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Concordato in appello: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 36607/2024, ha dichiarato inammissibili i ricorsi di due imputati contro una sentenza emessa a seguito di ‘concordato in appello’. I ricorrenti lamentavano errori nel calcolo della pena e la mancata valutazione di cause di assoluzione. La Corte ha ribadito che l’accordo sulla pena preclude la possibilità di sollevare tali doglianze, salvo il caso di pena palesemente illegale, confermando la natura negoziale e dispositiva di questo istituto processuale.

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Pubblicato il 21 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in Appello: L’Accordo che Limita l’Impugnazione

Il concordato in appello, disciplinato dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo del contenzioso che permette alle parti di accordarsi sulla pena da applicare in secondo grado. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 36607/2024) offre un’importante occasione per analizzare i limiti e le conseguenze di tale accordo, chiarendo quali motivi di ricorso possano essere sollevati successivamente e quali, invece, si intendono rinunciati.

I Fatti del Caso

Due imputati ricorrevano in Cassazione avverso una sentenza della Corte d’Appello che aveva rideterminato la loro pena accogliendo un concordato proposto dalle parti. Nonostante l’accordo raggiunto, i difensori sollevavano diverse questioni dinanzi alla Suprema Corte. Un imputato lamentava la mancata valutazione di possibili cause di proscioglimento. L’altro, invece, contestava la quantificazione della pena, sostenendo un’errata applicazione della legge per non aver operato la riduzione prevista per il rito abbreviato e la violazione del divieto di reformatio in peius.

La Natura del Concordato in Appello e i Limiti al Ricorso

La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili, cogliendo l’occasione per ribadire la natura negoziale del concordato in appello. Questo istituto processuale si fonda sulla libera volontà delle parti (imputato e pubblico ministero) di definire l’esito del giudizio di secondo grado attraverso un accordo sulla pena. Una volta che tale accordo viene ratificato dal giudice, le possibilità di impugnazione si restringono notevolmente.

Il ricorso in Cassazione avverso una sentenza di questo tipo è ammissibile solo per motivi molto specifici, quali:

* Vizi nella formazione della volontà della parte di accedere al concordato.
* Vizi relativi al consenso del pubblico ministero.
* Una decisione del giudice difforme rispetto all’accordo raggiunto.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

Analizzando i motivi di ricorso, la Suprema Corte ha applicato i suoi principi consolidati. In primo luogo, ha affermato che, accettando il concordato in appello, l’imputato rinuncia implicitamente a far valere eventuali cause di proscioglimento previste dall’art. 129 c.p.p. Di conseguenza, il giudice d’appello non è tenuto a motivare sul perché non abbia prosciolto l’imputato, e una doglianza su questo punto è inammissibile.

In secondo luogo, e con particolare rilevanza pratica, la Corte ha affrontato la questione degli errori nel calcolo della pena. Ha chiarito che eventuali errori nei “passaggi intermedi” del calcolo (come la mancata applicazione di una diminuente per un rito speciale) non rendono la pena finale “illegale”. La pena concordata è il risultato di un negozio processuale e non deve necessariamente seguire pedissequamente tutti i criteri ordinari di determinazione. L’unico limite è che la sanzione finale non sia di un tipo non previsto dalla legge o al di fuori dei limiti edittali. Qualsiasi altra critica sulla sua quantificazione, essendo frutto di un accordo, è preclusa.

Le Conclusioni

La decisione in esame conferma la forza vincolante del concordato in appello. Le parti che scelgono questa via devono essere consapevoli che stanno compiendo una scelta processuale che comporta importanti rinunce. L’accordo, una volta consacrato nella decisione del giudice, non può essere rimesso in discussione per presunti errori di calcolo o per la mancata considerazione di motivi che sarebbero potuti sfociare in un proscioglimento. La stabilità dell’accordo prevale, salvo i rari casi di pena palesemente illegale o di vizi del consenso. Questa pronuncia serve da monito sulla necessità di ponderare attentamente la decisione di accedere a tale istituto, i cui benefici in termini di certezza e rapidità della pena si pagano con una significativa limitazione del diritto di impugnazione.

È possibile impugnare una sentenza di ‘concordato in appello’ per errori nel calcolo della pena?
No, di regola il ricorso è inammissibile. Eventuali errori nei passaggi intermedi del calcolo non sono motivo di impugnazione, a meno che non portino a una pena finale ‘illegale’, ovvero di un genere non previsto dalla legge o al di fuori dei limiti edittali.

Se si accetta un ‘concordato in appello’, il giudice deve comunque motivare la mancata assoluzione?
No. Secondo la giurisprudenza consolidata, l’adesione al concordato sulla pena implica la rinuncia a far valere le cause di proscioglimento previste dall’art. 129 c.p.p., pertanto il giudice non è tenuto a fornire una motivazione su tale punto.

Cosa succede se la pena concordata non applica una riduzione prevista, come quella per il rito abbreviato?
Il ricorso basato su tale motivo è inammissibile. La pena finale è il risultato di un negozio processuale tra le parti. Una volta che l’accordo è stato raggiunto e ratificato dal giudice, non può essere modificato unilateralmente contestando i criteri di calcolo interni, poiché ciò che conta è l’intesa raggiunta sul risultato finale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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