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Concordato in appello: limiti all’impugnazione

Un soggetto, condannato per reati legati agli stupefacenti, aveva raggiunto un accordo sulla pena in secondo grado tramite il cosiddetto “concordato in appello”. Nonostante ciò, ha proposto ricorso in Cassazione lamentando una mancata motivazione. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che le sentenze emesse a seguito di concordato possono essere impugnate solo per motivi specifici, non riscontrati nel caso di specie.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in Appello: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

Il concordato in appello, disciplinato dall’articolo 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo del contenzioso che consente alle parti di accordarsi sull’entità della pena in secondo grado. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i rigidi limiti all’impugnazione delle sentenze emesse in seguito a tale accordo, dichiarando inammissibile un ricorso che non rientrava nelle casistiche previste dalla legge.

Il Caso in Esame

La vicenda trae origine da una condanna per violazione della normativa sugli stupefacenti (art. 73, d.P.R. 309/1990). In secondo grado, la Corte d’Appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Verona, aveva rideterminato la pena a tre anni e quattro mesi di reclusione e 14.000 euro di multa. Questa decisione era il risultato di un concordato in appello tra le parti, che avevano concordato la pena rinunciando ai relativi motivi di impugnazione.

Nonostante l’accordo, l’imputato decideva di presentare ricorso per cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello avesse omesso la motivazione riguardo alle ragioni che avrebbero dovuto imporre un’assoluzione ai sensi dell’art. 129 del codice di procedura penale (obbligo della declaratoria di determinate cause di non punibilità).

I limiti del ricorso dopo un concordato in appello

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente inammissibile. La motivazione di tale decisione si fonda su una stretta interpretazione delle norme procedurali che regolano l’impugnazione delle sentenze derivanti da un concordato in appello.

L’articolo 610, comma 5-bis, del codice di procedura penale stabilisce infatti che i motivi di ricorso avverso una sentenza emessa ai sensi dell’art. 599-bis sono estremamente limitati. Il legislatore ha previsto questa restrizione proprio per garantire l’efficacia dello strumento del concordato, che si basa sulla rinuncia delle parti a contestare nel merito la decisione concordata.

le motivazioni

La Suprema Corte ha spiegato che il concordato in appello è un istituto processuale in cui le parti si accordano non solo sull’entità della pena, ma anche sulla qualificazione giuridica del fatto. Il ruolo del giudice d’appello, in questo contesto, è quello di verificare la correttezza di tali aspetti giuridici, la congruità della pena richiesta e il rispetto dei parametri e dei limiti fissati dalla legge per l’applicazione dell’istituto.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva correttamente compiuto questa valutazione, recependo l’accordo raggiunto tra le parti. Il motivo di ricorso sollevato dall’imputato, relativo alla presunta omessa motivazione su una possibile causa di assoluzione, non rientra tra quelli esperibili. Accettando il concordato, l’imputato ha implicitamente rinunciato a sollevare questioni che avrebbero dovuto essere discusse nel merito del giudizio d’appello. Di conseguenza, il suo ricorso è stato ritenuto privo dei requisiti di ammissibilità.

le conclusioni

L’ordinanza conferma un principio fondamentale: l’adesione al concordato in appello comporta una significativa limitazione del diritto di impugnazione. La scelta di accordarsi sulla pena preclude la possibilità di contestare successivamente la sentenza per motivi che non siano espressamente previsti dalla legge. La conseguenza diretta dell’inammissibilità del ricorso è stata la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende. Questa decisione serve da monito sull’importanza di valutare attentamente le conseguenze procedurali prima di accedere a istituti come il concordato in appello.

Che cos’è il concordato in appello (art. 599-bis c.p.p.)?
È un istituto processuale che consente alle parti (imputato e pubblico ministero) di accordarsi sulla qualificazione giuridica dei fatti e sull’entità della pena da applicare nel giudizio di appello, rinunciando ai motivi di impugnazione.

È possibile impugnare in Cassazione una sentenza emessa dopo un concordato in appello?
Sì, ma solo per motivi molto specifici previsti dalla legge (art. 610, comma 5-bis, c.p.p.). Il ricorso non può vertere su questioni di merito, come la valutazione delle prove o la mancata motivazione su un’eventuale assoluzione, poiché si ritiene che l’accordo implichi una rinuncia a tali doglianze.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso in Cassazione?
Comporta che la Corte non esamina il merito del ricorso. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro alla cassa delle ammende, come stabilito nel caso di specie per un importo di tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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