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Concordato in appello: limiti al ricorso in Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 36195/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato contro una sentenza di ‘concordato in appello’. La Corte ha ribadito che, in caso di accordo sulla pena in secondo grado, non è possibile contestare in Cassazione la mancata valutazione delle cause di proscioglimento previste dall’art. 129 c.p.p., trattandosi di un motivo di ricorso non consentito dalla legge per questa specifica procedura.

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Pubblicato il 20 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in Appello: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

Il concordato in appello, disciplinato dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo del processo penale, consentendo alle parti di accordarsi sulla pena da applicare in secondo grado. Tuttavia, l’accesso a questa procedura comporta precise limitazioni al diritto di impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 36195 del 2024, torna a fare chiarezza sui confini del ricorso avverso le sentenze emesse a seguito di tale accordo, in particolare quando si contesta la mancata applicazione delle cause di proscioglimento.

Il Caso in Esame: Dal Concordato al Ricorso

La vicenda processuale ha origine da una condanna per il reato di estorsione. In secondo grado, la Corte di Appello di Roma, accogliendo la richiesta congiunta delle parti, riformava la sentenza di primo grado e, applicando le attenuanti generiche, determinava la pena in due anni e otto mesi di reclusione, oltre a una multa.

Nonostante l’accordo raggiunto, il difensore dell’imputato decideva di presentare ricorso per Cassazione. Il motivo del ricorso era uno solo: il vizio di motivazione della sentenza d’appello in relazione alla mancata verifica sulla sussistenza di eventuali cause di proscioglimento immediato, come previsto dall’art. 129 del codice di procedura penale.

La Decisione della Corte di Cassazione e il concordato in appello

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, definendolo basato su motivi non consentiti. Gli Ermellini hanno colto l’occasione per ribadire un principio consolidato in materia di concordato in appello: l’ambito di impugnabilità di tali sentenze è estremamente circoscritto.

I Limiti dell’Impugnazione

Secondo l’orientamento della giurisprudenza, il ricorso in Cassazione contro una sentenza emessa ex art. 599-bis c.p.p. è ammissibile solo per questioni che attengono a:

1. Vizi della volontà: se la volontà dell’imputato di accedere al concordato non si è formata liberamente e consapevolmente.
2. Mancato consenso del P.M.: se manca l’accordo del Pubblico Ministero.
3. Difformità della pronuncia: se la decisione del giudice si discosta da quanto concordato tra le parti.
4. Illegalità della pena: se la pena applicata è illegale, ovvero esce dai limiti edittali fissati dalla legge per quel reato o è di specie diversa da quella prevista.

Al di fuori di queste ipotesi, ogni altra doglianza è da considerarsi inammissibile.

le motivazioni della Corte

La Corte ha spiegato che la scelta di accedere al concordato in appello implica una rinuncia implicita a far valere determinate censure. Tra queste rientrano proprio quelle relative alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento previste dall’art. 129 c.p.p.

Presentare un ricorso basato su una presunta violazione di tale articolo è una ‘generica doglianza’ che non rientra nei motivi consentiti. L’accordo sulla pena presuppone che l’imputato, assistito dal suo difensore, abbia valutato la convenienza di una definizione rapida del processo a fronte di una pena certa, accettando implicitamente il quadro probatorio a suo carico e rinunciando a contestazioni di merito. Pertanto, lamentare a posteriori la mancata assoluzione per motivi di merito è una contraddizione logica e procedurale che il sistema non ammette.

le conclusioni e Implicazioni Pratiche

L’ordinanza in esame consolida un principio fondamentale per chi opera nel diritto penale: la scelta del concordato in appello è una decisione strategica con conseguenze definitive. Se da un lato offre il vantaggio di una pena concordata e potenzialmente più mite, dall’altro chiude quasi ogni porta a un successivo ricorso in Cassazione.

Per gli avvocati e i loro assistiti, ciò significa che la valutazione sulla convenienza del concordato deve essere estremamente ponderata, analizzando a fondo non solo le prospettive di una pena ridotta, ma anche le reali possibilità di ottenere un’assoluzione nel merito. Una volta siglato l’accordo e ottenuta la sentenza, le uniche vie di impugnazione rimangono confinate a vizi procedurali specifici o a palesi illegalità della sanzione, escludendo ogni riesame del merito della vicenda.

È possibile impugnare in Cassazione una sentenza di ‘concordato in appello’ lamentando la mancata valutazione di cause di proscioglimento?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che sono inammissibili le doglianze relative alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento previste dall’art. 129 cod. proc. pen. quando si è di fronte a una sentenza emessa a seguito di concordato in appello, poiché si tratta di un motivo rinunciato con l’accordo stesso.

Quali sono i motivi ammessi per ricorrere in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento in appello?
Il ricorso è ammissibile solo per motivi che riguardano vizi nella formazione della volontà della parte di accedere al concordato, il consenso del pubblico ministero, un contenuto della sentenza difforme dalla richiesta delle parti, oppure l’illegalità della pena inflitta (ad esempio, perché fuori dai limiti di legge).

Cosa si intende per ‘illegalità della sanzione’ che consente di impugnare il concordato in appello?
Per ‘illegalità della sanzione’ si intende una pena che non rientra nei limiti edittali previsti dalla legge per quel reato specifico (ad esempio, una pena superiore al massimo o inferiore al minimo legale) oppure una pena di specie diversa da quella prevista dalla norma.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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