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Concordato in appello: limiti al ricorso in Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato che, dopo aver raggiunto un accordo sulla pena in appello (concordato in appello) per tentato furto, aveva lamentato la mancata valutazione delle cause di proscioglimento. La Corte ribadisce che l’adesione al concordato implica la rinuncia a tali motivi, rendendo il successivo ricorso non valido.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in Appello: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile?

Il concordato in appello, introdotto dall’articolo 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo del contenzioso che consente alle parti di accordarsi sulla pena, rinunciando ai motivi di gravame. Ma cosa succede se, dopo aver raggiunto tale accordo, l’imputato decide comunque di rivolgersi alla Corte di Cassazione? Un’ordinanza recente chiarisce i limiti invalicabili di questa scelta, confermando un orientamento giurisprudenziale consolidato.

Il Caso: Dal Patteggiamento della Pena al Tentativo di Ricorso

Il caso in esame riguarda un individuo condannato per tentato furto. In sede di appello, la difesa aveva raggiunto un accordo con la Procura Generale per la rideterminazione della pena, accedendo così al cosiddetto concordato in appello. La Corte d’Appello, prendendo atto dell’accordo, aveva rideterminato la sanzione in un anno, due mesi e venti giorni di reclusione, oltre a una multa di 300 euro.

Nonostante l’accordo, che prevedeva la rinuncia a tutti gli altri motivi di appello, l’imputato ha presentato ricorso per Cassazione. L’unico motivo sollevato era la presunta mancata valutazione, da parte del giudice d’appello, della possibilità di un proscioglimento immediato ai sensi dell’art. 129 del codice di procedura penale.

L’inammissibilità del ricorso dopo il concordato in appello

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile senza neanche la necessità di un’udienza formale. La decisione si fonda su un principio tanto semplice quanto rigoroso: l’adesione al concordato in appello implica una rinuncia implicita ma inequivocabile a far valere motivi legati alla colpevolezza.

Scegliendo di accordarsi sulla pena, l’imputato accetta la propria responsabilità e concentra il dibattito processuale esclusivamente sulla misura della sanzione. Di conseguenza, non può in un secondo momento ‘tornare indietro’ e chiedere a un altro giudice di valutare se esistessero i presupposti per un’assoluzione nel merito.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione, richiamando una sua precedente e autorevole pronuncia (sentenza n. 22002 del 2019), ha spiegato che il ricorso avverso una sentenza emessa a seguito di concordato in appello è consentito solo in casi eccezionali e ben definiti. Questi includono:

1. Vizi della volontà: Se l’imputato può dimostrare che il suo consenso all’accordo era viziato (ad esempio, per errore o violenza).
2. Mancato consenso del P.M.: Qualora l’accordo sia stato raggiunto senza il valido consenso del Pubblico Ministero.
3. Sentenza difforme: Se la pena inflitta dal giudice è diversa da quella concordata tra le parti.
4. Pena illegale: Se la pena concordata è di per sé illegale, perché ad esempio viola i limiti minimi o massimi previsti dalla legge per quel reato.

Al di fuori di queste ipotesi, ogni altra doglianza è inammissibile. In particolare, la Corte ha specificato che non è possibile lamentare la mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., proprio perché tale motivo è stato oggetto di rinuncia nel momento in cui si è scelto di patteggiare la pena.

Le Conclusioni

Questa ordinanza riafferma con forza la natura dispositiva e vincolante del concordato in appello. La scelta di questo rito alternativo è una decisione strategica che offre il vantaggio di una pena certa e ridotta, ma che comporta la preclusione di quasi ogni ulteriore via di impugnazione. Gli avvocati e i loro assistiti devono essere pienamente consapevoli che, una volta siglato l’accordo, il capitolo relativo alla colpevolezza si chiude definitivamente, e non può essere riaperto davanti alla Suprema Corte. La sentenza impugnata diventa così definitiva, e il ricorrente, oltre a vedere respinta la sua istanza, viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

È possibile ricorrere in Cassazione dopo aver concluso un ‘concordato in appello’?
Sì, ma solo per motivi molto specifici. Il ricorso è ammissibile unicamente se contesta vizi nella formazione della volontà di accedere all’accordo, il consenso del pubblico ministero, un contenuto della sentenza difforme da quanto pattuito, oppure l’illegalità della sanzione inflitta. Non si possono sollevare motivi a cui si è rinunciato.

Si può contestare la mancata applicazione dell’assoluzione (art. 129 c.p.p.) dopo un concordato in appello?
No. Secondo l’ordinanza, la richiesta di concordare la pena implica la rinuncia a contestare la colpevolezza. Di conseguenza, è inammissibile sollevare in un secondo momento la questione della mancata valutazione delle condizioni per un proscioglimento immediato ai sensi dell’art. 129 c.p.p.

Quali sono le conseguenze se il ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile in questi casi?
La sentenza impugnata diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come stabilito dalla Corte di Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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