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Concordato in appello: limiti all’impugnazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso contro una sentenza emessa a seguito di concordato in appello (art. 599-bis c.p.p.). L’ordinanza chiarisce che l’impugnazione è consentita solo per vizi relativi alla formazione della volontà delle parti o al contenuto difforme della pronuncia, ma non per ridiscutere la dosimetria della pena o il mancato riconoscimento di attenuanti, considerati motivi rinunciati con l’accordo. La Corte sottolinea inoltre che eventuali novità normative o giurisprudenziali, come una nuova attenuante introdotta dalla Corte Costituzionale, devono essere sollevate dinanzi al giudice d’appello prima della formalizzazione dell’accordo.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile

Il concordato in appello, disciplinato dall’articolo 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo che consente alle parti di accordarsi sui motivi di impugnazione e sulla pena da applicare. Tuttavia, una volta raggiunta un’intesa e pronunciata la sentenza, quali sono i limiti per un eventuale ricorso in Cassazione? Con l’ordinanza in esame, la Suprema Corte ribadisce i confini rigorosi di questa impugnazione, chiarendo che non può trasformarsi in un’occasione per ridiscutere il merito delle questioni oggetto di rinuncia.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo. Quest’ultima aveva applicato la pena concordata tra le parti ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p. Nonostante l’accordo, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione lamentando due principali vizi: una errata dosimetria della pena, anche alla luce di una recente sentenza della Corte Costituzionale, e il mancato riconoscimento di alcune circostanze attenuanti.

La Decisione della Corte e la natura del concordato in appello

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio consolidato: la sentenza che recepisce un concordato in appello può essere impugnata solo per motivi molto specifici. Questi includono vizi relativi alla formazione della volontà dell’imputato di aderire all’accordo, al consenso del pubblico ministero, o al caso in cui la decisione del giudice sia difforme rispetto a quanto pattuito.

Al di fuori di queste ipotesi, non è consentito utilizzare il ricorso per Cassazione per sollevare doglianze che riguardano i motivi ai quali si è rinunciato con l’accordo, come quelli relativi alla determinazione della pena o al giudizio di bilanciamento delle circostanze. Tali questioni sono coperte dall’accordo stesso e non possono essere rimesse in discussione.

Le Motivazioni della Corte

Nel motivare la propria decisione, la Suprema Corte ha richiamato il suo orientamento costante, secondo cui sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati o a vizi nella determinazione della pena che non si traducano in una vera e propria illegalità della sanzione (ad esempio, una pena superiore al massimo edittale).

Un punto di particolare interesse riguarda la censura relativa alla sentenza n. 86 del 2024 della Corte Costituzionale, che aveva introdotto una nuova attenuante per il delitto di estorsione. La difesa sosteneva che la Corte d’Appello avesse omesso di motivare su questo punto. La Cassazione ha respinto la doglianza con un’argomentazione procedurale impeccabile: la sentenza costituzionale era stata pubblicata in data anteriore alla pronuncia della sentenza d’appello. Di conseguenza, il ricorrente aveva la piena facoltà di sollevare la questione in quella sede, ad esempio con motivi aggiunti o in sede di conclusioni, per farla rientrare nell’accordo. Non avendolo fatto, non poteva lamentare l’omessa motivazione in sede di legittimità. In sostanza, la parte processuale ha l’onere di essere diligente e di prospettare al giudice tutte le questioni rilevanti prima che l’accordo venga siglato e la sentenza emessa.

Le Conclusioni

L’ordinanza riafferma con forza la natura del concordato in appello come atto negoziale e dispositivo che implica una rinuncia ai motivi non concordati. Il ricorso in Cassazione non è una terza istanza di merito, ma uno strumento di controllo sulla legittimità della procedura. Pertanto, una volta che le parti hanno liberamente pattuito una certa pena in cambio della rinuncia a specifici motivi d’appello, non possono successivamente tentare di aggirare l’accordo contestando proprio quegli aspetti che ne costituivano l’oggetto. La decisione sottolinea l’importanza della diligenza processuale delle parti, le quali devono far valere tutte le questioni, incluse quelle derivanti da nuove pronunce giurisprudenziali, nel momento e nella sede opportuna, ovvero davanti al giudice d’appello prima della definizione del concordato.

È possibile impugnare in Cassazione una sentenza emessa a seguito di ‘concordato in appello’?
Sì, ma solo per motivi specifici, quali vizi nella formazione della volontà delle parti di accedere all’accordo, nel consenso del pubblico ministero, o se la sentenza del giudice è diversa da quanto concordato. Non è possibile per ridiscutere motivi oggetto di rinuncia.

Perché il mancato riconoscimento di un’attenuante non è stato un motivo valido di ricorso in questo caso?
Perché le questioni relative alla dosimetria della pena e al riconoscimento delle circostanze attenuanti si considerano rinunciate con la sottoscrizione dell’accordo. Tali doglianze non rientrano tra i motivi ammessi per l’impugnazione di una sentenza emessa ex art. 599-bis c.p.p., a meno che la pena applicata non sia illegale.

Cosa succede se una nuova attenuante diventa applicabile dopo l’appello ma prima della sentenza concordata?
La parte interessata ha l’onere di sollevare la questione dinanzi al giudice d’appello prima che la sentenza venga pronunciata, ad esempio tramite motivi aggiunti o in sede di conclusioni, affinché possa essere valutata e inclusa nell’accordo. Se non lo fa, non può lamentare l’omessa valutazione per la prima volta con il ricorso in Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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