Concordato in Appello: Quando il Ricorso in Cassazione è Vietato
L’istituto del concordato in appello, introdotto dalla riforma Orlando (Legge n. 103/2017), rappresenta una scelta strategica fondamentale per la difesa. Con questo strumento, le parti possono accordarsi sulla pena da eseguire, chiudendo di fatto la vicenda processuale in secondo grado. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un punto cruciale: questa scelta comporta la rinuncia a ogni ulteriore impugnazione. Analizziamo come la Suprema Corte ha applicato il principio di inammissibilità del ricorso in un caso emblematico.
I Fatti del Caso
Il procedimento ha origine dalla condanna di un individuo in primo grado, con rito abbreviato, per i reati di concorso in indebito utilizzo di una carta di credito contraffatta e detenzione di altre carte clonate. La vicenda si è svolta a Roma, dove il reato è stato accertato nell’aprile del 2018.
Giunto dinanzi alla Corte d’Appello, l’imputato ha scelto la via del concordato in appello, ai sensi dell’art. 599 bis del codice di procedura penale. La Corte territoriale ha accolto la richiesta di pena concordata, riconoscendo le attenuanti generiche come equivalenti alla recidiva contestata e, di conseguenza, riducendo la sanzione finale. Nonostante l’accordo raggiunto, la difesa ha deciso di presentare ricorso per cassazione, lamentando la violazione dell’art. 129 c.p.p.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha stroncato sul nascere il tentativo di impugnazione, dichiarando il ricorso inammissibile. La decisione non è entrata nel merito del motivo sollevato, ma si è fermata a una valutazione puramente procedurale. In conseguenza della declaratoria di inammissibilità, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro a favore della cassa delle ammende.
Le Motivazioni: L’Impatto del Concordato in Appello sulla Ricorribilità
La motivazione della Corte è netta e si fonda su una precisa disposizione normativa. Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché proposto avverso una sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 599 bis c.p.p. (il cosiddetto concordato in appello).
La stessa legge che ha introdotto questo istituto (L. n. 103/2017) ha contemporaneamente modificato l’art. 610 del codice di procedura penale, inserendo il comma 5 bis. Questa norma stabilisce in modo inequivocabile che le sentenze emesse in applicazione dell’art. 599 bis non sono ricorribili per cassazione. La volontà del legislatore è chiara: l’accordo tra le parti in appello definisce la controversia e preclude ulteriori gradi di giudizio.
La Corte ha semplicemente applicato questa disposizione, che era in vigore al momento dei fatti. La condanna al pagamento della sanzione alla cassa delle ammende, inoltre, trova fondamento nell’art. 616 c.p.p. e nella giurisprudenza della Corte Costituzionale (sentenza n. 186/2000). Tale sanzione viene irrogata quando emerge un profilo di colpa nella proposizione dell’impugnazione, come nel caso di un ricorso presentato contro un divieto di legge esplicito. È una misura che mira a scoraggiare impugnazioni palesemente infondate o dilatorie.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche per la Difesa
Questa ordinanza offre un monito fondamentale per gli operatori del diritto. La scelta di accedere al concordato in appello è una decisione che implica una rinuncia definitiva al diritto di impugnare la sentenza in Cassazione. L’imputato e il suo difensore devono ponderare attentamente i vantaggi (certezza e riduzione della pena) contro lo svantaggio di perdere l’ultimo grado di giudizio. La norma è perentoria e non lascia spazio a interpretazioni: l’accordo sigillato in appello chiude la porta alla Suprema Corte. Ignorare questa regola non solo porta a una declaratoria di inammissibilità, ma espone anche a significative sanzioni economiche.
È possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza decisa con ‘concordato in appello’?
No. L’ordinanza chiarisce che, in base all’art. 610, comma 5 bis, c.p.p., le sentenze pronunciate a seguito di accordo tra le parti in appello (art. 599 bis c.p.p.) non sono ricorribili per cassazione.
Cosa succede se si presenta comunque un ricorso contro una sentenza non appellabile?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro alla cassa delle ammende.
Perché il ricorrente è stato condannato a pagare una somma alla cassa delle ammende?
La condanna si fonda sull’art. 616 c.p.p. e sulla colpa del ricorrente nell’aver proposto un’impugnazione vietata espressamente dalla legge. Questa sanzione ha lo scopo di disincentivare la presentazione di ricorsi palesemente infondati.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 51745 Anno 2019
Penale Ord. Sez. 7 Num. 51745 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2019
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 06/06/1978
avverso la sentenza del 26/10/2018 della CORTE APPELLO di ROMA
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udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
La CORTE APPELLO di ROMA, con sentenza in data 26/10/2018, in riforma della sentenza del TRIBUNALE di ROMA in data 4/04/2018, con la quale NOME all’esito del giudizio abbreviato, era stato condannato a pena di giustizia per concorso in indebito utilizzo di una carta di credito contraffatta e nella detenzione di altre clonate e contraffatte, reato accertato a ROMA il 3/04/2018, accoglieva la richiesta di pena concordata in appello e, previo riconoscimento a entrambi delle attenuanti generiche, equivalenti sulla recidiva contestata, riduceva la pena.
COGNOME propone ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, e deduce come unico motivo la violazione del disposto di cui all’art. 129 cod. proc. pen.
Il ricorso è inammissibile perché proposto avverso una sentenza pronunciata ai sensi dell’art.599 bis c.p.p., non ricorribile per cassazione ai sensi dell’art.610, comma 5 bis, c.p.p., disposizioni entrambe introdotte dall’art. 1 della legge n.103/2017, in vigore dal 3 agosto 2017.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro alla cassa delle ammende.
Così deciso il 3/12/2019