Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 23184 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 5 Num. 23184 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/03/2025
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sul ricorso proposto da: NOME nato a BRINDISI il 15/05/1980
avverso la sentenza del 11/12/2024 della CORTE APPELLO di LECCE
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
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FATTO E DIRITTO
Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza di primo grado, su concorde richiesta delle parti, rideterminava, ai sensi dell’art. 599 bis, c.p.p., in senso più favorevole all’imputato NOME la pena ritenuta di giustizia, inflitta a quest’ultimo dal tribunale di Brindisi, in relazione al reato ex artt. 110, 624 bis, c.p., in rubrica ascrittogli.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’esatta qualificazione giuridica del fatto, che, a suo dire, andrebbe ricondotto al paradigma normativo del delitto tentato, come eccepito dal prevenuto nell’atto di appello.
Il ricorso va dichiarato inammissibile, ai sensi del disposto dell’art. 610, co. 5 bis, c.p.p., inserito nel corpo del codice di rito dall’art. 1, co. 62, della legge 23 giugno 2017, n. 103, con effetto dal 3 agosto del 2017, il cui secondo periodo prevede l’obbligo di dichiarare (peraltro con procedura semplificata) l’inammissibilità dei ricorsi aventi ad oggetto, tra l’altro, sentenze, come quella in esame, pronunciate ai sensi dell’art. 599 bis, c.p.p.
Si osserva, al riguardo, che, secondo l’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, a seguito della reintroduzione del c.d. patteggiamento in appello ad opera dell’art. 1, comma 56, della legge n. 103 del 2017, il giudice di secondo grado, nell’accogliere la richiesta formulata a norma del nuovo art. 599-bis, c.p.p., non deve motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129, c.p.p., né sull’insussistenza di cause di nullità assoluta o di inutilizzabilità delle prove, in quanto, a causa dell’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia (cfr. Cass., sez. V, 19.3.2018, n. 15505, rv. 272853; Cass., sez. V, 4.6.2018, n. 29243, rv. 273194; Cass., Sez. IV, n. 52803, 14.9.2018, rv. 274522).
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Occorre, pertanto, ribadire nel caso in esame il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte di Cassazione, secondo cui, in tema di concordato in appello, è ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis, c.p.p., che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129, c.p.p., e, altresì, a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa dalla quella prevista dalla legge (cfr. Cass., Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, Rv. 278170; Cass., Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, Rv. 278170).
In questa prospettiva si è ulteriormente precisato, con condivisibile arresto, che è inammissibile il ricorso per cassazione, avverso la sentenza resa all’esito del concordato sui motivi di appello ex art. 599bis, c.p.p., volto a censurare la qualificazione giuridica del fatto, in quanto l’accordo delle parti in ordine ai punti concordati implica la rinuncia a dedurre nel successivo giudizio di legittimità ogni diversa doglianza, anche se relativa a questione rilevabile di ufficio, con l’unica eccezione dell’irrogazione di una pena illegale. (In motivazione la Corte ha precisato che detto principio, elaborato con riferimento all’art. 599, comma 4, c.p.p., resta applicabile all’attuale concordato ex art. 599-bis, c.p.p., che costituisce la sostanziale riproposizione del precedente strumento deflattivo: cfr. Sez. 6, n. 41254 del 04/07/2019, Rv. 277196).
La giurisprudenza di legittimità, invero, con orientamento costante, è ormai attestata sul condivisibile principio, secondo cui nei confronti della sentenza resa all’esito di concordato in appello ex art. 599-bis cod. proc. pen., è inammissibile il ricorso per cassazione con cui siano riproposte doglianze relative ai motivi rinunciati (e, come si è detto, nel caso in esame, uno dei motivi “rinunciati” era quello relativo alla diversa
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qualificazione giuridica del fatto in termini di tentativo), salvo il caso di irrogazione di una pena illegale, posto che l’accordo delle parti limita la
cognizione del giudice di legittimità ai motivi non oggetto di rinuncia
(cfr., ex plurimis,
Sez. 3, n. 51557 del 14/11/2023, Rv. 285628; Sez. 2, n. 50062 del 16/11/2023, Rv. 285619).
Principio ribadito, con particolare riferimento§ al tema della qualificazione giuridica del fatto, in altro recente arresto, nel quale si è sottolineato
come la rinuncia a tutti i motivi di appello, ad esclusione soltanto di quelli riguardanti la misura della pena, la concessione delle attenuanti
generiche ed il bilanciamento delle circostanze, comprenda anche i motivi concernenti la qualificazione del reato e la sussistenza delle
circostanze aggravanti (cfr. Sez. 4, n. 3398 del 14/12/2023, Rv.
285702).
4. Alla dichiarazione di inammissibilità, segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 4000,00 a favore della cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere quest’ultimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 12.3.2025.