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Concordato in appello: limiti al ricorso per cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato contro una sentenza emessa a seguito di concordato in appello (art. 599 bis c.p.p.). Il ricorso era basato su una presunta violazione di legge, un motivo non previsto per questo tipo di impugnazione. La Suprema Corte ha ribadito che, a differenza del patteggiamento, le possibilità di ricorrere contro il concordato in appello sono estremamente limitate, come stabilito dall’art. 610, comma 5 bis, c.p.p., portando alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese e di un’ammenda.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in Appello: La Cassazione Chiarisce i Limiti all’Impugnazione

Il concordato in appello, introdotto dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento per deflazionare il carico giudiziario, ma quali sono i limiti per impugnare la sentenza che ne deriva? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha tracciato una linea netta, dichiarando inammissibile un ricorso che non rispettava i rigidi paletti normativi. Questa decisione sottolinea l’importanza di conoscere a fondo le differenze tra questo istituto e il più noto patteggiamento.

I Fatti di Causa: Un Ricorso Basato su un Motivo non Consentito

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte di Appello di Napoli, emessa proprio a seguito di un accordo tra le parti sulla pena. L’imputato, tramite il suo difensore, aveva lamentato una violazione di legge ai sensi dell’art. 606, lettera b), del codice di procedura penale. In particolare, sosteneva che la Corte d’Appello avesse omesso di valutare la possibile sussistenza delle condizioni per un proscioglimento immediato, come previsto dall’art. 129 c.p.p., prima di ratificare l’accordo sulla pena.

La Decisione della Suprema Corte e i limiti del concordato in appello

La Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso senza nemmeno entrare nel merito della questione, dichiarandolo inammissibile. La Corte ha agito d’ufficio, senza contraddittorio tra le parti, applicando una norma specifica e molto stringente: l’articolo 610, comma 5-bis, del codice di procedura penale.

Questa disposizione stabilisce che la Corte dichiara, senza particolari formalità, l’inammissibilità del ricorso contro la sentenza pronunciata a norma dell’articolo 599-bis. La decisione, quindi, non si basa su una valutazione della fondatezza del motivo sollevato, ma sulla constatazione che quel motivo, in sé, non poteva essere proposto.

Le Motivazioni: La Specificità del Concordato in Appello

Il cuore della motivazione risiede nella netta distinzione che la Suprema Corte opera tra il concordato in appello e l’istituto del patteggiamento (applicazione della pena su richiesta delle parti). Mentre per il patteggiamento la legge prevede specifici e limitati motivi di ricorso, per il concordato in appello la situazione è ancora più restrittiva. La legge di riforma (L. 103/2017), che ha introdotto l’art. 599-bis, non ha previsto un sistema di impugnazione analogo a quello del patteggiamento.

La Cassazione sottolinea una ‘radicale diversità’ tra i due istituti. Il legislatore ha scelto deliberatamente di non estendere al concordato in appello le stesse garanzie di impugnazione previste per il patteggiamento. Di conseguenza, il ricorso contro una sentenza ex art. 599-bis è possibile solo per motivi non rinunciati dalle parti con l’accordo stesso, ma la violazione di legge generica, come quella lamentata nel caso di specie, non rientra tra questi.

La procedura semplificata di dichiarazione di inammissibilità (de plano) prevista dall’art. 610 c.p.p. conferma la volontà del legislatore di creare un ‘binario morto’ per i ricorsi non conformi, al fine di garantire la rapida definizione del processo una volta raggiunto l’accordo in appello. Proporre un ricorso per motivi non consentiti costituisce una colpa grave, che giustifica la condanna al pagamento non solo delle spese processuali ma anche di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

L’ordinanza in esame offre un importante monito per la difesa tecnica. Chi intende impugnare una sentenza emessa a seguito di concordato in appello deve essere consapevole che i margini di manovra sono estremamente ridotti. È fondamentale verificare che i motivi di ricorso rientrino nel perimetro di quelli non oggetto di rinuncia con l’accordo, evitando di sollevare questioni che, seppur astrattamente fondate, sono processualmente precluse.

La decisione della Cassazione cristallizza un principio di specialità e di rigore formale: la scelta di aderire al concordato in appello comporta una quasi totale rinuncia all’ulteriore impugnazione. Qualsiasi tentativo di forzare la mano, proponendo ricorsi basati su motivi non ammessi, è destinato a scontrarsi con una declaratoria di inammissibilità, con conseguenze economiche negative per l’imputato.

È possibile presentare ricorso per cassazione contro una sentenza emessa a seguito di concordato in appello?
Sì, ma solo per i motivi non rinunciati dalle parti con l’accordo stesso. Il ricorso è inammissibile se proposto per motivi non consentiti, come la generica violazione di legge, in base all’art. 610, comma 5 bis, del codice di procedura penale.

Qual è la principale differenza tra l’impugnazione di una sentenza di patteggiamento e una di concordato in appello?
La principale differenza è che per la sentenza di patteggiamento la legge prevede specifici motivi di ricorso, mentre per la sentenza di concordato in appello non esiste una previsione analoga. Le possibilità di impugnazione per il concordato sono molto più ristrette e non simmetriche a quelle del patteggiamento.

Cosa succede se si propone un ricorso per un motivo non consentito contro una sentenza di concordato in appello?
La Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile senza formalità di procedura. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in 3.000,00 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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