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Concordato in appello: limiti al ricorso per cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 544/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’imputata che, dopo aver beneficiato del cosiddetto ‘concordato in appello’ con rideterminazione della pena, aveva impugnato la decisione lamentando il mancato proscioglimento. La Suprema Corte ha ribadito che l’adesione all’accordo sulla pena implica una rinuncia ai motivi d’impugnazione, limitando la possibilità di un successivo ricorso a sole questioni specifiche, come vizi della volontà o illegalità della sanzione.

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Pubblicato il 17 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: la scelta che chiude le porte alla Cassazione

L’istituto del concordato in appello, reintrodotto dalla legge n. 103 del 2017 (c.d. Riforma Orlando), rappresenta una scelta strategica fondamentale per l’imputato. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: accettare un accordo sulla pena in secondo grado equivale a rinunciare alla maggior parte delle vie di ricorso successive. Analizziamo questa importante decisione e le sue implicazioni pratiche.

I fatti del caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un’imputata avverso una sentenza della Corte d’Appello. In secondo grado, le parti avevano raggiunto un accordo, ai sensi dell’art. 599-bis del codice di procedura penale, che aveva portato a una rideterminazione della pena inflitta in primo grado. Nonostante l’accordo, la difesa ha successivamente proposto ricorso per cassazione, lamentando una violazione di legge: a suo dire, i giudici d’appello avrebbero dovuto prosciogliere l’imputata per una delle cause previste dall’art. 129 c.p.p. (la cosiddetta declaratoria di non punibilità per evidenza della prova), anziché ratificare l’accordo.

L’analisi della Suprema Corte sul concordato in appello

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, basando la sua decisione su un consolidato orientamento giurisprudenziale. I giudici hanno chiarito che la natura stessa del concordato in appello si fonda su una rinuncia ai motivi di impugnazione. Quando l’imputato, attraverso il suo difensore, formula una proposta di accordo sulla pena, sta di fatto limitando il perimetro della decisione del giudice d’appello.

A causa dell’effetto devolutivo dell’impugnazione, una volta che l’imputato rinuncia ai motivi, la cognizione del giudice si restringe ai soli punti oggetto dell’accordo. Di conseguenza, il giudice non è più tenuto a valutare la sussistenza di eventuali cause di proscioglimento, a meno che non emergano con assoluta evidenza dagli atti, cosa che non è stata ravvisata nel caso di specie.

Le motivazioni della decisione

La Suprema Corte ha spiegato che esiste una radicale diversità tra l’applicazione della pena su richiesta delle parti in primo grado (il “patteggiamento”) e il concordato in appello. Mentre nel primo caso il giudice deve comunque verificare l’assenza delle cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., nel secondo l’accordo interviene su un giudizio già formato, quello di primo grado. L’imputato sceglie consapevolmente di non contestare più la propria colpevolezza in cambio di una pena più mite.

Il ricorso in cassazione avverso una sentenza di questo tipo è pertanto possibile solo in casi eccezionali e specifici:

1. Vizi nella formazione della volontà della parte di accedere all’accordo.
2. Mancanza del consenso del pubblico ministero.
3. Illegalità della pena concordata (ad esempio, perché fuori dai limiti edittali o di una specie diversa da quella prevista dalla legge).

Poiché il motivo di ricorso presentato dalla difesa non rientrava in nessuna di queste categorie, ma riguardava una questione a cui l’imputata aveva implicitamente rinunciato, è stato dichiarato inammissibile. La decisione, inoltre, è stata presa “de plano”, ovvero senza udienza, come previsto dalla procedura semplificata dell’art. 610, comma 5-bis, c.p.p. per questi specifici casi.

Conclusioni

Questa ordinanza conferma che il concordato in appello è uno strumento processuale che comporta conseguenze definitive. La scelta di accordarsi sulla pena deve essere ponderata con estrema attenzione, poiché preclude quasi ogni possibilità di impugnare ulteriormente la sentenza nel merito. Per la difesa, significa sacrificare la possibilità di ottenere un’assoluzione in cambio della certezza di una pena ridotta. Per l’imputato, è la fine del percorso processuale sulla questione della colpevolezza, con la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria in caso di ricorso inammissibile.

Dopo aver accettato un ‘concordato in appello’, posso ancora ricorrere in Cassazione per chiedere l’assoluzione?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’accordo sulla pena implica la rinuncia ai motivi di appello che contestano la colpevolezza. Il ricorso è ammissibile solo per vizi relativi alla formazione della volontà, al consenso del Pubblico Ministero o all’illegalità della pena applicata.

Qual è l’effetto del ‘concordato in appello’ sui motivi di impugnazione?
L’accordo sulla pena limita la cognizione del giudice ai soli punti non rinunciati. Poiché l’imputato rinuncia ai motivi di impugnazione per ottenere una pena concordata, non può poi lamentare la mancata valutazione di questioni come la richiesta di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 del codice di procedura penale.

Perché il ricorso può essere dichiarato inammissibile ‘de plano’, cioè senza udienza?
Perché l’articolo 610, comma 5-bis, del codice di procedura penale prevede espressamente questa procedura semplificata per la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi presentati contro sentenze emesse a seguito di concordato in appello (art. 599-bis c.p.p.).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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