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Concordato in appello: limiti al ricorso per Cassazione

Un imputato ha proposto ricorso in Cassazione contro una sentenza emessa a seguito di concordato in appello, lamentando vizi sulla determinazione della pena. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che l’impugnazione è consentita solo per vizi relativi alla formazione della volontà delle parti o per un contenuto della sentenza difforme dall’accordo, e non per motivi che si considerano rinunciati con l’accordo stesso, come quelli sulla quantificazione della pena.

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Pubblicato il 7 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile?

L’istituto del concordato in appello, noto anche come patteggiamento in appello, rappresenta uno strumento processuale finalizzato a definire il giudizio di secondo grado in modo più celere. Tuttavia, l’accordo tra le parti sulla pena comporta una rinuncia ai motivi di impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini entro cui è possibile impugnare la sentenza che ratifica tale accordo, delineando con precisione i casi di inammissibilità.

Il Fatto

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. Quest’ultima, in riforma di una precedente decisione del G.I.P., aveva ridotto la pena inflitta all’imputato proprio in applicazione dell’art. 599-bis c.p.p., ovvero recependo un accordo tra l’imputato e la procura generale. Nonostante l’accordo raggiunto, la difesa decideva di proporre ricorso per Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione in riferimento all’articolo 62-bis del codice penale, relativo alla concessione delle circostanze attenuanti generiche. In sostanza, si contestava un aspetto legato alla determinazione della pena che, tuttavia, era stata oggetto del patto processuale.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Con una decisione trattata de plano, ossia con una procedura semplificata e senza udienza pubblica data la manifesta infondatezza, i Giudici hanno condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

Le Motivazioni: i limiti del ricorso in caso di concordato in appello

Il cuore della decisione risiede nella disamina dei limiti all’impugnazione di una sentenza emessa a seguito di concordato in appello. La Corte ha richiamato il suo consolidato orientamento, secondo cui il ricorso in Cassazione in questi casi è ammissibile solo per motivi molto specifici. Essi riguardano:

1. Vizi nella formazione della volontà: Se la volontà dell’imputato di accedere all’accordo è stata viziata (ad esempio, per errore o violenza).
2. Difetti nel consenso del pubblico ministero: Qualora il consenso del PM fosse irregolare.
3. Contenuto difforme della pronuncia: Nel caso in cui la sentenza del giudice si discosti da quanto pattuito tra le parti.

Al di fuori di queste ipotesi, il ricorso è inammissibile. In particolare, non possono essere fatte valere doglianze relative a:

* Motivi rinunciati: Tutte le questioni che, con l’accordo, si intendono superate e rinunciate, come quelle sulla valutazione delle prove o sulla commisurazione della pena (proprio come nel caso di specie, riguardante le attenuanti generiche).
* Mancata valutazione di cause di proscioglimento: L’accordo sulla pena preclude la possibilità di lamentare la mancata applicazione di cause di non punibilità evidenti (ex art. 129 c.p.p.).
* Illegalità non qualificata della pena: Vizi relativi alla determinazione della pena che non si traducano in una sanzione illegale, cioè una pena di specie diversa da quella prevista dalla legge o inflitta fuori dai limiti edittali.

La Corte ha quindi concluso che il motivo addotto dal ricorrente, riguardando proprio la quantificazione della sanzione, rientrava a pieno titolo tra quelli a cui egli aveva implicitamente rinunciato aderendo al concordato.

Conclusioni: le implicazioni pratiche

Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale: la scelta di accedere al concordato in appello è una decisione strategica che produce effetti processuali definitivi. L’imputato, a fronte del beneficio di una pena concordata e potenzialmente più mite, accetta di chiudere il contenzioso e rinuncia a far valere gran parte dei possibili vizi della sentenza di primo grado. Il ricorso in Cassazione non può diventare uno strumento per rimettere in discussione il merito dell’accordo raggiunto. Per i difensori, ciò significa che la valutazione sull’opportunità di un concordato deve essere estremamente ponderata, illustrando chiaramente all’assistito le conseguenze in termini di preclusioni e la natura quasi tombale dell’accordo sulla successiva possibilità di impugnazione.

È sempre possibile ricorrere in Cassazione contro una sentenza emessa a seguito di ‘concordato in appello’?
No, non è sempre possibile. Il ricorso è ammesso solo per specifici motivi, come vizi nella formazione della volontà di aderire all’accordo, irregolarità nel consenso del pubblico ministero, o una pronuncia del giudice difforme da quanto pattuito.

Per quali motivi un ricorso in Cassazione, dopo un accordo sulla pena in appello, è considerato inammissibile?
Il ricorso è inammissibile se riguarda doglianze relative a motivi rinunciati con l’accordo (es. valutazione delle prove, commisurazione della pena), alla mancata valutazione di condizioni di proscioglimento (ex art. 129 c.p.p.), o a vizi nella determinazione della pena che non la rendano palesemente illegale (cioè di tipo diverso o fuori dai limiti previsti dalla legge).

Cosa succede se il ricorso viene dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
In caso di inammissibilità del ricorso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in denaro, stabilita discrezionalmente dalla Corte, in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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