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Concordato in appello: limiti al ricorso in Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi di due imputati contro una sentenza emessa a seguito di concordato in appello. La Suprema Corte chiarisce che, una volta raggiunto l’accordo sulla pena, non è possibile impugnare la sentenza per motivi rinunciati o per vizi nella determinazione della sanzione, salvo che questa non sia illegale.

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Pubblicato il 8 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: quando la Cassazione chiude la porta al ricorso

Il concordato in appello, introdotto dalla legge n. 103/2017 e disciplinato dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento per definire il processo di secondo grado attraverso un accordo sulla pena. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui limiti invalicabili per impugnare una sentenza emessa a seguito di tale accordo, ribadendo la natura quasi definitiva di questa scelta processuale. Vediamo nel dettaglio il caso e i principi affermati dalla Suprema Corte.

Il caso: dalla richiesta di riforma alla dichiarazione di inammissibilità

Due imputati, dopo una condanna in primo grado, vedevano le loro pene rideterminate dalla Corte di Appello di Milano. Questa decisione non era frutto di un dibattimento classico, ma di una richiesta congiunta delle parti, ovvero di un concordato in appello. In pratica, difesa e accusa si erano accordate per una pena specifica (rispettivamente sette anni e sei mesi, e quattro anni, sei mesi e venti giorni di reclusione, oltre a pene pecuniarie) e gli imputati, tramite i loro difensori muniti di procura speciale, avevano rinunciato ai motivi di appello originari.

Nonostante l’accordo, entrambi gli imputati decidevano di presentare ricorso per Cassazione, lamentando vizi relativi al calcolo della pena. Nello specifico, uno contestava una presunta modifica peggiorativa del trattamento sanzionatorio, mentre l’altro deduceva un’errata applicazione della pena.

La decisione della Cassazione sul concordato in appello

La Corte di Cassazione ha stroncato sul nascere le doglianze dei ricorrenti, dichiarando entrambi i ricorsi ‘palesemente inammissibili’. La decisione si fonda su un principio consolidato: l’accordo sulla pena in appello comporta una rinuncia implicita a contestare in futuro la correttezza del calcolo sanzionatorio, a meno che non si configuri un’ipotesi di ‘pena illegale’.

I limiti al ricorso dopo il concordato in appello

La Suprema Corte ha chiarito che il ricorso avverso una sentenza emessa ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p. è un’eccezione, non la regola. È ammissibile solo in casi tassativamente previsti:

1. Vizi della volontà: quando il consenso dell’imputato o del pubblico ministero all’accordo è viziato (ad esempio, per errore o violenza).
2. Difformità della sentenza: se il giudice emette una sentenza con un contenuto diverso da quello concordato tra le parti.
3. Illegalità della pena: quando la pena applicata è illegale, ovvero perché non prevista dall’ordinamento, diversa per specie da quella di legge o eccedente i limiti edittali.

Qualsiasi altro motivo, specialmente quelli oggetto di rinuncia esplicita o implicita come la contestazione sul calcolo della pena, non può essere fatto valere in Cassazione.

Le motivazioni

La ratio della decisione risiede nella natura stessa del concordato in appello. Si tratta di un patto processuale in cui l’imputato accetta una pena certa e solitamente più mite, in cambio della rinuncia a contestare la propria responsabilità o altri aspetti della sentenza di primo grado. Permettere un successivo ricorso per motivi che erano nella disponibilità delle parti al momento dell’accordo significherebbe snaturare l’istituto e vanificarne l’effetto deflattivo.

La Cassazione sottolinea che aderendo al concordato, l’interessato rinuncia a far valere questioni, anche quelle rilevabili d’ufficio (come la prescrizione o la necessità di un proscioglimento immediato ex art. 129 c.p.p.), che sono incompatibili con la volontà di accettare una determinata sanzione. Le lamentele dei ricorrenti, relative a presunti errori nel calcolo del trattamento sanzionatorio, non rientravano in alcuna delle eccezioni ammesse, poiché non configuravano una pena ‘illegale’ ma, al più, un errore di valutazione che doveva essere considerato al momento dell’accordo.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito per la difesa e gli imputati. La scelta di accedere al concordato in appello è una decisione strategica con conseguenze quasi irreversibili. Una volta siglato l’accordo e ottenuta la sentenza conforme, lo spazio per un’ulteriore impugnazione si riduce drasticamente. È fondamentale, quindi, che l’accordo sia ponderato attentamente, poiché preclude la possibilità di sollevare in Cassazione questioni relative alla quantificazione della pena o a motivi di appello a cui si è rinunciato. La porta della Suprema Corte resta aperta solo per vizi genetici dell’accordo o per sanzioni palesemente contra legem.

È possibile impugnare in Cassazione una sentenza basata su un concordato in appello?
Sì, ma solo per motivi molto specifici. La regola generale è che l’accordo preclude l’impugnazione per le questioni che ne sono state oggetto e per i motivi di appello a cui si è rinunciato.

Quali sono gli unici motivi per cui si può ricorrere contro una sentenza di concordato in appello?
Il ricorso è ammissibile solo se si lamentano motivi relativi alla formazione della volontà di accedere all’accordo, al consenso del pubblico ministero, a un contenuto della sentenza difforme dall’accordo, oppure se la pena applicata è ‘illegale’ (cioè diversa per specie da quella prevista o fuori dai limiti di legge).

Se accetto un concordato in appello, posso poi lamentare che la pena sia stata calcolata male?
No, a meno che l’errore nel calcolo non renda la pena ‘illegale’. Secondo la sentenza, i vizi attinenti alla determinazione della pena che non si traducono in una sanzione illegale rientrano tra le questioni a cui si rinuncia con l’accordo e, pertanto, non possono essere motivo di ricorso in Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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