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Concordato in appello: limiti al ricorso per cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che, dopo aver accettato un concordato in appello per reati di spaccio ed estorsione, aveva impugnato la sentenza chiedendo l’assoluzione. La Corte ha stabilito che l’adesione al concordato implica la rinuncia ai motivi relativi alla responsabilità, rendendo il ricorso non consentito e confermando la solidità del principio del patteggiamento in secondo grado.

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Pubblicato il 6 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in Appello: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

Il concordato in appello, introdotto dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo che consente alle parti di accordarsi sulla pena da applicare in secondo grado, rinunciando ai motivi di appello. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Num. 29994/2024) ha ribadito i confini invalicabili di questo istituto, chiarendo quali motivi di ricorso possano essere presentati successivamente e quali, invece, si intendono definitivamente rinunciati. La decisione fornisce un’importante lezione sulla natura e sulle conseguenze della scelta processuale del patteggiamento in appello.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla sentenza della Corte di appello di Brescia, con la quale veniva applicata a un imputato la pena concordata tra le parti per gravi reati, tra cui cessione di sostanze stupefacenti ed estorsione. Nonostante l’accordo raggiunto in appello, l’imputato decideva di presentare ricorso per cassazione. La sua doglianza si basava su un unico punto: la mancata applicazione da parte della Corte territoriale di una delle cause di proscioglimento previste dall’art. 129 del codice di procedura penale, che impongono al giudice l’obbligo di assolvere l’imputato in determinate circostanze (ad esempio, se il fatto non sussiste o non costituisce reato).

La Decisione della Corte sul concordato in appello

La Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno affermato, in linea con un orientamento giurisprudenziale consolidato, che la natura stessa del concordato in appello preclude la possibilità di sollevare in Cassazione questioni relative alla responsabilità penale. Aderendo all’accordo, l’imputato accetta la pena e, di conseguenza, rinuncia implicitamente a far valere motivi che porterebbero a un’assoluzione nel merito. La Corte ha quindi condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla Cassa delle Ammende, sanzionando la proposizione di un ricorso per motivi non consentiti.

Le Motivazioni

La Corte Suprema ha chiarito che il ricorso avverso una sentenza emessa ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p. è ammissibile solo per un novero ristretto di motivi. Questi includono:
1. Vizi nella formazione della volontà: Se l’imputato può dimostrare che il suo consenso all’accordo era viziato (ad esempio, per errore o violenza).
2. Vizi nel consenso del Pubblico Ministero: Qualora il consenso del PM non sia stato espresso correttamente.
3. Contenuto difforme della pronuncia: Se la sentenza del giudice si discosta da quanto pattuito tra le parti.
4. Illegalità della pena: Quando la pena applicata è illegale, ad esempio perché non rientra nei limiti edittali previsti dalla legge per quel reato.

Al di fuori di queste ipotesi, ogni altra doglianza è inammissibile. In particolare, la richiesta di una valutazione sulle condizioni per il proscioglimento ex art. 129 c.p.p. è considerata un motivo a cui la parte ha implicitamente rinunciato con la stipula del concordato. La scelta di patteggiare in appello è una strategia difensiva che mira a ottenere una pena certa e più mite, ma il suo prezzo è la rinuncia a contestare l’affermazione di responsabilità.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un principio fondamentale del diritto processuale penale: il concordato in appello è un patto che chiude la discussione sul merito della colpevolezza. Chi vi aderisce non può, in un secondo momento, tentare di riaprire il dibattito in Cassazione, sperando in un’assoluzione tardiva. La decisione della Suprema Corte serve da monito: la scelta di un rito alternativo come il concordato deve essere ponderata attentamente, poiché preclude l’accesso a successive vie di impugnazione sul merito della vicenda. La giustizia negoziata, sebbene vantaggiosa, comporta rinunce significative che non possono essere ignorate.

È possibile ricorrere in Cassazione dopo un “concordato in appello” per chiedere l’assoluzione?
No, secondo l’ordinanza, l’adesione al concordato in appello implica la rinuncia a far valere le cause di proscioglimento (assoluzione) previste dall’art. 129 del codice di procedura penale, poiché tali motivi si considerano rinunciati con l’accordo stesso.

In quali casi è ammesso il ricorso in Cassazione contro una sentenza di “patteggiamento in appello”?
Il ricorso è ammesso solo per motivi specifici, come quelli relativi a vizi nella formazione della volontà di accedere all’accordo, al consenso del pubblico ministero, a un contenuto della sentenza difforme dall’accordo o all’illegalità della pena applicata.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile in questi casi?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle Ammende, come sanzione per aver proposto un ricorso basato su motivi non consentiti dalla legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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