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Concordato in appello: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato contro la sentenza di un concordato in appello. L’analisi si concentra sulla coerenza della pena applicata rispetto a quella pattuita, sulla rinuncia implicita a motivi di proscioglimento e sull’impossibilità di contestare la misura della pena liberamente concordata. La decisione ribadisce la natura negoziale dell’istituto e i limiti dell’impugnazione.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: limiti all’impugnazione e natura dell’accordo

Il concordato in appello, introdotto dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento processuale che consente alle parti di accordarsi sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con una conseguente rideterminazione della pena. Ma cosa succede se, dopo aver raggiunto l’accordo, l’imputato decide di impugnare la sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione? Un’ordinanza recente della Suprema Corte chiarisce i limiti di tale impugnazione, ribadendo la natura negoziale dell’istituto e le conseguenze della rinuncia ai motivi di appello.

I fatti del caso

Un imputato, dopo aver raggiunto un accordo con la Procura Generale presso la Corte d’Appello, ricorreva in Cassazione contro la sentenza che recepiva tale patto. I motivi del ricorso erano tre:
1. Violazione di legge e vizio motivazionale: l’imputato sosteneva che vi fosse una discordanza tra la pena concordata (un anno e tre mesi di reclusione) e quella effettivamente applicata dal giudice (un anno e sei mesi).
2. Mancata pronuncia di proscioglimento: si lamentava che il giudice d’appello non avesse motivato sulla possibile assoluzione ai sensi dell’art. 129 c.p.p., che impone al giudice di prosciogliere l’imputato se ne ricorrono le condizioni.
3. Eccessività della pena: l’imputato contestava la congruità della sanzione, adombrando dubbi di costituzionalità sulla norma incriminatrice applicata (art. 624-bis c.p.).

La decisione della Corte di Cassazione sul concordato in appello

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente inammissibile, analizzando e respingendo ogni singolo motivo. Vediamo nel dettaglio le argomentazioni della Corte.

Primo motivo: la presunta discordanza sulla pena

La Suprema Corte ha ritenuto questo motivo infondato. Un’attenta analisi del verbale d’udienza ha rivelato che la pena concordata tra le parti e verbalizzata era esattamente quella di un anno e sei mesi di reclusione, oltre a una multa di 610 euro. Non vi era quindi alcuna discrepanza tra l’accordo e la decisione del giudice, che si era limitato a ratificare la volontà congiunta delle parti.

Secondo motivo: la mancata valutazione del proscioglimento

Anche questo motivo è stato giudicato inammissibile. La Corte ha ribadito un principio consolidato: l’accordo sulla pena in appello comporta la rinuncia a tutti gli altri motivi, ad eccezione di quelli relativi al trattamento sanzionatorio oggetto dell’accordo stesso. Questa rinuncia crea una preclusione processuale che impedisce al giudice di secondo grado di esaminare questioni che non gli sono più devolute. Di conseguenza, il giudice non è tenuto a motivare il mancato proscioglimento ex art. 129 c.p.p., poiché la volontà delle parti ha limitato l’oggetto del giudizio alla sola rideterminazione della pena.

Terzo motivo: la contestazione sull’entità della pena

Infine, la Corte ha dichiarato inammissibile anche la censura relativa all’eccessività della pena. Il concordato in appello è un negozio processuale liberamente stipulato. Una volta che l’accordo è consacrato nella decisione del giudice, non può essere unilateralmente modificato o messo in discussione dall’imputato. L’unica eccezione è l’ipotesi di una pena illegale, che non ricorreva nel caso di specie. Lamentare l’eccessività di una pena che si è liberamente concordato è, secondo la Corte, una contraddizione logica e giuridica.

Le motivazioni della Corte

La decisione si fonda sulla natura stessa del concordato in appello. Questo istituto processuale conferisce alle parti un potere dispositivo sull’esito del giudizio di secondo grado. L’accordo, basato su una rinuncia parziale ai motivi di appello, limita la cognizione del giudice alla sola questione della pena. La volontà delle parti diventa quindi il fulcro del processo, e il giudice si limita a verificare la correttezza dell’accordo e a trasfonderlo in una sentenza. Impugnare successivamente tale sentenza per motivi a cui si è rinunciato o per contestare l’esito di un accordo liberamente raggiunto è un’azione processualmente non consentita. La Corte, nel dichiarare l’inammissibilità palese del ricorso, ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di quattromila euro in favore della cassa delle ammende, sottolineando la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

Le conclusioni

Questa ordinanza della Cassazione offre importanti chiarimenti sui limiti dell’impugnazione delle sentenze emesse a seguito di concordato in appello. La decisione rafforza la natura negoziale e dispositiva dell’istituto, evidenziando che la scelta di accedere a tale rito comporta conseguenze processuali irreversibili. L’imputato che accetta di concordare la pena rinuncia implicitamente a far valere altre doglianze, comprese quelle relative a un potenziale proscioglimento. La pena concordata, inoltre, non può essere successivamente contestata sotto il profilo della sua congruità, a meno che non sia palesemente illegale. Questa pronuncia serve da monito: la scelta del concordato deve essere ponderata, poiché chiude la porta a successive contestazioni nel merito.

È possibile impugnare in Cassazione un concordato in appello lamentando che la pena applicata è diversa da quella pattuita?
Sì, ma solo se la discordanza è reale e provata. Nel caso di specie, la Corte ha verificato dai verbali che la pena applicata era esattamente quella concordata tra le parti, rendendo il motivo infondato.

Se si accetta un concordato in appello, il giudice deve motivare perché non ha prosciolto l’imputato ai sensi dell’art. 129 c.p.p.?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’accordo sulla pena in appello implica la rinuncia agli altri motivi, creando una preclusione processuale. Il giudice non è tenuto a motivare il mancato proscioglimento su questioni a cui la parte ha rinunciato.

Si può contestare la misura della pena dopo averla liberamente concordata in appello?
No, un ricorso basato sulla presunta eccessività della pena concordata è inammissibile. L’accordo è un negozio processuale che, una volta recepito dal giudice, non può essere modificato unilateralmente, salvo il raro caso di applicazione di una pena illegale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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