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Concordato in appello: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso contro una sentenza emessa a seguito di concordato in appello (art. 599-bis c.p.p.). L’accordo, che prevedeva la rinuncia ai motivi di merito per ottenere una ridefinizione della pena, preclude la possibilità di sollevare le stesse questioni in Cassazione, salvo vizi specifici sulla formazione della volontà o sull’illegalità della pena.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in Appello: La Cassazione Chiarisce i Limiti dell’Impugnazione

Il concordato in appello, noto anche come ‘patteggiamento in appello’, è uno strumento processuale che consente all’imputato e alla pubblica accusa di accordarsi sui motivi del ricorso, spesso rinunciando a contestazioni di merito in cambio di una pena più mite. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 8724/2024, ha ribadito con fermezza i confini di questo istituto, chiarendo quando e perché un successivo ricorso in Cassazione diventa inammissibile. Questa decisione offre spunti fondamentali per comprendere la natura vincolante delle scelte processuali.

I Fatti del Caso Processuale

Il caso nasce dal ricorso di un imputato contro una sentenza della Corte d’Appello di Bari. In secondo grado, la difesa aveva raggiunto un accordo con la Procura Generale, ai sensi dell’art. 599-bis del codice di procedura penale. L’accordo prevedeva l’accoglimento del solo motivo di appello relativo al trattamento sanzionatorio, con una conseguente rideterminazione della pena. Per ottenere questo risultato, l’imputato aveva esplicitamente rinunciato a tutti gli altri motivi di appello, inclusi quelli ‘di merito’ e quelli relativi alle attenuanti generiche. Nonostante l’accordo e la sentenza favorevole in appello, l’imputato ha tentato di impugnare tale decisione davanti alla Corte di Cassazione.

La Decisione sul Concordato in Appello della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine: la scelta di accedere al concordato in appello implica una rinuncia consapevole che produce effetti processuali non superabili. L’imputato, accettando di limitare l’appello alla sola entità della pena, ha cristallizzato la sua posizione sui capi e punti oggetto di rinuncia. Di conseguenza, non può riproporre le medesime questioni in sede di legittimità. Il ricorso è stato giudicato generico e sganciato dalla specifica vicenda processuale, portando alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte di Cassazione ha articolato la sua decisione su diversi punti logico-giuridici interconnessi.

In primo luogo, ha sottolineato che la rinuncia ai motivi di merito in appello determina la formazione di un giudicato parziale. I punti della sentenza di primo grado non contestati o oggetto di rinuncia diventano definitivi. Pertanto, è precluso un successivo riesame da parte della Cassazione su tali questioni. La libertà di scelta processuale dell’imputato, una volta esercitata, produce conseguenze irreversibili.

In secondo luogo, la Corte ha chiarito che, a seguito della reintroduzione del concordato in appello con la legge n. 103/2017, la cognizione del giudice di secondo grado è limitata dai confini dell’accordo. A causa dell’effetto devolutivo dell’impugnazione, il giudice d’appello non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento per le cause previste dall’art. 129 c.p.p. (come l’evidenza dell’innocenza) o sulla sussistenza di nullità, poiché tali questioni sono coperte dalla rinuncia.

Infine, l’ordinanza ha specificato che le uniche doglianze ammissibili in Cassazione contro una sentenza ex art. 599-bis c.p.p. sono estremamente limitate. Esse possono riguardare esclusivamente:
1. Eventuali vizi nella formazione della volontà delle parti di accedere all’accordo.
2. Un contenuto della sentenza difforme rispetto all’accordo raggiunto.
3. L’irrogazione di una pena palesemente illegale.

Qualsiasi altra censura, incluse quelle sulla qualificazione giuridica del fatto o sulla logicità della motivazione, è da considerarsi inammissibile perché implicita nell’accettazione dell’accordo stesso.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche del Concordato in Appello

La pronuncia in esame consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro: il concordato in appello è un atto processuale serio e vincolante. Per la difesa, ciò significa che la decisione di percorrere questa strada deve essere attentamente ponderata. La rinuncia ai motivi di appello non è una mera formalità, ma un atto che preclude quasi ogni ulteriore via di impugnazione. L’assistito deve essere pienamente consapevole che, in cambio di un beneficio immediato sulla pena, sta chiudendo definitivamente la discussione sulla sua responsabilità e su altre questioni di merito. Per gli avvocati, emerge l’importanza di una consulenza chiara e completa sui pro e contro di tale scelta, illustrando al cliente la quasi impossibilità di un successivo ricorso per motivi diversi da quelli, eccezionali, ammessi dalla giurisprudenza.

È possibile ricorrere in Cassazione dopo aver fatto un concordato in appello?
Sì, ma solo per motivi molto specifici. Il ricorso è ammesso unicamente per contestare vizi nella formazione della volontà di accordarsi, una discordanza tra l’accordo e la sentenza, o l’applicazione di una pena illegale. Non è possibile riproporre i motivi di merito ai quali si è rinunciato.

Su quali punti si forma il giudicato dopo un concordato in appello?
Il giudicato si forma su tutti i capi e i punti della sentenza di primo grado che sono stati oggetto di rinuncia nell’accordo. Ad esempio, se si rinuncia a contestare la responsabilità penale per accordarsi solo sulla pena, l’affermazione di colpevolezza diventa definitiva.

Il giudice d’appello, in caso di concordato, deve comunque verificare la possibilità di assolvere l’imputato?
No. Secondo la Corte, a causa dell’effetto devolutivo dell’impugnazione e della rinuncia ai motivi di merito, la cognizione del giudice d’appello è limitata ai punti non oggetto di rinuncia. Non è quindi tenuto a motivare sul mancato proscioglimento per le cause di non punibilità previste dall’art. 129 c.p.p.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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