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Concordato in appello: limiti al ricorso in Cassazione

Un imputato, dopo aver raggiunto un accordo sulla pena in secondo grado (concordato in appello), ha presentato ricorso in Cassazione lamentando la gestione delle circostanze attenuanti. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che dopo un concordato in appello non è più possibile contestare la determinazione della pena, salvo i rari casi di vizi del consenso o di pena palesemente illegale.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile

Il concordato in appello, introdotto dall’articolo 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo che consente alle parti di accordarsi sull’esito del giudizio di secondo grado. Tuttavia, la scelta di aderire a tale istituto comporta precise conseguenze sulla possibilità di impugnare la sentenza. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti del ricorso avverso una sentenza che ratifica un accordo sulla pena, delineando un perimetro molto stretto per le possibili doglianze.

I Fatti del Caso

Nel caso di specie, un imputato, dopo aver presentato appello contro la sua condanna, decideva di accedere al concordato in appello. In accordo con il pubblico ministero, rinunciava parzialmente ai motivi di impugnazione e concordava una determinata pena, che la Corte d’appello di Roma riteneva congrua e applicava con sentenza.
Nonostante l’accordo raggiunto, il difensore dell’imputato proponeva ricorso per cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione riguardo al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e al relativo giudizio di bilanciamento con altre circostanze.

I Limiti al Ricorso dopo il Concordato in Appello

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, cogliendo l’occasione per ribadire i principi consolidati in materia di impugnazione delle sentenze emesse ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p. Il collegio ha sottolineato che, una volta raggiunto l’accordo, le possibilità di ricorrere in Cassazione sono drasticamente limitate. Il ricorso è considerato ammissibile solo in casi eccezionali e specifici, quali:

1. Vizi della volontà: qualora la volontà dell’imputato di accedere al concordato sia stata viziata (ad esempio, per errore o violenza).
2. Vizi del consenso del PM: se il consenso del pubblico ministero all’accordo presenta dei difetti.
3. Contenuto difforme della pronuncia: nel caso in cui la sentenza del giudice applichi una pena diversa o più grave rispetto a quella concordata tra le parti.
4. Pena illegale: se la pena concordata e applicata è illegale, ovvero non rientra nei limiti previsti dalla legge per quel reato o è di una specie diversa da quella stabilita.

La Decisione della Suprema Corte

Al di fuori di queste ipotesi, il ricorso è inammissibile. In particolare, non è possibile contestare motivi a cui si è espressamente rinunciato con l’accordo, né la mancata valutazione delle condizioni per un proscioglimento. Soprattutto, e questo è il punto centrale del caso in esame, sono inammissibili le doglianze relative alla determinazione della pena, come il mancato riconoscimento di attenuanti o il giudizio di bilanciamento, poiché questi aspetti rientrano pienamente nell’oggetto dell’accordo tra le parti. Proponendo un ricorso su tali punti, il difensore ha avanzato motivi non consentiti dalla legge.

Di conseguenza, la Corte ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso e, applicando l’art. 616 c.p.p., ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sulla natura stessa del concordato in appello. Si tratta di un patto processuale con cui l’imputato accetta una determinata pena in cambio della rinuncia a far valere alcuni motivi di appello. Contestare successivamente gli elementi che formano il nucleo di quell’accordo, come il calcolo della pena e la valutazione delle circostanze, significherebbe contraddire la volontà precedentemente manifestata e vanificare la funzione stessa dell’istituto. La Suprema Corte protegge la stabilità di tali accordi, limitando il successivo controllo di legittimità ai soli vizi genetici dell’accordo stesso o a palesi illegalità che il giudice non avrebbe mai dovuto ratificare.

Le Conclusioni

Questa ordinanza conferma che la scelta del concordato in appello è una decisione strategica che preclude quasi ogni successiva contestazione sulla misura della pena. Gli avvocati e i loro assistiti devono essere pienamente consapevoli che, una volta siglato l’accordo e ratificato dal giudice, lo spazio per un ricorso in Cassazione si restringe notevolmente, essendo limitato a vizi procedurali gravi o a sanzioni palesemente illegali. Qualsiasi altra critica relativa alla congruità della pena è destinata a essere dichiarata inammissibile.

È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza che applica un ‘concordato in appello’?
No. Il ricorso è ammissibile solo per motivi specifici, come vizi nella formazione della volontà di accordarsi, vizi nel consenso del pubblico ministero, l’applicazione di una pena diversa da quella concordata o una pena palesemente illegale. Non è possibile contestare aspetti discrezionali della pena.

La mancata concessione delle attenuanti generiche è un motivo valido per impugnare un concordato in appello?
No, secondo la sentenza in esame, le doglianze relative alla determinazione del trattamento sanzionatorio, come il mancato riconoscimento di attenuanti, non costituiscono un motivo valido per il ricorso, poiché si tratta di aspetti coperti dall’accordo e a cui si è implicitamente rinunciato.

Quali sono le conseguenze se un ricorso contro un concordato in appello viene dichiarato inammissibile?
La Corte di Cassazione condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (nel caso specifico, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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