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Concordato in appello: quando il ricorso è inammissibile

Un imputato, dopo aver raggiunto un accordo sulla pena in secondo grado tramite un concordato in appello per reati di droga, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando un’errata motivazione sulla quantificazione della sanzione. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che le sentenze basate su questo tipo di accordo possono essere impugnate solo per vizi procedurali specifici e non per contestare la congruità della pena concordata, che è oggetto di rinuncia da parte dell’imputato.

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Pubblicato il 22 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: i limiti al ricorso in Cassazione

Il concordato in appello, introdotto dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo del contenzioso, permettendo alle parti di accordarsi sulla pena in secondo grado. Tuttavia, una volta raggiunto l’accordo, le possibilità di impugnazione si riducono drasticamente. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini entro cui è possibile ricorrere contro una sentenza emessa a seguito di tale accordo, dichiarando inammissibile un ricorso basato sulla presunta illogicità della motivazione relativa alla quantificazione della pena.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una sentenza della Corte d’Appello che, in seguito a un annullamento con rinvio, aveva rideterminato la pena per un imputato per reati legati agli stupefacenti (artt. 73 e 74 d.p.r. 309/1990). Questa nuova determinazione era avvenuta in accoglimento di una richiesta concorde delle parti, appunto un concordato in appello. La pena era stata fissata in quattro anni e otto mesi di reclusione, previa esclusione della recidiva e riconoscimento delle attenuanti generiche.

Nonostante l’accordo raggiunto, la difesa dell’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di motivazione (mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità) proprio in punto di dosimetria della pena. In sostanza, si contestava il modo in cui i giudici d’appello avevano motivato la quantità della sanzione penale, sebbene essa fosse il risultato di un patto processuale.

Il concordato in appello e i motivi di impugnazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il motivo di ricorso manifestamente infondato, cogliendo l’occasione per ribadire un principio consolidato in materia. L’art. 599-bis c.p.p. stabilisce che il ricorso contro una sentenza emessa a seguito di concordato in appello è consentito solo per motivi molto specifici, quali:

* Vizi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere all’accordo;
* Vizi riguardanti il consenso del Procuratore Generale alla richiesta;
* Contenuto della pronuncia del giudice difforme rispetto all’accordo stipulato tra le parti.

Al di fuori di queste ipotesi, le doglianze relative ai motivi a cui si è rinunciato con l’accordo, come quelle sulla determinazione della pena, sono inammissibili. Non è possibile, quindi, ‘ripensarci’ e contestare in Cassazione la congruità della pena che si era precedentemente accettato.

L’illegalità della pena come unica eccezione

L’unica eccezione a questa regola si verifica quando la pena concordata e applicata dal giudice sia ‘illegale’. Ciò accade quando la sanzione non rientra nei limiti minimi e massimi previsti dalla legge per quel reato, oppure è di una specie diversa da quella stabilita dalla norma. Nel caso di specie, nessuna di queste condizioni era presente.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha sottolineato che il ricorso dell’imputato non rientrava in nessuna delle categorie ammesse. La critica non verteva su un vizio della volontà o su una difformità della sentenza rispetto all’accordo, ma si concentrava esclusivamente sulla motivazione della dosimetria della pena. Questo è un punto su cui, aderendo al concordato, l’imputato aveva implicitamente rinunciato a sollevare contestazioni.

Inoltre, i giudici hanno osservato che la Corte d’Appello aveva comunque fornito una motivazione puntuale e congrua. Aveva dato atto dell’accordo, dell’esclusione della recidiva e del riconoscimento delle attenuanti generiche, specificando che la pena base era stata fissata al minimo edittale e che l’aumento per il reato satellite era modesto. Pertanto, anche volendo analizzare la motivazione, essa non presentava alcun vizio di illogicità.

Conclusioni

La decisione riafferma la natura pattizia del concordato in appello e la sua funzione di chiudere il contenzioso. Chi sceglie questa strada processuale accetta un compromesso, rinunciando a specifici motivi di appello in cambio di una pena certa e potenzialmente più mite. Pretendere di rimettere in discussione in Cassazione proprio gli aspetti oggetto dell’accordo, come la quantificazione della pena, svuoterebbe l’istituto della sua efficacia. L’ordinanza serve da monito: la scelta del concordato è una decisione strategica che preclude, salvo casi eccezionali e tassativi, un ulteriore sindacato di legittimità sulla congruità della sanzione patteggiata.

È possibile impugnare in Cassazione una sentenza emessa a seguito di concordato in appello?
Sì, ma solo per motivi molto specifici: vizi nella formazione della volontà di aderire all’accordo, vizi nel consenso del Procuratore Generale, o se la decisione del giudice è diversa da quanto pattuito. Non è possibile contestare aspetti che sono stati oggetto di rinuncia, come la motivazione sulla quantità della pena.

La critica alla motivazione sulla quantità della pena è un motivo valido per ricorrere?
No, secondo la Cassazione, le doglianze relative alla motivazione sulla dosimetria della pena sono inammissibili se la sentenza deriva da un concordato, a meno che la pena applicata non sia illegale (cioè fuori dai limiti di legge o di tipo diverso da quello previsto).

Cosa succede se un ricorso contro una sentenza di concordato in appello viene dichiarato inammissibile?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, il ricorrente la cui impugnazione è dichiarata inammissibile viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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