ordinario.
La Corte ha inoltre ribadito che, salvo l’ipotesi di pena contra legem, anche la congruità della sanzione concordata non può essere oggetto di censura, in quanto frutto della libera determinazione delle parti. L’istituto trova il suo fondamento primario proprio nella “convergente richiesta di pubblico ministero e imputato sul merito dell’imputazione”.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

Questa ordinanza conferma un orientamento giurisprudenziale granitico. Chi opta per il concordato in appello deve essere pienamente consapevole delle conseguenze della propria scelta. L’accordo sulla pena preclude quasi ogni possibilità di un successivo ricorso per cassazione che entri nel merito della vicenda processuale. La decisione di aderire a questo rito deve essere ponderata attentamente con il proprio difensore, valutando il bilanciamento tra il beneficio di una pena certa e ridotta e la rinuncia a far valere le proprie ragioni in un giudizio di legittimità. Infine, la presentazione di un ricorso inammissibile comporta non solo la condanna al pagamento delle spese processuali, ma anche a una sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie.

È possibile impugnare in Cassazione una sentenza emessa a seguito di “concordato in appello” per chiedere l’assoluzione?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’accordo sulla pena implica la rinuncia ai motivi di appello non inclusi nell’accordo, compresa la richiesta di proscioglimento per una delle cause previste dall’art. 129 c.p.p. Tale doglianza è inammissibile.

Quali sono gli unici motivi per cui è ammesso un ricorso contro una sentenza di “concordato in appello”?
Il ricorso è ammesso solo per motivi attinenti alla formazione della volontà delle parti, al consenso del Procuratore Generale, a una decisione del giudice difforme dall’accordo o all’applicazione di una pena illegale (contra legem).

Cosa succede se si presenta un ricorso inammissibile contro una sentenza di patteggiamento in appello?
In caso di inammissibilità del ricorso, il ricorrente viene condannato, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in denaro in favore della cassa delle ammende, la cui entità è stabilita dal giudice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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