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Concordato in appello: limiti ricorso in Cassazione

Un imputato, dopo aver raggiunto un accordo sulla pena in secondo grado tramite un concordato in appello, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando la mancata valutazione delle condizioni per un proscioglimento. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che dopo un concordato in appello non è più possibile contestare la responsabilità o la qualificazione del reato, ma solo eccepire vizi legati alla formazione dell’accordo o all’illegalità della pena.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in Appello: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

Il concordato in appello, disciplinato dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo del contenzioso che consente alle parti di accordarsi sulla pena da applicare in secondo grado. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 13752/2024, offre un’importante lezione sui limiti invalicabili del successivo ricorso per cassazione, chiarendo quali motivi possano essere validamente proposti e quali, invece, conducano a una declaratoria di inammissibilità.

Il Contesto del Caso Giudiziario

La vicenda processuale ha origine da una condanna in primo grado emessa dal G.U.P. del Tribunale. In sede di appello, l’imputato e la procura generale hanno raggiunto un accordo, che ha portato la Corte d’Appello a rideterminare la pena per il reato di furto in abitazione (art. 624-bis c.p.) in quattro anni di reclusione e 1.600 euro di multa.

Nonostante l’accordo, la difesa ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un’unica doglianza: la violazione di legge e il vizio di motivazione per la mancata verifica, da parte del giudice d’appello, della sussistenza di cause di proscioglimento immediato ai sensi dell’art. 129 del codice di procedura penale.

La Decisione della Cassazione: un Ricorso Inammissibile

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, in quanto basato su un motivo non consentito dalla legge. Gli Ermellini hanno colto l’occasione per tracciare con precisione il perimetro delle impugnazioni contro le sentenze emesse a seguito di concordato in appello.

Il Collegio ha ribadito un principio consolidato: il ricorso avverso tali sentenze è ammissibile solo per motivi specifici, quali:

1. Vizi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato.
2. Vizi relativi al consenso del pubblico ministero sulla richiesta.
3. Un contenuto della pronuncia del giudice difforme rispetto all’accordo raggiunto.

Sono invece inammissibili tutte le doglianze relative a motivi che sono stati oggetto di rinuncia con l’accordo stesso, come la valutazione delle condizioni per il proscioglimento ex art. 129 c.p.p. o i vizi sulla determinazione della pena, a meno che questa non risulti palesemente illegale.

Le motivazioni e la differenza con il patteggiamento

La Corte ha sottolineato la diversa fisionomia del concordato in appello rispetto all’applicazione della pena su richiesta delle parti (il cosiddetto ‘patteggiamento’) disciplinata dall’art. 444 c.p.p. Mentre il patteggiamento abbraccia l’intera accusa, il concordato si innesta sulla rinuncia ai motivi di impugnazione. Questa differenza strutturale comporta una conseguenza fondamentale: con il concordato, l’imputato accetta la statuizione sulla responsabilità e sulla qualificazione giuridica del fatto contenuta nella sentenza di primo grado. Diventa quindi impossibile rimettere in discussione tali punti in sede di legittimità.

Le ipotesi di annullamento di una sentenza ex art. 599-bis sono, pertanto, molto più circoscritte rispetto a quelle previste per le sentenze di patteggiamento. L’unica vera via d’uscita rimane la contestazione dell’illegalità della pena, ad esempio perché inflitta al di fuori dei limiti edittali o perché di specie diversa da quella prevista dalla legge. In mancanza di tali vizi, il ricorso non può essere esaminato nel merito.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della pronuncia

L’ordinanza in esame cristallizza un principio fondamentale: la scelta di accedere al concordato in appello è una decisione processuale con conseguenze definitive. L’imputato, accettando l’accordo, rinuncia implicitamente a far valere gran parte delle possibili censure contro la sentenza di condanna. Il ricorso in Cassazione si trasforma in uno strumento a critica limitata, esperibile quasi esclusivamente per denunciare l’illegalità della sanzione concordata.

La declaratoria di inammissibilità ha comportato, nel caso di specie, non solo la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di 4.000 euro alla Cassa delle ammende, a causa dell’evidente colpa nell’aver proposto un’impugnazione priva dei requisiti di legge. Questa pronuncia funge da monito sull’importanza di valutare attentamente la strategia processuale prima di intraprendere la via dell’accordo in appello.

È possibile ricorrere in Cassazione dopo aver raggiunto un concordato in appello?
Sì, ma solo per motivi molto specifici. Il ricorso è ammissibile esclusivamente se riguarda vizi nella formazione della volontà di accordarsi, il consenso del pubblico ministero, un contenuto della sentenza difforme dall’accordo, oppure l’illegalità della pena inflitta.

Si può contestare la propria colpevolezza in Cassazione dopo un concordato in appello?
No. Il concordato in appello si fonda sulla rinuncia ai motivi di impugnazione, il che preclude la possibilità di contestare successivamente sia la responsabilità penale sia la qualificazione giuridica del fatto stabilite nella sentenza precedente.

Cosa succede se si presenta un ricorso inammissibile contro una sentenza di concordato in appello?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come sanzione per aver presentato un’impugnazione basata su motivi non consentiti dalla legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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