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Concordato in appello: limiti del ricorso in Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza Num. 2592 del 2025, ha dichiarato inammissibili i ricorsi di due imputati avverso una sentenza d’appello che aveva ratificato un concordato sulla pena. La Corte ha ribadito che, una volta raggiunto un accordo sulla pena, non è possibile contestare in Cassazione né la sua congruità né gli elementi che ne fanno parte, come la recidiva. Il controllo del giudice è limitato alla sola legalità della pena concordata, non alla sua opportunità.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: quando la pena concordata non è più discutibile

Il concordato in appello, introdotto dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo che consente alle parti di accordarsi sulla pena da applicare, evitando un lungo dibattimento. Ma quali sono i limiti di questo accordo? Una volta siglato, è possibile rimetterlo in discussione davanti alla Corte di Cassazione? Un’ordinanza recente della Suprema Corte fa luce su questo punto, stabilendo confini precisi e ribadendo la natura vincolante dell’accordo.

I fatti del caso

Due imputati, dopo aver ricevuto una sentenza di condanna in primo grado, decidevano di ricorrere in appello. In quella sede, tramite i loro difensori, formulavano una proposta di concordato in appello con la Procura Generale, che veniva accolta dalla Corte territoriale. La pena veniva quindi ridotta come da accordo.

Nonostante l’accordo raggiunto, entrambi gli imputati presentavano ricorso per Cassazione. Il primo contestava l’applicazione della recidiva, ritenendola immotivata, e la congruità della pena, lamentando una riduzione non sufficiente. Il secondo, invece, lamentava una carenza di motivazione in ordine alla sua affermazione di responsabilità penale.

La decisione della Cassazione sul concordato in appello

La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili per manifesta infondatezza. La decisione si fonda su un principio cardine del concordato in appello: la natura negoziale dell’accordo e i conseguenti limiti al potere di impugnazione.

La Corte ha specificato che il controllo del giudice d’appello sulla pena concordata è circoscritto alla sua legalità, non alla sua congruità. In altre parole, il giudice deve solo verificare che la pena rientri nei limiti edittali previsti dalla legge per quel reato, senza poter entrare nel merito della sua adeguatezza al caso concreto, poiché questa valutazione è rimessa all’accordo tra le parti.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha spiegato che il concordato in appello è un negozio processuale liberamente stipulato. Una volta che il giudice lo ratifica, le parti non possono dolersi dei suoi contenuti. Contestare l’applicazione della recidiva, che è un elemento che concorre alla determinazione della pena, equivale a rimettere in discussione l’accordo stesso, cosa non consentita.

L’accordo sulla pena, infatti, implica l’accettazione di tutti gli elementi che l’hanno determinata, comprese le circostanze aggravanti. Di conseguenza, il ricorrente che ha concordato la pena non può successivamente lamentare un’errata valutazione di tali elementi da parte del giudice.

Per quanto riguarda il secondo ricorrente, la Corte ha osservato che le doglianze sulla responsabilità penale erano state oggetto di rinuncia implicita con la richiesta di concordato. Accettando di concordare esclusivamente la pena, l’imputato rinuncia a contestare l’affermazione di colpevolezza, che resta quindi ancorata alla motivazione della sentenza di primo grado. La Corte d’Appello, in tal caso, non è tenuta a fornire una nuova motivazione sulla responsabilità.

Conclusioni

Questa pronuncia consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro: il concordato in appello è un patto processuale che, una volta accettato, chiude la discussione sui punti concordati. Non è possibile utilizzare questo strumento per ottenere uno sconto di pena e poi tentare di rimettere in discussione i termini dell’accordo in Cassazione. L’unica via d’uscita è la dimostrazione di una ‘pena illegale’, cioè una pena che viola i minimi o i massimi previsti dalla legge, circostanza che non si è verificata nel caso di specie. La decisione sottolinea l’importanza della consapevolezza e della ponderazione nella scelta di accedere a riti alternativi, le cui conseguenze processuali sono vincolanti e non reversibili.

È possibile contestare in Cassazione una pena decisa con un concordato in appello?
No, a meno che la pena sia palesemente illegale (ad esempio, fuori dai limiti minimi e massimi previsti dalla legge). Il controllo del giudice si limita alla legalità della pena, non alla sua congruità o opportunità, poiché la sua entità è frutto di un accordo tra le parti.

Se accetto un concordato sulla pena, posso ancora contestare l’applicazione di un’aggravante come la recidiva?
No. L’accordo sulla pena include tutti gli elementi che hanno contribuito alla sua determinazione, comprese le circostanze aggravanti. Accettando il concordato, l’imputato accetta implicitamente anche l’applicazione dell’aggravante e non può contestarla successivamente.

Cosa succede se un imputato rinuncia ai motivi di appello sulla responsabilità per concordare solo la pena?
Se un imputato rinuncia ai motivi di appello che contestano la sua colpevolezza per accordarsi solo sulla riduzione della pena, non può più sollevare questioni sulla responsabilità in Cassazione. La motivazione sulla colpevolezza rimane quella contenuta nella sentenza di primo grado.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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