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Concordato in appello: limiti del ricorso in Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso avverso una sentenza emessa a seguito di ‘concordato in appello’ per un reato in materia di stupefacenti. La Corte ha chiarito che, aderendo all’accordo, l’imputato rinuncia a contestare la responsabilità e può impugnare la sentenza solo per vizi specifici, come quelli relativi alla formazione della volontà o all’illegalità della pena, escludendo la mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p. (obbligo di proscioglimento).

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: quando il ricorso per Cassazione è un vicolo cieco

L’istituto del concordato in appello, disciplinato dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento per definire il processo nel secondo grado di giudizio attraverso un accordo sulla pena. Tuttavia, questa scelta processuale comporta conseguenze significative sulla possibilità di impugnare la decisione davanti alla Corte di Cassazione. Una recente ordinanza della Suprema Corte chiarisce in modo netto i confini di tale impugnazione, confermando che l’accordo implica una rinuncia sostanziale a quasi tutti i motivi di ricorso.

I Fatti del Caso

Il caso analizzato trae origine da una condanna per un delitto in materia di sostanze stupefacenti. Inizialmente, il Tribunale emetteva una pronuncia di condanna. Successivamente, la Corte di Appello, in parziale riforma della prima sentenza e sulla base di un accordo tra le parti (il cosiddetto concordato in appello), rideterminava la pena finale in due anni e due mesi di reclusione e 3.000 euro di multa.

Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato, tramite il suo difensore, proponeva ricorso per Cassazione. La doglianza era unica e specifica: la Corte di Appello avrebbe errato nel non applicare l’articolo 129 del codice di procedura penale, che impone al giudice di prosciogliere l’imputato quando risulta evidente una causa di non punibilità.

La Decisione della Corte sul concordato in appello

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio consolidato: il ricorso avverso una sentenza emessa a seguito di concordato in appello è consentito solo per un novero molto ristretto di motivi. La Suprema Corte ha ribadito che l’accordo si fonda sulla rinuncia ai motivi di impugnazione, cristallizzando la responsabilità penale e la qualificazione giuridica del fatto. Di conseguenza, non è più possibile, in sede di legittimità, sollevare questioni che si sarebbero dovute abbandonare con l’adesione al concordato.

Le Motivazioni

I giudici di legittimità hanno spiegato in modo dettagliato le ragioni giuridiche alla base della loro decisione. Il concordato in appello (art. 599-bis c.p.p.) ha una fisionomia diversa rispetto al patteggiamento in primo grado (art. 444 c.p.p.). Mentre quest’ultimo riguarda i termini stessi dell’accusa, il primo si innesta sulla rinuncia ai motivi di appello. Questa rinuncia preclude la possibilità di contestare successivamente la responsabilità e la qualificazione giuridica del fatto.

Il ricorso in Cassazione contro una sentenza ‘concordata’ in appello è ammissibile solo per motivi eccezionali, quali:
1. Vizi nella formazione della volontà della parte di accedere all’accordo.
2. Mancanza del consenso del pubblico ministero.
3. Contenuto della sentenza difforme dall’accordo raggiunto.
4. Illegalità della pena applicata (ad esempio, perché fuori dai limiti edittali o di specie diversa da quella prevista dalla legge).

La lamentela relativa alla mancata valutazione delle condizioni per il proscioglimento immediato (ex art. 129 c.p.p.) rientra tra i motivi rinunciati. Accettando il concordato, l’imputato implicitamente accetta l’accertamento di colpevolezza e non può più invocarne una rivalutazione. Pertanto, la doglianza sollevata è stata considerata non consentita dalla legge.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame offre un importante monito per la difesa: la scelta di aderire a un concordato in appello è una decisione strategica che deve essere ponderata attentamente. Sebbene possa portare a una riduzione della pena, essa chiude quasi definitivamente le porte a un successivo ricorso per Cassazione. Le uniche vie d’uscita rimangono legate a vizi procedurali gravi dell’accordo stesso o a un’eventuale pena illegale, ma non permettono più di rimettere in discussione il merito della vicenda. La Corte ha inoltre condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di 4.000 euro alla Cassa delle ammende, a causa dell’evidente infondatezza del ricorso, sanzionando così un’impugnazione ritenuta dilatoria.

Quali sono i motivi per cui si può ricorrere in Cassazione dopo un concordato in appello?
Il ricorso è ammissibile solo per motivi molto specifici, quali vizi nella formazione della volontà delle parti, dissenso del pubblico ministero, difformità tra la sentenza e l’accordo, o illegalità della pena inflitta (ad esempio, se supera i limiti di legge).

È possibile contestare la propria colpevolezza in Cassazione dopo aver accettato un concordato in appello?
No. L’adesione al concordato in appello implica la rinuncia ai motivi di impugnazione, inclusi quelli che contestano la responsabilità penale e la qualificazione giuridica del fatto. Non è quindi possibile sollevare questioni relative alla mancata assoluzione, come quella basata sull’art. 129 c.p.p.

Cosa succede se si presenta un ricorso inammissibile dopo un concordato in appello?
La Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile e, come nel caso di specie, condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, il cui importo è commisurato alla colpa nell’aver proposto un’impugnazione palesemente infondata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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