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Concordato in appello: limiti al ricorso in Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6633/2025, chiarisce i limiti del ricorso contro una sentenza emessa a seguito di ‘concordato in appello’ (art. 599-bis c.p.p.). L’accordo sulla pena comporta la rinuncia ad altri motivi, creando una preclusione processuale. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché basato su motivi estranei all’accordo (una misura cautelare) o manifestamente infondati (una pena accessoria), confermando che l’impugnazione è possibile solo in casi eccezionali di illegalità della pena o vizi del consenso.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in Appello: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

Il concordato in appello, disciplinato dall’articolo 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo che consente a imputato e pubblico ministero di accordarsi sulla pena da applicare in secondo grado. Questa scelta, tuttavia, comporta conseguenze procedurali significative, in primis la rinuncia ad altri motivi di impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 6633/2025) ribadisce i rigidi confini entro cui è possibile ricorrere contro una sentenza frutto di tale accordo.

Il Caso in Esame: Un Accordo sulla Pena e il Successivo Ricorso

Nel caso di specie, la difesa dell’imputato e il Procuratore generale avevano raggiunto un accordo davanti alla Corte d’Appello. L’intesa prevedeva l’accoglimento di un motivo relativo alla misura della pena, con l’applicazione di una condanna a sei anni di reclusione, e la contestuale rinuncia a ogni altro motivo di censura.

Nonostante l’accordo, l’imputato presentava ricorso per cassazione, sollevando due questioni:
1. La presunta illegittimità della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici.
2. Una contestazione relativa a una misura cautelare applicata nei suoi confronti.

La Logica del Concordato in Appello secondo la Cassazione

La Corte Suprema ha dichiarato il ricorso inammissibile, cogliendo l’occasione per riaffermare i principi che governano il concordato in appello. L’istituto si fonda su un patto processuale: l’imputato ottiene una rideterminazione della pena in senso a lui favorevole e, in cambio, rinuncia a contestare altri aspetti della sentenza di primo grado.

Questa rinuncia determina una preclusione processuale. L’effetto devolutivo dell’appello viene limitato ai soli punti oggetto dell’accordo. Di conseguenza, il giudice d’appello non è tenuto a valutare d’ufficio eventuali cause di proscioglimento (ex art. 129 c.p.p.), proprio perché la cognizione del processo è stata circoscritta dalla volontà delle parti.

I Limiti del Ricorso Post Concordato in Appello

La Cassazione chiarisce che il ricorso avverso una sentenza emessa ex art. 599-bis c.p.p. è ammissibile solo in casi eccezionali e tassativi, quali:
* Vizi relativi alla formazione della volontà delle parti di accedere all’accordo.
* Mancato consenso del Procuratore generale.
* Contenuto della pronuncia del giudice difforme dalla richiesta delle parti.
* Applicazione di una pena illegale, perché non prevista dalla legge o applicata al di fuori dei limiti edittali.

Nel caso analizzato, i motivi proposti dal ricorrente non rientravano in nessuna di queste categorie. La questione sulla pena accessoria è stata giudicata manifestamente infondata, mentre quella sulla misura cautelare è stata ritenuta estranea all’oggetto dell’accordo sulla pena.

Le motivazioni della Corte

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando la natura stessa dell’istituto del concordato in appello. L’accordo tra le parti sulla pena e la contestuale rinuncia ai motivi d’appello non ancora discussi cristallizzano il perimetro del giudizio. Qualsiasi tentativo di reintrodurre, attraverso il ricorso per cassazione, questioni a cui si è rinunciato è destinato a scontrarsi con la barriera dell’inammissibilità. La rinuncia ai motivi determina una preclusione che impedisce al giudice di prendere cognizione di quanto non gli è stato devoluto, incluse questioni che, in un contesto ordinario, sarebbero rilevabili d’ufficio. L’unica valvola di sicurezza è rappresentata dalla verifica della legalità della sanzione inflitta, che deve rimanere nei limiti previsti dalla legge e non essere di tipo diverso da quello consentito.

Le conclusioni

L’ordinanza conferma un orientamento consolidato: scegliere il concordato in appello è una decisione strategica con effetti irreversibili sulle possibilità di impugnazione. L’imputato baratta la possibilità di un riesame completo della sua posizione processuale con la certezza di una pena concordata. Il ricorso in Cassazione rimane una via percorribile solo per vizi genetici dell’accordo o per macroscopiche illegalità della pena, non per rimettere in discussione il merito della vicenda o aspetti accessori non inclusi nel patto. La decisione si conclude con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, a riprova della manifesta infondatezza del tentativo di impugnazione.

Dopo aver raggiunto un accordo sulla pena in appello, è possibile ricorrere in Cassazione per qualsiasi motivo?
No. L’ordinanza chiarisce che il ‘concordato in appello’ implica la rinuncia agli altri eventuali motivi. Il ricorso in Cassazione è ammissibile solo per questioni molto specifiche, come vizi nella formazione della volontà di accordo, illegalità della pena concordata (ad esempio, perché fuori dai limiti di legge) o per motivi non oggetto della rinuncia.

La Corte d’Appello, in caso di concordato, deve comunque valutare le cause di proscioglimento dell’imputato?
No. Secondo la giurisprudenza richiamata nell’ordinanza, una volta che l’imputato rinuncia ai motivi di impugnazione, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non rinunciati. Il giudice non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento per le cause previste dall’art. 129 del codice di procedura penale.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile dopo un concordato in appello?
Come stabilito nel provvedimento, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, se non vi sono elementi che escludano la sua colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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