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Concordato in appello: limiti e rinuncia ai motivi

Un imputato ha impugnato una sentenza emessa a seguito di un ‘concordato in appello’, lamentando una motivazione carente su possibili cause di proscioglimento. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, specificando che la rinuncia volontaria a determinati motivi di appello crea un ‘giudicato sostanziale’ su tali punti. Di conseguenza, le questioni oggetto di rinuncia non possono essere riproposte in Cassazione, poiché l’ambito di giudizio del giudice d’appello era già limitato all’accordo sulla pena.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: Rinunciare ai Motivi Preclude il Ricorso in Cassazione

Il concordato in appello, disciplinato dall’articolo 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo che consente alle parti di accordarsi sull’esito del giudizio di secondo grado. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce in modo netto le conseguenze della rinuncia ai motivi di impugnazione, un atto che preclude la possibilità di sollevare nuovamente le stesse questioni in sede di legittimità. Analizziamo la decisione per comprendere i limiti del ricorso contro una sentenza che ratifica tale accordo.

I Fatti del Caso: un Ricorso Basato su Motivi Rinunciati

Nel caso di specie, un imputato aveva raggiunto un accordo con la Procura Generale presso la Corte di Appello per la determinazione della pena, rinunciando a tutti gli altri motivi di impugnazione. La Corte di Appello, recependo l’accordo, emetteva la relativa sentenza. Successivamente, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di motivazione: a suo dire, la Corte d’Appello non aveva spiegato perché non sussistessero le condizioni per un proscioglimento immediato ai sensi dell’art. 129 c.p.p. La doglianza, tuttavia, si basava proprio su uno dei punti oggetto di rinuncia.

La Decisione sul concordato in appello e i suoi Limiti

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, basando la sua decisione su principi procedurali consolidati e rafforzati dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite. La pronuncia si articola su due pilastri fondamentali: l’effetto preclusivo della rinuncia e l’interruzione della cosiddetta ‘catena devolutiva’.

L’Effetto Preclusivo della Rinuncia ai Motivi

Il punto centrale della decisione è che la rinuncia a uno o più motivi di appello produce un effetto di ‘giudicato sostanziale’ sui punti rinunciati. Questo significa che quelle specifiche questioni escono definitivamente dal perimetro del processo e non possono essere riproposte in un grado di giudizio successivo.

La Suprema Corte, richiamando la fondamentale sentenza ‘Fazio’ delle Sezioni Unite (n. 19415/2022), ha ribadito che il concordato in appello non è un rito speciale come il patteggiamento, ma si inserisce nel giudizio ordinario di secondo grado. Tuttavia, i limiti all’impugnazione non derivano da una norma speciale (come l’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. per il patteggiamento), bensì dall’effetto preclusivo generato dalla volontà stessa della parte che rinuncia. Di conseguenza, la cognizione del giudice d’appello è circoscritta unicamente ai motivi non oggetto di rinuncia, ovvero l’accordo sulla pena.

L’Interruzione della Catena Devolutiva

Oltre al tema della rinuncia, la Corte ha evidenziato un’ulteriore causa di inammissibilità. L’imputato non aveva sollevato la questione relativa alla sussistenza di cause di proscioglimento nemmeno nell’atto di appello originario. Nel processo penale vige il principio devolutivo, secondo cui il giudice superiore può pronunciarsi solo su ciò che gli è stato specificamente richiesto con i motivi di impugnazione. Non avendo mai sottoposto la questione alla Corte d’Appello, l’imputato aveva interrotto la ‘catena devolutiva’, rendendo inammissibile la censura proposta per la prima volta in Cassazione.

Le Motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte si fondano su una logica di coerenza processuale e di rispetto della volontà delle parti. Consentire a un imputato di rimettere in discussione punti a cui ha volontariamente rinunciato per ottenere un beneficio (l’accordo sulla pena) svuoterebbe di significato l’istituto del concordato in appello. La rinuncia è un atto dispositivo che produce effetti giuridici stabili, cristallizzando il giudizio sui capi e punti non contestati.

La Corte ha affermato che ‘il giudice di secondo grado, nell’accogliere la richiesta di pena concordata, non deve motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato […] perché si deve rapportare l’obbligo della motivazione all’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione’. Una volta che l’imputato rinuncia, la cognizione del giudice si restringe, e non può essere riespansa in sede di legittimità.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica per la difesa. La scelta di accedere al concordato in appello deve essere ponderata attentamente, con la piena consapevolezza che la rinuncia ai motivi ha carattere tombale. Non è una strategia reversibile. Una volta rinunciato a contestare la propria responsabilità, per esempio, non si potrà più sollevare tale questione dinanzi alla Cassazione. La decisione finale solidifica il principio che l’accordo processuale è un patto serio, le cui conseguenze preclusive devono essere chiare fin dall’inizio, garantendo così la certezza del diritto e l’economia processuale.

È possibile impugnare in Cassazione una sentenza di ‘concordato in appello’ per motivi a cui si era rinunciato?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la rinuncia ai motivi di appello crea un ‘giudicato sostanziale’ su quei punti, impedendo che possano essere riproposti nel successivo grado di giudizio.

Il giudice d’appello, in caso di ‘concordato in appello’, deve motivare il mancato proscioglimento dell’imputato?
No. Se l’imputato ha rinunciato ai motivi di appello relativi alla sua colpevolezza, la cognizione del giudice è limitata ai soli punti non oggetto di rinuncia (solitamente, l’entità della pena concordata). Pertanto, non vi è obbligo di motivare l’assenza di cause di proscioglimento.

Si possono presentare per la prima volta in Cassazione motivi non sollevati davanti alla Corte d’Appello?
No. Il ricorso è inammissibile se propone motivi relativi a statuizioni del giudice di primo grado che non sono state devolute al giudice d’appello con uno specifico motivo d’impugnazione. Questo principio interrompe la ‘catena devolutiva’ e rende il motivo inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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