Concordato in appello: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile
L’istituto del concordato in appello, disciplinato dall’articolo 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo del contenzioso, permettendo alle parti di accordarsi sulla pena da applicare in secondo grado. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti invalicabili dell’impugnazione avverso le sentenze che recepiscono tale accordo, ribadendo un principio consolidato: non tutto può essere messo in discussione.
I fatti del processo
Nel caso di specie, la Corte d’Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva rideterminato la pena inflitta a un imputato accogliendo la richiesta di concordato in appello avanzata dalle parti.
Nonostante l’accordo raggiunto, la difesa dell’imputato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando un’erronea interpretazione della legge penale. Nello specifico, il motivo del ricorso verteva sulla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche con un giudizio di prevalenza rispetto alle aggravanti contestate. Si trattava, in sostanza, di una doglianza relativa alla quantificazione della pena, un aspetto che era stato oggetto proprio dell’accordo tra le parti.
I limiti al ricorso dopo il concordato in appello
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine: i motivi per cui è possibile impugnare una sentenza emessa a seguito di concordato in appello sono a numerus clausus, cioè sono solo quelli espressamente previsti dalla legge.
La giurisprudenza, richiamata nell’ordinanza (in particolare Cass. n. 22002/2019 e n. 7333/2018), ha costantemente affermato che il ricorso è ammissibile solo se riguarda:
1. Vizi nella formazione della volontà della parte di accedere al concordato.
2. Il consenso del pubblico ministero sulla richiesta.
3. Un contenuto della pronuncia del giudice difforme dall’accordo raggiunto.
Sono invece inammissibili le censure relative a motivi a cui la parte ha implicitamente rinunciato con l’accordo, come quelle sulla determinazione della pena, a meno che la sanzione inflitta non sia illegale (cioè diversa da quella prevista dalla legge o applicata fuori dai limiti edittali).
Le motivazioni della Corte
La Suprema Corte ha sottolineato che il negozio processuale stipulato liberamente tra le parti, una volta consacrato nella decisione del giudice, non può essere modificato unilateralmente. La doglianza dell’imputato, relativa alla valutazione delle circostanze attenuanti, atteneva proprio al cuore della determinazione della pena, un punto che si presume superato e definito con l’accordo stesso. Non essendo stata dedotta alcuna illegalità della pena concordata, il motivo di ricorso è stato ritenuto estraneo al novero di quelli consentiti.
Di conseguenza, i giudici hanno deciso con la procedura semplificata de plano, senza udienza, dichiarando l’inammissibilità del ricorso e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, non ravvisando una sua assenza di colpa nel proporre un’impugnazione palesemente infondata.
Le conclusioni
Questa ordinanza riafferma con forza la natura vincolante del concordato in appello. Le parti che scelgono questa via processuale devono essere consapevoli che stanno compiendo una scelta definitiva sulla pena, rinunciando alla possibilità di contestarne successivamente la congruità in sede di legittimità. Il ricorso in Cassazione rimane una via percorribile solo per vizi genetici dell’accordo o per macroscopiche illegalità della sanzione, ma non può diventare uno strumento per rimettere in discussione il merito di un patto liberamente sottoscritto.
È possibile ricorrere in Cassazione contro una sentenza emessa a seguito di “concordato in appello”?
Sì, ma solo per un numero chiuso di motivi, come quelli relativi alla formazione della volontà delle parti, al consenso del pubblico ministero, a un contenuto della sentenza diverso dall’accordo o all’illegalità della pena inflitta.
Si può contestare la misura della pena concordata, ad esempio per la mancata concessione di attenuanti, con un ricorso in Cassazione?
No, le doglianze relative alla determinazione della pena (come la valutazione delle circostanze) sono inammissibili, poiché si considera che la parte vi abbia rinunciato aderendo all’accordo. L’unica eccezione è se la pena applicata è illegale, ovvero di un tipo o misura non previsti dalla legge.
Quali sono le conseguenze di un ricorso giudicato inammissibile in questo contesto?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile con una procedura semplificata e senza udienza. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 7188 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 7188 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 14/03/1988
avverso la sentenza del 11/03/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato av/so alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Visti gli atti e la sentenza impugnata, rilevato che la Corte di merito, con la sentenza in epigrafe indicata, in parziale riforma della pronuncia emessa dal giudice di primo grado, ha rideterminato la pena inflitta a COGNOME accogliendo il concordato proposto dalle parti in udienza ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen.
Esaminato il ricorso proposto dall’imputato; rilevato che il difensore lamenta erronea interpretazione della legge penale con riguardo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza. Considerato che il motivo dedotto è inammissibile, non rientrando nel numerus clausus delle doglianze proponibili avverso la sentenza emessa ai sensi dell’art. 599 bis cod. proc. pen. .
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile secondo la procedura de plano (art. 610, comma 5-bis cod. proc. pen.), con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa del ricorrente (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
Il Consigliere estensore
Così deciso in data 22 gennaio 2025
Il Preidnte