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Concordato in appello: limiti al ricorso per cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato contro una sentenza della Corte d’Appello che aveva rideterminato la pena sulla base di un “concordato in appello”. Il ricorso lamentava la mancata concessione di attenuanti generiche, un motivo che non rientra tra quelli ammessi per impugnare questo tipo di sentenze. La Suprema Corte ha ribadito che, una volta raggiunto l’accordo sulla pena, non è possibile contestarlo se non per vizi relativi alla formazione della volontà, al consenso del PM o per illegalità della sanzione stessa, confermando la natura vincolante del patto processuale.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile

L’istituto del concordato in appello, disciplinato dall’articolo 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo del contenzioso, permettendo alle parti di accordarsi sulla pena da applicare in secondo grado. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti invalicabili dell’impugnazione avverso le sentenze che recepiscono tale accordo, ribadendo un principio consolidato: non tutto può essere messo in discussione.

I fatti del processo

Nel caso di specie, la Corte d’Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva rideterminato la pena inflitta a un imputato accogliendo la richiesta di concordato in appello avanzata dalle parti.

Nonostante l’accordo raggiunto, la difesa dell’imputato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando un’erronea interpretazione della legge penale. Nello specifico, il motivo del ricorso verteva sulla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche con un giudizio di prevalenza rispetto alle aggravanti contestate. Si trattava, in sostanza, di una doglianza relativa alla quantificazione della pena, un aspetto che era stato oggetto proprio dell’accordo tra le parti.

I limiti al ricorso dopo il concordato in appello

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine: i motivi per cui è possibile impugnare una sentenza emessa a seguito di concordato in appello sono a numerus clausus, cioè sono solo quelli espressamente previsti dalla legge.

La giurisprudenza, richiamata nell’ordinanza (in particolare Cass. n. 22002/2019 e n. 7333/2018), ha costantemente affermato che il ricorso è ammissibile solo se riguarda:

1. Vizi nella formazione della volontà della parte di accedere al concordato.
2. Il consenso del pubblico ministero sulla richiesta.
3. Un contenuto della pronuncia del giudice difforme dall’accordo raggiunto.

Sono invece inammissibili le censure relative a motivi a cui la parte ha implicitamente rinunciato con l’accordo, come quelle sulla determinazione della pena, a meno che la sanzione inflitta non sia illegale (cioè diversa da quella prevista dalla legge o applicata fuori dai limiti edittali).

Le motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha sottolineato che il negozio processuale stipulato liberamente tra le parti, una volta consacrato nella decisione del giudice, non può essere modificato unilateralmente. La doglianza dell’imputato, relativa alla valutazione delle circostanze attenuanti, atteneva proprio al cuore della determinazione della pena, un punto che si presume superato e definito con l’accordo stesso. Non essendo stata dedotta alcuna illegalità della pena concordata, il motivo di ricorso è stato ritenuto estraneo al novero di quelli consentiti.

Di conseguenza, i giudici hanno deciso con la procedura semplificata de plano, senza udienza, dichiarando l’inammissibilità del ricorso e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, non ravvisando una sua assenza di colpa nel proporre un’impugnazione palesemente infondata.

Le conclusioni

Questa ordinanza riafferma con forza la natura vincolante del concordato in appello. Le parti che scelgono questa via processuale devono essere consapevoli che stanno compiendo una scelta definitiva sulla pena, rinunciando alla possibilità di contestarne successivamente la congruità in sede di legittimità. Il ricorso in Cassazione rimane una via percorribile solo per vizi genetici dell’accordo o per macroscopiche illegalità della sanzione, ma non può diventare uno strumento per rimettere in discussione il merito di un patto liberamente sottoscritto.

È possibile ricorrere in Cassazione contro una sentenza emessa a seguito di “concordato in appello”?
Sì, ma solo per un numero chiuso di motivi, come quelli relativi alla formazione della volontà delle parti, al consenso del pubblico ministero, a un contenuto della sentenza diverso dall’accordo o all’illegalità della pena inflitta.

Si può contestare la misura della pena concordata, ad esempio per la mancata concessione di attenuanti, con un ricorso in Cassazione?
No, le doglianze relative alla determinazione della pena (come la valutazione delle circostanze) sono inammissibili, poiché si considera che la parte vi abbia rinunciato aderendo all’accordo. L’unica eccezione è se la pena applicata è illegale, ovvero di un tipo o misura non previsti dalla legge.

Quali sono le conseguenze di un ricorso giudicato inammissibile in questo contesto?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile con una procedura semplificata e senza udienza. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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