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Concordato in appello: limiti del ricorso in Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso contro una sentenza emessa a seguito di concordato in appello. La Corte ha chiarito che tale impugnazione è permessa solo per vizi relativi alla formazione dell’accordo o per illegalità della pena, ma non per contestare la mancata valutazione di cause di assoluzione, in quanto tali motivi si intendono rinunciati con l’accordo stesso.

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Pubblicato il 24 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile

L’istituto del concordato in appello, disciplinato dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento per definire il processo in secondo grado attraverso un accordo sulla pena. Tuttavia, la scelta di questa via processuale comporta importanti conseguenze sulla possibilità di impugnare la decisione successiva. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 37993/2024) ha ribadito i rigidi limiti del ricorso avverso una sentenza emessa a seguito di tale accordo, dichiarandolo inammissibile.

Il caso: un ricorso dopo l’accordo sulla pena

Nel caso di specie, un imputato aveva raggiunto un accordo con la Procura Generale presso la Corte d’Appello per la rideterminazione della pena inflittagli in primo grado per un reato in materia di stupefacenti. La Corte d’Appello, recependo l’accordo, aveva parzialmente riformato la sentenza precedente, applicando la pena concordata.

Nonostante l’accordo, l’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso per cassazione, lamentando che i giudici d’appello non avessero valutato la sussistenza di una causa di non punibilità, che, secondo la difesa, avrebbe dovuto portare a un proscioglimento nel merito ai sensi dell’art. 129 c.p.p.

I limiti del ricorso dopo un concordato in appello

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo un principio consolidato in giurisprudenza. La natura stessa del concordato in appello si fonda sulla rinuncia ai motivi di impugnazione. L’imputato, accettando una determinata pena, implicitamente rinuncia a contestare la propria responsabilità, la qualificazione giuridica del fatto e altri aspetti che avrebbero potuto essere oggetto dei motivi di appello originari.

Di conseguenza, il ricorso in Cassazione contro una sentenza emessa ex art. 599-bis c.p.p. è consentito solo per motivi molto specifici, che non riguardano il merito della decisione, ma la correttezza procedurale dell’accordo stesso. Essi includono:

1. Vizi nella formazione della volontà della parte di accedere al concordato.
2. Mancanza o vizio del consenso del pubblico ministero.
3. Una decisione del giudice difforme rispetto all’accordo raggiunto tra le parti.

La differenza con il “patteggiamento”

La Corte sottolinea la differenza tra il concordato in appello e l’applicazione della pena su richiesta delle parti (il cosiddetto “patteggiamento”) previsto dall’art. 444 c.p.p. Mentre nel patteggiamento l’accordo abbraccia anche i termini dell’accusa, nel concordato l’accordo si innesta sulla rinuncia ai motivi di appello. Questa diversa fisionomia rende i motivi di ricorso ancora più ristretti nel caso del concordato rispetto a quelli, già limitati, previsti per le sentenze di patteggiamento.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha spiegato che le doglianze relative alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento (art. 129 c.p.p.) sono inammissibili perché riguardano questioni di merito a cui l’imputato ha rinunciato aderendo al concordato. Allo stesso modo, sono inammissibili i vizi relativi alla determinazione della pena, a meno che non si traducano in una “pena illegale”, ovvero una sanzione non prevista dalla legge per quel reato o applicata al di fuori dei limiti edittali.

Poiché il motivo presentato dall’imputato non rientrava in nessuna delle ipotesi consentite, il ricorso è stato dichiarato inammissibile “senza formalità”. Tale declaratoria ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di euro 4.000,00 alla Cassa delle ammende, a causa del “elevato coefficiente di colpa” nel proporre un’impugnazione palesemente infondata.

Conclusioni

La decisione in esame conferma che la scelta del concordato in appello è una via che preclude quasi ogni possibilità di successiva impugnazione in Cassazione. L’imputato e il suo difensore devono ponderare attentamente questa scelta, essendo consapevoli che, una volta raggiunto l’accordo, non sarà più possibile contestare nel merito la decisione di condanna. Il ricorso resta un’opzione praticabile solo per denunciare gravi vizi procedurali legati alla formazione dell’accordo o l’applicazione di una pena palesemente contraria alla legge.

È possibile presentare ricorso in Cassazione contro una sentenza di “concordato in appello” per lamentare la mancata assoluzione?
No. Secondo la Corte, i motivi relativi alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. sono considerati rinunciati con l’accordo e quindi non possono essere usati per impugnare la sentenza.

Quali sono gli unici motivi validi per impugnare una sentenza emessa a seguito di concordato in appello?
Il ricorso è ammissibile solo se si contestano vizi nella formazione della volontà di accedere all’accordo, nel consenso del pubblico ministero, se la decisione del giudice è difforme dall’accordo, o se la pena applicata è illegale (cioè diversa da quella prevista dalla legge o fuori dai limiti edittali).

Cosa succede se il ricorso viene dichiarato inammissibile?
L’imputato viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata stabilita in 4.000,00 euro a causa della manifesta infondatezza del ricorso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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