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Concordato in appello: quando il ricorso è inammissibile

Un individuo, condannato per furto e altri reati, ha impugnato in Cassazione la sentenza di secondo grado emessa a seguito di un “concordato in appello”. Il motivo era la presunta mancata informazione su sanzioni sostitutive. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, specificando che le sentenze di concordato in appello possono essere impugnate solo per vizi procedurali specifici o per illegalità della pena, non per contestazioni sulla scelta della sanzione applicata.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in Appello: La Cassazione Stabilisce i Limiti dell’Impugnazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6777 del 2024, è tornata a pronunciarsi sui limiti di impugnabilità delle sentenze emesse a seguito di concordato in appello, un istituto processuale disciplinato dall’art. 599-bis del codice di procedura penale. Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale: l’accordo sulla pena in appello comporta una rinuncia a gran parte dei motivi di ricorso, che resta possibile solo in casi eccezionali e tassativamente previsti. L’analisi di questa decisione offre spunti cruciali per comprendere la natura e le conseguenze di tale scelta processuale.

I Fatti del Caso Processuale

Il caso trae origine da una condanna in primo grado emessa dal Tribunale di Venezia nei confronti di un imputato per i reati di furto in abitazione, resistenza a pubblico ufficiale e porto illegale di oggetti atti ad offendere. In sede di appello, la difesa e l’accusa raggiungevano un accordo ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p. La Corte di Appello di Venezia, recependo l’accordo, riformava parzialmente la sentenza, rideterminando in melius (cioè in modo più favorevole) il trattamento sanzionatorio, confermando nel resto la condanna.

Il Ricorso in Cassazione e i Motivi di Doglianza

Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato, tramite il suo difensore, proponeva ricorso per cassazione. La doglianza principale si fondava su una presunta violazione di legge e un vizio di motivazione. In particolare, si lamentava il fatto che la Corte di Appello non avesse avvisato l’imputato della possibilità di sostituire la pena detentiva con una delle sanzioni sostitutive previste dalla recente Riforma Cartabia (d.lgs. n. 150/2022). Secondo la difesa, questa omissione viziava la sentenza, nonostante l’imputato stesso avesse manifestato la propria disponibilità a una pena sostitutiva durante l’udienza.

La Decisione della Cassazione sul Concordato in Appello

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. La decisione si basa su un’interpretazione consolidata e rigorosa dei limiti all’impugnazione delle sentenze emesse a seguito di concordato in appello.

I Motivi Tassativi per l’Impugnazione

La Corte ha ribadito che il ricorso in cassazione avverso una sentenza ex art. 599-bis c.p.p. è consentito solo per un numero molto ristretto di motivi. Questi includono:

1. Vizi nella formazione della volontà della parte di accedere al concordato.
2. Mancanza del consenso del pubblico ministero.
3. Contenuto difforme della pronuncia del giudice rispetto all’accordo raggiunto tra le parti.
4. Illegalità della sanzione inflitta, intesa come pena non rientrante nei limiti edittali o diversa da quella prevista dalla legge per quel tipo di reato.

Al di fuori di queste ipotesi, ogni altra doglianza, inclusa quella relativa alla valutazione delle condizioni per il proscioglimento o a vizi nella determinazione della pena, è da considerarsi inammissibile.

Le Motivazioni

La ragione di questa rigidità risiede nella natura stessa del concordato in appello. Si tratta di un accordo processuale attraverso il quale l’imputato, di fatto, rinuncia a far valere determinati motivi di appello in cambio di una ridefinizione concordata della pena. La Corte di Cassazione ha chiarito che la lamentela dell’imputato non rientrava in nessuna delle categorie ammesse. Il vizio denunciato, infatti, atteneva alla determinazione della pena e alla presunta mancata valutazione di un’opzione sanzionatoria (le sanzioni sostitutive) diversa da quella poi concordata (detenzione domiciliare). Questo tipo di doglianza non si traduce in una “illegalità della sanzione”, poiché la pena applicata era comunque prevista dalla legge. Pertanto, accettando l’accordo, l’imputato aveva implicitamente rinunciato a contestare la scelta della specifica sanzione.

Le Conclusioni

La sentenza in esame rafforza il principio della stabilità e della definitività degli accordi processuali. Chi sceglie la via del concordato in appello deve essere consapevole che sta limitando drasticamente le proprie future possibilità di impugnazione. La decisione della Cassazione serve come monito: il ricorso non può essere utilizzato per rimettere in discussione aspetti della pena che sono stati oggetto dell’accordo stesso, a meno che non si configuri una vera e propria illegalità. Di conseguenza, la scelta di aderire a un concordato deve essere ponderata attentamente, valutando tutti i pro e i contro, poiché chiude la porta alla maggior parte delle contestazioni successive davanti alla Suprema Corte.

È sempre possibile impugnare in Cassazione una sentenza emessa a seguito di “concordato in appello”?
No. La sentenza stabilisce che il ricorso è ammissibile solo per motivi specifici e tassativi, come vizi nella formazione della volontà di accordarsi, dissenso del pubblico ministero, difformità della pronuncia rispetto all’accordo o illegalità della pena inflitta.

Lamentare la mancata informazione su pene alternative è un motivo valido per ricorrere contro un concordato in appello?
No. Secondo la Corte, questa doglianza riguarda la determinazione della pena e non rientra tra i vizi che rendono la sanzione “illegale” o tra i motivi tassativi per cui è ammesso il ricorso avverso una sentenza emessa ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen.

Cosa succede se il ricorso contro una sentenza di concordato viene dichiarato inammissibile?
Come avvenuto in questo caso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria (in questa sentenza, tremila euro) in favore della cassa delle ammende, a meno che non dimostri di non avere colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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