Concordato in appello e Ricorso: i limiti secondo la Cassazione
Il concordato in appello, introdotto dall’articolo 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento fondamentale per la deflazione del carico giudiziario, consentendo alle parti di accordarsi sulla rideterminazione della pena in secondo grado. Tuttavia, quali sono i limiti per impugnare una sentenza che recepisce tale accordo? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 5900/2024) offre chiarimenti cruciali, stabilendo che un ricorso basato su motivi generici e non specificamente previsti dalla legge è destinato all’inammissibilità.
Il caso: un accordo sulla pena contestato
La vicenda processuale ha origine dalla condanna di un imputato da parte del Tribunale di Velletri. In sede di appello, la difesa dell’imputato e la Procura Generale hanno raggiunto un accordo sulla pena, formalizzato dalla Corte di appello di Roma con una sentenza che ha riformato parzialmente la pronuncia di primo grado.
Nonostante l’accordo, l’imputato, tramite il proprio difensore, ha deciso di presentare ricorso per cassazione. La contestazione non riguardava l’accordo in sé, ma la sentenza che lo aveva recepito, accusandola di “motivazione apparente”. In sostanza, si lamentava la totale assenza di un percorso argomentativo che spiegasse come si fosse giunti alla nuova determinazione della pena, violando, a dire del ricorrente, diverse norme procedurali e sostanziali.
I motivi del ricorso: la critica alla motivazione
Il ricorrente ha dedotto la nullità della sentenza d’appello per una presunta violazione degli articoli 546 e 606 del codice di procedura penale. L’argomento centrale era che la Corte territoriale si fosse limitata a ratificare l’accordo senza esplicitare le ragioni giuridiche e i calcoli che avevano portato alla pena concordata. Questa mancanza di esplicazione, secondo la difesa, rendeva la motivazione meramente apparente e, di conseguenza, la sentenza nulla.
La decisione della Cassazione sul concordato in appello
La Suprema Corte ha respinto categoricamente le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno chiarito che le sentenze emesse a seguito di concordato in appello possono essere impugnate solo per motivi specifici e tassativi. Richiamando, per analogia, la disciplina prevista per il patteggiamento (art. 448, comma 2-bis, c.p.p.), la Corte ha elencato i soli motivi validi per un ricorso:
1. Difetti relativi all’espressione della volontà dell’imputato.
2. Mancata correlazione tra la richiesta delle parti e la decisione del giudice.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto.
4. Illegalità della pena applicata o della misura di sicurezza disposta.
Il ricorso presentato non rientrava in nessuna di queste categorie.
Le motivazioni
La Corte ha definito il motivo di ricorso “manifestamente infondato, oltre che generico e del tutto aspecifico”. L’argomentazione della difesa era vista come un tentativo di contestare, in modo velato, l’entità di una pena che pure era stata concordata. La Cassazione ha sottolineato che il ricorrente non ha mai sostenuto che la pena fosse illegale – ad esempio, perché superiore ai limiti massimi o calcolata su basi errate – ma si è limitato a criticare la mancanza di una spiegazione dettagliata del suo calcolo.
Questa critica, secondo i giudici, è inefficace. Quando le parti si accordano sulla pena, il giudice d’appello non è tenuto a redigere una motivazione complessa come quella di una sentenza emessa dopo un dibattimento completo. Il suo compito è verificare la correttezza dell’accordo e la congruità della pena. Un ricorso che non denuncia un vizio specifico, ma si limita a una critica generica sulla motivazione, si risolve in una contestazione sterile e, pertanto, inammissibile.
Le conclusioni
La decisione riafferma un principio fondamentale: il concordato in appello è un patto processuale che, una volta raggiunto e ratificato dal giudice, acquisisce una notevole stabilità. Non è possibile rimetterlo in discussione con argomentazioni generiche o pretestuose. L’impugnazione è un rimedio eccezionale, riservato a vizi gravi e specificamente individuati dalla legge. Chi accetta di concordare la pena in appello rinuncia implicitamente a contestarne la congruità, a meno che non emerga un profilo di palese illegalità. Questa ordinanza serve quindi da monito, rafforzando l’efficacia degli strumenti deflattivi e scoraggiando ricorsi dilatori e infondati.
È possibile impugnare in Cassazione una sentenza emessa a seguito di “concordato in appello”?
Sì, ma solo per motivi specifici e limitati. L’ordinanza chiarisce che, analogamente al patteggiamento, tali motivi riguardano la formazione della volontà dell’imputato, la correlazione tra richiesta e sentenza, l’erronea qualificazione giuridica del fatto o l’illegalità della pena.
Una motivazione carente sulla rideterminazione della pena è un valido motivo per annullare un “concordato in appello”?
No. Secondo questa ordinanza, un motivo di ricorso che lamenta genericamente l’assenza di un’argomentazione dettagliata sulla pena, senza allegare che la pena stessa sia illegale secondo un parametro specifico, è manifestamente infondato e non può portare all’annullamento della sentenza.
Cosa succede se un ricorso contro una sentenza di “concordato in appello” viene dichiarato inammissibile?
Come stabilito in questa ordinanza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro, stimata equa dal giudice, in favore della cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 5900 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 2 Num. 5900 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Castellamare di Stabia il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 08/06/2023 della Corte di appello di ROMA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le conclusioni del difensore AVV_NOTAIO, che ha chiesto di annullare la sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte di appello di Roma con sentenza del 08/06/2023 su accordo delle parti ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen. ha riformato la sentenza del Tribunale di Velletri del 30/05/2022 appellata da COGNOME NOME rideterminando la pena inflitta per il reato allo stesso ascritto in concorso con COGNOME NOME.
COGNOME NOME ha presentato ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, deducendo nullità della sentenza per violazione degli artt. 546 e606, nonché 599, 599-bis cod. proc. pen. nonché art. 648 cod. pen. per apparenza della
motivazione, in assenza di qualsiasi argomentazione ed esplicazione del percorso argomentativo in ordine alla nuova determinazione della pena.
Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivo manifestamente infondato, oltre che generico e del tutto aspecifico. Come osservato da questa Corte è sempre possibile ricorrere per cassazione deducendo, sulla base del menzionato art. 448, comma 2-bis, solo per motivi attinenti alla volontà del’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e, infine, alla illegalità della pena o della misura di sicurezza. Ciò posto, evidente che l’odierno ricorrente proponga – con argomentazione del tutto generica per come articolata, formalmente intesa a contestare la pena richiesta, neanche definita illegale (ma in tutto corrispondente alla proposta di concordato formulata), in assenza di qualsiasi effettiva allegazione, in relazione alla quale la determinazione della pena realizzata possa essere eventualmente ritenuta illegale, senza precisare secondo quale parametro – un motivo manifestamente infondato.
Il ricorso deve in conclusione essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, stimata equa, di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 9 gennaio 2024.