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Concordato in appello: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato contro una sentenza d’appello basata su un accordo tra le parti (concordato in appello). Il ricorso, che lamentava una motivazione carente sulla rideterminazione della pena, è stato giudicato generico e aspecifico. La Corte ha ribadito che l’impugnazione di tali sentenze è possibile solo per motivi tassativi, come l’illegalità della pena, e non per una generica contestazione della motivazione.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello e Ricorso: i limiti secondo la Cassazione

Il concordato in appello, introdotto dall’articolo 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento fondamentale per la deflazione del carico giudiziario, consentendo alle parti di accordarsi sulla rideterminazione della pena in secondo grado. Tuttavia, quali sono i limiti per impugnare una sentenza che recepisce tale accordo? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 5900/2024) offre chiarimenti cruciali, stabilendo che un ricorso basato su motivi generici e non specificamente previsti dalla legge è destinato all’inammissibilità.

Il caso: un accordo sulla pena contestato

La vicenda processuale ha origine dalla condanna di un imputato da parte del Tribunale di Velletri. In sede di appello, la difesa dell’imputato e la Procura Generale hanno raggiunto un accordo sulla pena, formalizzato dalla Corte di appello di Roma con una sentenza che ha riformato parzialmente la pronuncia di primo grado.

Nonostante l’accordo, l’imputato, tramite il proprio difensore, ha deciso di presentare ricorso per cassazione. La contestazione non riguardava l’accordo in sé, ma la sentenza che lo aveva recepito, accusandola di “motivazione apparente”. In sostanza, si lamentava la totale assenza di un percorso argomentativo che spiegasse come si fosse giunti alla nuova determinazione della pena, violando, a dire del ricorrente, diverse norme procedurali e sostanziali.

I motivi del ricorso: la critica alla motivazione

Il ricorrente ha dedotto la nullità della sentenza d’appello per una presunta violazione degli articoli 546 e 606 del codice di procedura penale. L’argomento centrale era che la Corte territoriale si fosse limitata a ratificare l’accordo senza esplicitare le ragioni giuridiche e i calcoli che avevano portato alla pena concordata. Questa mancanza di esplicazione, secondo la difesa, rendeva la motivazione meramente apparente e, di conseguenza, la sentenza nulla.

La decisione della Cassazione sul concordato in appello

La Suprema Corte ha respinto categoricamente le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno chiarito che le sentenze emesse a seguito di concordato in appello possono essere impugnate solo per motivi specifici e tassativi. Richiamando, per analogia, la disciplina prevista per il patteggiamento (art. 448, comma 2-bis, c.p.p.), la Corte ha elencato i soli motivi validi per un ricorso:

1. Difetti relativi all’espressione della volontà dell’imputato.
2. Mancata correlazione tra la richiesta delle parti e la decisione del giudice.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto.
4. Illegalità della pena applicata o della misura di sicurezza disposta.

Il ricorso presentato non rientrava in nessuna di queste categorie.

Le motivazioni

La Corte ha definito il motivo di ricorso “manifestamente infondato, oltre che generico e del tutto aspecifico”. L’argomentazione della difesa era vista come un tentativo di contestare, in modo velato, l’entità di una pena che pure era stata concordata. La Cassazione ha sottolineato che il ricorrente non ha mai sostenuto che la pena fosse illegale – ad esempio, perché superiore ai limiti massimi o calcolata su basi errate – ma si è limitato a criticare la mancanza di una spiegazione dettagliata del suo calcolo.

Questa critica, secondo i giudici, è inefficace. Quando le parti si accordano sulla pena, il giudice d’appello non è tenuto a redigere una motivazione complessa come quella di una sentenza emessa dopo un dibattimento completo. Il suo compito è verificare la correttezza dell’accordo e la congruità della pena. Un ricorso che non denuncia un vizio specifico, ma si limita a una critica generica sulla motivazione, si risolve in una contestazione sterile e, pertanto, inammissibile.

Le conclusioni

La decisione riafferma un principio fondamentale: il concordato in appello è un patto processuale che, una volta raggiunto e ratificato dal giudice, acquisisce una notevole stabilità. Non è possibile rimetterlo in discussione con argomentazioni generiche o pretestuose. L’impugnazione è un rimedio eccezionale, riservato a vizi gravi e specificamente individuati dalla legge. Chi accetta di concordare la pena in appello rinuncia implicitamente a contestarne la congruità, a meno che non emerga un profilo di palese illegalità. Questa ordinanza serve quindi da monito, rafforzando l’efficacia degli strumenti deflattivi e scoraggiando ricorsi dilatori e infondati.

È possibile impugnare in Cassazione una sentenza emessa a seguito di “concordato in appello”?
Sì, ma solo per motivi specifici e limitati. L’ordinanza chiarisce che, analogamente al patteggiamento, tali motivi riguardano la formazione della volontà dell’imputato, la correlazione tra richiesta e sentenza, l’erronea qualificazione giuridica del fatto o l’illegalità della pena.

Una motivazione carente sulla rideterminazione della pena è un valido motivo per annullare un “concordato in appello”?
No. Secondo questa ordinanza, un motivo di ricorso che lamenta genericamente l’assenza di un’argomentazione dettagliata sulla pena, senza allegare che la pena stessa sia illegale secondo un parametro specifico, è manifestamente infondato e non può portare all’annullamento della sentenza.

Cosa succede se un ricorso contro una sentenza di “concordato in appello” viene dichiarato inammissibile?
Come stabilito in questa ordinanza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro, stimata equa dal giudice, in favore della cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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