Concordato in Appello: Quando il Ricorso in Cassazione Diventa Inammissibile
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 21736/2024, torna a pronunciarsi sui limiti dell’impugnazione a seguito di un concordato in appello. Questa decisione ribadisce un principio fondamentale: la rinuncia a determinati motivi di appello preclude la possibilità di riproporli in sede di legittimità. L’articolo analizza la pronuncia, chiarendo le conseguenze di tale scelta processuale.
I Fatti del Caso
Un imputato, a seguito di una condanna in primo grado, presentava appello. In sede di giudizio di secondo grado, la difesa e la Procura Generale raggiungevano un accordo ai sensi dell’art. 599-bis del codice di procedura penale, noto come concordato in appello.
L’accordo prevedeva l’accoglimento del solo motivo di appello relativo al trattamento sanzionatorio, con una conseguente rideterminazione della pena. Per raggiungere questo risultato, l’imputato rinunciava espressamente a tutti gli altri motivi, cosiddetti “di merito”, che contestavano la sua responsabilità penale. La Corte d’Appello, preso atto dell’accordo, emetteva una sentenza conforme.
Nonostante l’accordo, l’imputato decideva di presentare ricorso per Cassazione avverso la sentenza d’appello, sollevando censure che, di fatto, riproponevano questioni di merito a cui aveva già rinunciato.
La Decisione della Corte di Cassazione sul concordato in appello
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un’interpretazione rigorosa degli effetti del concordato in appello. Secondo i giudici, una volta che l’imputato rinuncia a specifici motivi di gravame, su quei punti si forma un giudicato parziale. Di conseguenza, tali questioni non possono essere più oggetto di discussione nel successivo giudizio di legittimità.
Le Motivazioni della Sentenza
La Corte ha articolato la sua decisione sulla base di consolidati principi giurisprudenziali.
In primo luogo, ha sottolineato che l’istituto del concordato in appello, reintrodotto dalla legge n. 103 del 2017, limita la cognizione del giudice di secondo grado ai soli motivi non oggetto di rinuncia. A causa dell’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione, il giudice d’appello non deve motivare il mancato proscioglimento dell’imputato per le cause previste dall’art. 129 c.p.p. (come l’evidenza dell’innocenza) se i motivi di merito sono stati abbandonati.
In secondo luogo, la Cassazione ha chiarito quali sono le uniche doglianze ammissibili contro una sentenza emessa ex art. 599-bis c.p.p. Il ricorso è possibile solo per contestare:
1. Vizi nella formazione della volontà delle parti di accedere all’accordo.
2. Un contenuto della pronuncia difforme da quanto concordato.
3. L’applicazione di una pena illegale, che rappresenta un’eccezione sempre rilevabile.
Nel caso di specie, il ricorrente si era limitato a contestazioni generiche sulla logicità della motivazione, del tutto sganciate dalla vicenda processuale e non rientranti nelle categorie ammesse. Pertanto, il suo ricorso è stato dichiarato inammissibile.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza consolida l’orientamento secondo cui il concordato in appello è una scelta processuale strategica con conseguenze definitive. La rinuncia ai motivi di merito è un atto tombale che preclude qualsiasi futura discussione sulla colpevolezza. Gli avvocati e i loro assistiti devono essere pienamente consapevoli che, accettando un accordo sulla pena, cristallizzano la propria posizione sulla responsabilità, perdendo la possibilità di far valere tali argomenti davanti alla Corte di Cassazione. La pronuncia rafforza l’efficienza del processo penale, valorizzando gli accordi processuali e scoraggiando ricorsi dilatori e privi di fondamento giuridico.
È possibile ricorrere in Cassazione dopo aver fatto un “concordato in appello”?
Sì, ma solo per motivi molto specifici e limitati. Non è possibile riproporre le censure oggetto di rinuncia, come quelle relative al merito della vicenda processuale.
Quali motivi si possono usare per impugnare una sentenza basata su un concordato in appello?
Secondo la Corte, il ricorso è ammesso solo per contestare eventuali vizi nella formazione della volontà delle parti di concludere l’accordo, un contenuto della sentenza diverso da quello pattuito, oppure l’applicazione di una pena considerata illegale dalla legge.
Se si rinuncia ai “motivi di merito” in appello, cosa succede?
Sui punti della sentenza che riguardano i motivi rinunciati si forma il cosiddetto “giudicato parziale”. Ciò significa che la decisione su quegli aspetti diventa definitiva e non può più essere messa in discussione, né dal giudice d’appello né, successivamente, dalla Corte di Cassazione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 21736 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21736 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a MARANO DI NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/06/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso e l’ordinanza impugnata.
Ritenuto che l’impugnazione proposta da NOME COGNOME deve essere trattata nelle forme «de plano», ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen. – come modificato dalla legge n. 103 del 2017 – e dichiarata inammissibile perché proposta avverso sentenza pronunciata a noma dell’art. 599-bis cod. proc. pen. a seguito di accordo delle parti per l’accoglimento del solo motivo riguardante il trattamento sanzionatorio e la misura della pena da applicare al caso di specie, previa rinuncia da parte dell’imputato ai “motivi di merito”.
Ritenuto che non è consentito proporre col ricorso per cassazione censure che attengano ai motivi oggetto di rinuncia, poiché sui relativi capi e punti risult già essersi formato il giudicato in dipendenza delle scelte processuali liberamente effettuate dall’imputato. D’altra parte, «a seguito della reintroduzione del cd patteggiamento in appello ad opera dell’art. 1, comma 56, della legge n. 103 del 2017, il giudice di secondo grado, nell’accogliere la richiesta formulata a norma del nuovo art. 599- bis cod. proc. pen., non deve motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen., né sull’insussistenza di cause di nullità assoluta o di inutilizzabilità de prove, in quanto, a causa dell’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia»(Sez. 5, n. 15505 del 19/03/2018, Bresciani e altro, Rv. 272853).
Ritenuto che non è nemmeno possibile censurare la qualificazione giuridica del fatto, in quanto l’accordo delle parti in ordine ai punti concordati implica rinuncia a dedurre nel successivo giudizio di legittimità ogni diversa doglianza, anche se relativa a questione rilevabile di ufficio, con l’unica eccezione dell’irrogazione di una pena illegale (Sez. 6, n. 41254 del 04/07/2019, Leone, Rv. 277196).
Ritenuto che le uniche doglianze proponibili con il ricorso per cassazione avverso le sentenze emesse ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen. sono quelle relative ad eventuali vizi della sentenza rispetto alla formazione della volontà delle parti di accedere al concordato in appello, ed all’eventuale contenuto difforme della pronuncia del giudice di appello, mentre alcuno spazio può essere ammesso per quei vizi che attengano alla determinazione della pena e che non si siano trasfusi in una illegalità della sanzione inflitta (Sez. 6, n. 4665 del 20/11/2019, dep. 2020,
Furino, Rv. 278114 secondo la quale la richiesta concordata tra accusa e difesa in ordine alla misura finale della pena è vincolante nella sua integralità, senza che il giudice possa addivenire a una pena diversa, in quanto raccoglimento della richiesta postula la condivisione della qualificazione giuridica data al fatto e di ogn altra circostanza influente sul calcolo della pena.
Rilevato che il ricorrente, con deduzioni generiche del tutto sganciate dalla specifica vicenda processuale, si è limitato a contestare la logicità e l’incompletezza della motivazione e che pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Rilevato che alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma 18 aprile 2024
Il Consigliere estensore
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