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Concordato in appello: limiti all’impugnazione

Un imputato ha impugnato in Cassazione la sentenza emessa a seguito di ‘concordato in appello’, lamentando un errore nel calcolo della pena per rapina. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che tale tipo di sentenza può essere impugnato solo per vizi di volontà o procedurali, non per contestare la determinazione della pena. Inoltre, la Corte ha sottolineato che, nel caso specifico, il calcolo era comunque corretto, condannando il ricorrente al pagamento delle spese e di un’ammenda.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: i ristretti confini del ricorso in Cassazione

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, torna a pronunciarsi sui limiti dell’impugnazione delle sentenze emesse a seguito di concordato in appello, un istituto processuale che permette alle parti di accordarsi sulla pena da applicare in secondo grado. La decisione chiarisce quando un ricorso è da considerarsi inammissibile, cristallizzando un principio fondamentale: l’accordo tra le parti, una volta ratificato dal giudice, assume la natura di un negozio processuale non modificabile unilateralmente, salvo casi eccezionali.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una sentenza della Corte di Appello di Napoli, con la quale un imputato, su concorde richiesta delle parti, vedeva applicarsi una pena di 3 anni, 8 mesi e 20 giorni di reclusione, oltre a 800 euro di multa, per il reato di rapina. Nonostante l’accordo raggiunto, il difensore dell’imputato proponeva ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo di impugnazione: la violazione di legge e l’erroneità della pena determinata dai giudici di secondo grado. Nello specifico, la difesa sosteneva che la Corte territoriale non avesse applicato correttamente la riduzione di pena prevista per il rito processuale adottato.

I limiti del ricorso contro il concordato in appello

La difesa dell’imputato lamentava un errore di calcolo nella determinazione della pena finale. Secondo la tesi difensiva, la riduzione prevista dal rito non era stata applicata correttamente, rendendo necessaria una rideterminazione della sanzione. Questo motivo di ricorso, tuttavia, si scontra con l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità in materia di concordato in appello.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo con fermezza i principi che governano l’impugnazione delle sentenze emesse ai sensi dell’art. 599-bis del codice di procedura penale. I giudici hanno chiarito che il ricorso avverso tali sentenze è consentito solo per motivi specifici e circoscritti, quali:

1. Vizi nella formazione della volontà della parte di accedere al concordato.
2. Problemi relativi al consenso del pubblico ministero.
3. Un contenuto della pronuncia del giudice difforme rispetto a quanto concordato.

Nel caso di specie, nessuno di questi vizi era stato dedotto. Il ricorrente si limitava a contestare il calcolo della pena, un aspetto che, secondo la Corte, non può essere oggetto di sindacato in sede di legittimità quando deriva da un accordo tra le parti. Il concordato, infatti, è un negozio processuale che, una volta consacrato nella decisione del giudice, non può essere modificato unilateralmente. Le parti esercitano un potere dispositivo e non sono vincolate a criteri rigidi di determinazione della pena; il giudice, a sua volta, è chiamato a valutarne la congruità complessiva, senza dover verificare la correttezza di ogni singolo passaggio aritmetico.

La Corte, inoltre, ha rilevato come la doglianza fosse anche manifestamente infondata nel merito. Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, il calcolo era corretto: la pena base era stata ridotta esattamente di un terzo, portando al risultato finale indicato nella sentenza impugnata. L’inammissibilità del ricorso ha quindi comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle Ammende, data la colpa ravvisata nella proposizione di un ricorso privo dei presupposti di legge.

Conclusioni

La decisione in commento rafforza la natura dispositiva del concordato in appello e ne delimita in modo netto l’ambito di impugnabilità. La stabilità dell’accordo processuale prevale sulla possibilità di contestare a posteriori il quantum della pena, a meno che non si deducano vizi genetici dell’accordo stesso o una sua palese illegalità. Questa pronuncia rappresenta un monito importante per la difesa: prima di accedere al concordato, è fondamentale una ponderata valutazione di tutti gli aspetti dell’accordo, poiché le possibilità di rimetterlo in discussione in Cassazione sono estremamente limitate e un ricorso infondato può comportare significative conseguenze economiche per l’assistito.

È sempre possibile impugnare una sentenza di ‘concordato in appello’?
No, il ricorso è ammissibile solo per motivi specifici che riguardano la formazione della volontà delle parti, il consenso del pubblico ministero, o una decisione del giudice non conforme all’accordo. Non è possibile contestare il merito del calcolo della pena.

Nel ‘concordato in appello’, il giudice deve verificare ogni passaggio del calcolo della pena?
No, il giudice ha il compito di sindacare esclusivamente la congruità della pena finale concordata. Non è tenuto a verificare la correttezza di eventuali calcoli intermedi che hanno portato a quella determinazione, poiché le parti esercitano un potere dispositivo.

Cosa succede se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento in appello viene dichiarato inammissibile?
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Inoltre, se la Corte ravvisa profili di colpa nella proposizione del ricorso, può condannarlo anche al pagamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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